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Training Autogeno

Il training autogeno consiste nell’apprendimento graduale di una serie di esercizi di concentrazione psichica passiva che favoriscono il rilassamento.

Cos’è il Training autogeno

Il training autogeno si basa sul concetto di autogenicità, cioè permette di produrre da sé determinate modificazioni a livello dell’unità psiche/soma. Il training autogeno, infatti, è un metodo di auto-distensione che attraverso un atteggiamento di concentrazione passiva sul proprio corpo, mira a limitare le funzioni di controllo e ad attivare i processi distensivi e rigenerativi.

Training autogeno: come si svolge e le applicazioni cliniche

Il training autogeno permette a chiunque lo impari di poterlo poi gestire in maniera autonoma praticamente in qualsiasi situazione e luogo; l’apprendimento del metodo però ha regole precise e necessita di allenamento. Per apprendere ed utilizzare la tecnica, infatti, ci vogliono diversi mesi ed è necessario, inoltre, mantenere viva la pratica nel corso del tempo una volta terminato il training di base.

Il training autogeno di base consiste nell’apprendimento graduale di una serie di esercizi di concentrazione psichica passiva che permettono progressivamente il realizzarsi di spontanee modificazioni di funzioni involontarie che fanno capo ai vari sistemi organici: la muscolatura, il sistema cardiovascolare e neurovegetativo, l’apparato respiratorio.

A livello fisiologico il training autogeno produce una risposta trofotropica che consiste in una risposta a livello dell’ipotalamo, il quale riduce l’attività neurovegetativa e aumenta il tono parasimpatico. Il termine trofotropico deriva dall’unione dei due termini trofo e tropico e sta ad indicare, in biologia, il fenomeno per cui un organismo si sviluppa attraverso la sua nutrizione. In questo contesto esso indica la capacità dell’organismo di regolare, aumentandone l’intensità o inibendola, alcune funzioni viscerali (Sutera, 2013).

La risposta trofotropica può essere indotta sia stimolando i centri ipotalamici sia riducendo gli stimoli propriocettivi che giungono dalla periferia del corpo all’ipotalamo. Il sistema muscolo-scheletrico contribuisce più che ogni altro sistema all’invio di stimoli verso le formazioni ipotalamiche, cosicché riducendo il tono muscolare si riduce anche l’attivazione ipotalamica. Sul piano vegetativo la risposta trofotropica riduce la frequenza cardiaca e respiratoria, il tono muscolare, la pressione arteriosa e la secrezione delle ghiandole sudoripare mentre aumentano le funzioni motorie e la secrezione di sostanze gastriche nonché la secrezione di insulina. Lo stato di rilassamento che viene a crearsi in conseguenza di un adeguato allenamento e che parte dalla periferia, cioè dai muscoli, piuttosto che dalle aree centrali, corrisponde ad una risposta integrata ipotalamica con l’effetto di scaricare le tensioni in eccesso dovute all’ansia e allo stress e di recuperare un discreto benessere psicofisico (Sutera, 2013).
In sostanza il Training Autogeno non solo regola l’attività di singoli apparati, ma riesce anche, grazie a questo gioco di influenze reciproche, ad indurre uno stato di distensione che coinvolge l’intero organismo.

Questo stato di commutazione autogena, infatti, genera una deconnessione psichica permettendo il passaggio da uno stato di veglia ad uno stato di metabolismo di base simile al sonno (Schultz, 1986).

Il corpo, come sottolinea Galimberti (1997), è lo sfondo di tutti gli eventi psichici. Il training autogeno permette, dunque, di entrare in contatto con il proprio corpo diventando più consapevoli di sé. La persona riesce, grazie alla pratica di questa tecnica, ad entrare in uno stato d’attenzione passiva, a sospendere l’attività volitiva mettendo il mondo esterno tra parentesi e vivendo pienamente la propria corporeità. Si genera quella che viene chiamata commutazione autogena. La commutazione autogena è qualcosa che va oltre il rilassamento, è un cambiamento psicofisico globale che produce modificazioni fisiologiche e psichiche in noi stessi. Consideriamo lo stato di veglia e il rilassamento come gli estremi opposti.

Grazie a questa tecnica è possibile ritrovare un buon equilibrio psicofisico accedendo ad uno stato interno di benessere ed armonia. Con finalità terapeutiche il training autogeno offre la possibilità al paziente di esplorare il proprio corpo e liberare il suo linguaggio esprimendo quello che spesso non riesce a comunicare (Deganello, 2005 – 2006).

I benefici del training autogeno sono (Schultz, 1986; Peresson, 1985):
– Rilassamento e autoinduzione di uno stato di calma;
– Autoregolazione di funzioni corporee involontarie;
– Recupero energie fisiche e psichiche;
– Potenziamento delle prestazioni psicofisiche;
– Miglioramento delle capacità mnestiche;
– Autodeterminazione;
– Introspezione e autocontrollo.

Come nasce il training autogeno

Questo metodo è stato introdotto per la prima volta negli anni trenta da Johannes Heinrich Schultz, psichiatra tedesco, a partire dallo studio sistematico delle applicazioni dell’ipnosi e dell’autoipnosi in ambito clinico (Schultz, 1986).

H. Schultz è nato a Göttingen nel 1884. Ha studiato medicina nella città natale e successivamente a Breslavia e a Losanna. E’ stato docente di neurologia e psichiatria e poi, dal 1919, di psicologia medica a Dresda. Nel 1936 diventa Presidente dell’Istituto Germanico per le ricerche psicologiche e per la psicoterapia di Berlino; mantiene tale incarico fino al 1945.
Prosegue poi la propria attività di docente e di psicoterapeuta in ambito privato.

Nel secondo e terzo decennio del nostro secolo sviluppa le ricerche che lo porteranno alla formazione del Training Autogeno. Pubblica nel 1932 la prima edizione dell’opera “Il Training Autogeno“, dove descrive compiutamente il suo metodo. Alla sua morte, avvenuta il 19 settembre del 1970, tale opera è alla 13° edizione; attualmente alla diciannovesima in lingua tedesca e alla traduzione della dodicesima in lingua italiana.

Nel 1951 pubblica l’altra sua opera fondamentale: “La Psicoterapia Bionomica” 1951, dove espone il concetto di Bionomia applicato alle psicoterapie.
L’uomo in Schultz è inteso, infatti, in senso bionomico in quanto non può prescindere dalla propria completezza di corpo e psiche (Deganello, 2005 – 2006). Questa concezione bionomica della vita prende in considerazione la complessità dell’uomo che fin dalla nascita si esprime attraverso il corpo e le parole.

Nel modello Schultziano per Training Autogeno s’intende non solo il livello basale della tecnica – Training Autogeno Inferiore o meglio Basale – ma l’intero modello: “concezione della vita e delle sue leggi, concezione della personalità e dei disturbi psichici e psicosomatici che possono colpire l’uomo, comprende inoltre l’insieme dei procedimenti sia indirizzati alla psicopromozionalità e alla psicoprofilassi sia alla psicoterapia“.

Con Psicoterapia Autogena, s’intende porre ancora l’accento sull’intero modello però maggiormente focalizzato sul versante che mira a ricondurre da una situazione antibionomica a quella bionomica, cioè sul versante più specificatamente psicoterapico.

Per quanto riguarda il Modello psicoterapico Schultziano troviamo alla base della costruzione. Il Training Autogeno Basale che viene anche denominato Somatico in quanto si parte dall’ascolto delle sensazioni fisiche. Esso è l’A.B.C. di tutta la costruzione; ci si allena all’ascolto e all’accettazione profonda di tutto ciò che accade in sé quando s’impara a lasciare che accada.

Ci sono sei esercizi standard ognuno dei quali è contrassegnato da una “frase stimolo” che indirizza l’attenzione verso precise realtà corporee che sottendono simbolicamente realtà psichiche stante l’unità Psiche /Soma.

La Psicoterapia Autogena comprende, oltre al Training Autogeno Basale, anche le diverse modalità del Training Autogeno Superiore Avanzato, che su questa base si sviluppano.

Caratterizzano il modello schultziano i seguenti principi:
L’Autogonon, l’Unità Psiche/Soma, lo Stato Autogeno, l’Allenamento e la Bionomia,.

Come si svolge il Training Autogeno

La pratica del training autogeno necessita di abiti comodi e di un luogo preferibilmente protetto da rumori e luci intense.

Il training autogeno si divide in due gruppi di esercizi: ciclo inferiore e ciclo superiore. Gli esercizi del ciclo inferiore o somatico sono volti al raggiungimento della capacità di abbandonarsi all’ ascolto passivo del corpo e sono: pesantezza, calore, cuore, respiro, plesso solare e fronte fresca (Schultz, 1986). Gli esercizi del ciclo superiore invece sono deputati all’ ascolto passivo della psiche (Peresson, 1984).

Gli esercizi si possono attuare in tre posizioni, la posizione sdraiata, la posizione seduta e la posizione del cocchiere. In genere la posizione privilegiata nella fase di apprendimento è quella distesa. Il soggetto deve sentirsi comodo e a proprio agio.
Il primo passaggio è l’acquisizione della respirazione che generalmente è una respirazione diaframmatica e profonda che ossigenando i tessuti induce un primo stato di rilassamento psicofisiologico.
Il Training Autogeno si realizza poi attraverso una serie di esercizi di concentrazione, durante i quali l’individuo impara a ripetersi mentalmente determinate formule, mirate alla distensione di specifiche zone corporee.

Il primo passo per raggiungere, in modo semplice, il completo rilassamento dell’organismo è cominciare con il distendere la muscolatura scheletrica.

Poiché quando un muscolo è completamente disteso lo si percepisce pesante, Schultz stabilisce come primo esercizio del Training Autogeno quello della Pesantezza. Il soggetto deve cioe’ immaginare che il proprio corpo diventi pesante: si comincia con la formula “il mio braccio destro e’ pesante” (per i soggetti mancini sarà naturalmente il sinistro); si continua espandendo la sensazione al braccio sinistro con la formula ” Le mie braccia sono pesanti”; si procede gradualmente, generalizzando così la sensazione di pesantezza a tutto il corpo.

Il secondo esercizio, quello del calore, mira invece al rilassamento del sistema vascolare.
Tale condizione si realizza attraverso l’induzione del calore, che come per la pesantezza, dal braccio viene generalizzato a tutto il corpo.
Immaginando che il proprio corpo diventi caldo, è possibile, infatti, ottenere una reale vasodilatazione periferica, corrispondente alla distensione della muscolatura che ricopre i vasi sanguigni.

Lo stato di calma, già parzialmente ottenuto con i precedenti esercizi, viene reso più profondo con il terzo esercizio, quello del Cuore: in questa fase del training il soggetto deve ripetersi mentalmente la formula “il mio cuore batte calmo e regolare”.
Questo esercizio, regolarizzando l’attività cardiaca, permette il consolidarsi dello stato di rilassamento; inoltre essendo la funzionalità cardiaca molto influenzata da fattori psichici ed emotivi, l’esercizio favorisce una più profonda tranquillizzazione emotiva dell’individuo.

Anche il quarto è un esercizio di ritmo, che si concentra questa volta sul Respiro. Con la formula “il mio respiro è calmo e regolare” la respirazione diviene sempre più profonda e spontanea, avvicinandosi a quella che si ha durante il sonno.
Arrivate a questa fase, le persone dicono di raggiungere uno stato di calma sempre maggiore ed una minore interferenza da parte di pensieri disturbanti.

Con il quinto esercizio, ci si concentra, invece, sul Plesso solare, una struttura nervosa situata al di sotto del diaframma, tra lo stomaco e la colonna vertebrale, che si collega a numerosi organi interni: stomaco, intestino, fegato, pancreas, milza, reni e ghiandole surrenali.
Con la formula “il mio plesso solare è piacevolmente caldo”, una sensazione di piacevole calore e distensione, nascendo dalla zona del plesso solare, si estende a tutto l’addome e agli organi addominali sopra citati.

Il ciclo di esercizi si conclude con quello della fronte fresca; mentre per il corpo la distensione e il rilassamento vengono favoriti dalla vasodilatazione (esercizi della pesantezza e del calore), per quanto riguarda la testa, è la vasocostrizione a portare una piacevole sensazione calmante. Per questa ragione, l’ultimo esercizio prevede la ripetizione della formula “la mia fronte è piacevolmente fresca”, che induce nell’individuo una sensazione di benessere e rilassamento anche nella zona del capo.

Alla fine del sesto esercizio il soggetto ha acquistato una distensione corporea generale, che si manifesta, anche a livello mentale, con una profonda sensazione di calma; il rilassamento è ormai completo e profondo.
Molto spesso, quando il soggetto è già ben allenato e riesce a raggiungere lo stato di distensione psicofisica in modo sempre più automatico e spontaneo, si aggiungono ai sei esercizi standard delle ulteriori formulazioni, specifiche per quel particolare individuo. Queste formule aggiuntive, che vengono chiamate proponimenti, sono d’aiuto per quei soggetti che intendono modificare una certa condotta o le proprie reazioni in situazioni problematiche.

Al termine della sessione di training è inoltre buona prassi praticare degli esercizi di risveglio e recupero delle normali funzioni vitali, è consigliabile consentire a ciascun soggetto di prendersi il tempo necessario per quest’ultima fase.
Generalmente al termine di ciascuna sessione, svolta in sede di training o svolta a casa come esercitazione viene chiesto ai partecipanti un breve feedback riguardo all’esperienza appena conclusasi nella quale generalmente si approfondiscono le sensazioni fisiche e psichiche provate durante gli esercizi.

Le applicazioni cliniche del training autogeno

Il rilassamento, nelle sue due forme più canoniche ovvero Rilassamento Muscolare Progressivo di Jacobson (di cui abbiamo parlato) e Training Autogeno di Schultz, trova applicazioni nelll’ansia e nel distress legate all’ospedalizzazione (Neeru et al., 2015), alla depressione (Klainin-Yobas et al., 2015), allo stress scolastico (Dolbier & Rush, 2012), alla gestione del dolore in combinazione con altre tecniche (Finlay & Rogers, 2015), all’emicrania (Feuille & Pargament, 2015).

Una recente ricerca (Chellew, 2015) ha concluso che la riduzione dei livelli di stress rilevati tramite la secrezione di cortisolo è limitata, anche se la percezione della diminuzione di stress è sentita come significativa dai partecipanti. Un altro studio (Chen et al., 2015) atto a verificare le correlazioni tra le tecniche “mind-body” e le relative attivazioni cerebrali conclude che il rilassamento può discliplinare l’attività della corteccia prefrontale e le connessioni con le altre cortecce: quindi potenzialmente può aiutare le persone a modulare l’attività cerebrale in più sistemi di elaborazione cosciente delle emozioni.

Grazie al training autogeno, si producono delle modificazioni che permettono una regolarizzazione di funzioni vitali e uno scaricamento delle tensioni. L’esperienza clinica controllata ha dimostrato, attraverso studi effettuati in più parti del mondo, la validità del Training Autogeno (TA) nel controllo dell’ansia, dello stress e di molti disturbi che hanno carattere psicosomatico (Sutera, 2001; 2002).

Il training autogeno in medicina psicosomatica in particolare è indicato nel trattamento di molti disturbi come cefalea vasomotoria, gastrite, balbuzie, asma, eczema, tachicardia (Wallnöfer, 1993). È inoltre indicato per il trattamento di disturbi d’ansia, nevrosi fobiche, sindromi depressive reattive e per alcuni tipi di disturbi sessuali come vaginismo ed eiaculazione precoce (Wallnöfer, 1993; Zuliani, 2003 – 2004).

Il training autogeno è inoltre indicato per problematiche legate all’insonnia e in tutte quelle manifestazioni dolorose acute quali l’emicrania dove l’aspetto psicosomatico risulta estremamente rilevante. L’intero ciclo di training autogeno infatti è utile nella predisposizione al sonno, in quanto la pratica stessa del training autogeno indica un restringimento del campo di coscienza, cioè ci si concentra su un elemento specifico, lasciando sullo sfondo tutti gli altri.

Nel caso specifico, con i due esercizi fondamentali (della Pesantezza e del Calore) ci si concentra sul rilasciamento muscolare e sul calore distraendo l’attenzione dal consueto rimuginìo sull’aspettativa di addormentarsi e sul timore che ciò non avvenga, e – inaspettatamente e spontaneamente – ci si addormenta. L’esercizio del Calore, inoltre, provocando una vasodilatazione superficiale dei vasi sanguigni delle gambe e delle braccia, alleggerisce l’irrorazione sanguigna della testa, deviando il sangue verso gli arti e ciò provoca un effetto soporifero.
Anche l’esercizio del Plesso Solare – dato che i suoi effetti corrispondono a quelli della digestione – ha un effetto soporifero. L’esercizio della Fronte, infine, completa gli effetti di quello del Calore: “alleggerisce” la testa, lasciando che il calore fluisca nel resto del corpo (Hoffmann, 1980, pp. 333-337).

Il training autogeno è inoltre una tecnica molto utile anche in ambito sportivo. Grazie a questa tecnica, infatti, si ottengono molti benefici psicofisici, migliori prestazioni sportive, maggiore resistenza fisica e un più rapido recupero delle energie (Peresson, 1977). Hoffmann (1980) parla di Training Autogeno come “doping psichico naturale e consentito” per il miglioramento delle prestazioni sportive.

Uno studio di Z. Tomita con un gruppo di nuotatori che avevano appreso il Training Autogeno evidenziò (Peresson, 1977):
– Minore tendenza a sentimenti depressivi e a sentimenti di inferiorità;
– Maggiore apertura sociale;
– Maggiore obiettività nel considerare le situazioni di gara.

Grazie all’apprendimento del Training Autogeno si ottengono molteplici benefici, sia per il singolo atleta sia per la squadra (Peresson, 1977). Infatti può essere usato come “pausa profilattica” tra un tempo e l’altro della gara, per favorire il recupero delle energie psicofisiche. Inoltre, rappresenta un valido aiuto per contrastare l’ansia da prestazione in quanto permette di scaricare la tensione e l’emotività e di acquisire un maggior controllo su fattori emotivi che possono interferire negativamente con il buon esito di una prestazione sportiva. Non ultimo favorisce il rilassamento muscolare, riducendo così il rischio di contratture e di infortuni e praticato prima di una gara, favorisce una maggiore concentrazione durante la gara stessa.
Il Training Autogeno favorisce anche un miglioramento del “clima di squadra”: maggiore armonia, superamento di rivalità e antagonismi e aumento del senso di appartenenza e di coesione.

Controindicazioni alla pratica del training autogeno

Pur essendo estremamente versatile il training autogeno non è adatto a tutti, è infatti fortemente sconsigliato nelle patologie depressive e psicotiche. Un occhio di riguardo va dato nella pratica alle donne in stato di gravidanza che possono comunque avvicinarsi alla tecnica con alcune dovute accortezze, è infatti necessario apporre alcune modifiche nell’esecuzione dell’esercizio del calore e della pesantezza a causa della presenza di eventuali cambiamenti nel sistema circolatorio. La pratica del training autogeno è inoltre controindicata per persone in fasi acute di cardiopatie, soprattutto in soggetti che hanno riportato infarti negli ultimi sei mesi.

Fonti bibliografiche:

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