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10 Errori Cognitivi che ci Costano Cari

In tempi di crisi sarebbe opportuno non commettere “errori” nella gestione delle nostre risorse economiche, ma la buona volontà non è sufficiente. Il nostro giudizio è infatti offuscato da distorsioni cognitive che guidano scelte economiche non sempre oculate. Conoscere i dieci errori più tipici è il primo passo per evitarli.

Bancarotta - © Pakhnyushchyy - Fotolia.com1. L’errore dello Status quo. Il nostro sistema cognitivo ci induce a scegliere ciò che abbiamo già scelto in passato, anche se il mercato propone alternative più valide. Questo succede perché il cambiamento impone sforzi mentali maggiori e il saper tollerare una certa dose di incertezza. Il suggerimento è quello di osare l’acquisto di nuovi prodotti destinati comunque ad un rapido consumo così che, se non dovessero piacervi, ve ne possiate sbarazzare presto.

2. Razionalizzazione post-acquisto. Ammettere di aver commesso un errore pesa a chiunque. Ecco perché anche un acquisto evidentemente sbagliato ci appare un oggetto di cui non potevamo fare a meno: un gilet di lapin ad agosto diventa il capo più “cool” per affrontare il freddo del reparto surgelati.

3. La trappola della relatività. Il nostro giudizio in merito al prezzo è sempre relativo. Non sappiamo resistere ai saldi: duecento euro per un paio di sandali gioiello sono bruscolini se paragonati ai quattrocento del prezzo pieno. I commercianti sono consapevoli di questo nostro difetto cognitivo e ne approfittano esponendo qualche articolo a prezzo elevato così da far sembrare economico quello a fianco. Ma questo errore cognitivo può essere sfruttato a nostro favore se ci abituiamo a fare paragoni a largo spettro, utilizzando ad esempio i siti predisposti a questo.

4. Effetto possesso. Abbiamo la tendenza ad attribuire un valore maggiore alle cose che ci appartengono. Ecco perchè è spesso difficile cambiare casa: vorremmo vendere il nostro monolocale e con il ricavato comprare una villetta con giardino. A volte basta anche soltanto fare un’offerta per un articolo su eBay e già lo sentiamo un pochino nostro, quel tanto che basta per farcelo pagare oltre il prezzo esposto nel negozio sotto casa.

5. L’errore del presente. Ritrovarsi a pagare canoni esosi di contratti telefonici non ci spaventa se nell’immediato abbiamo nelle mani l’ultimo gioiello della telefonia mobile. Questo è dovuto alla tendenza a preferire un’immediata soddisfazione anche a costo di pene future. Prima di acquistare dovremmo invece pensare non solo a ciò che stiamo comprando oggi ma anche a ciò che ci ritroveremo in futuro.

6. Paura delle perdite. le persone tendono a vendere degli oggetti quando salgono di prezzo e a tenerli per sè quando calano di valore, ma questa strategia alla lunga potrebbe non essere quella vincente…

7. Familiarità. Scegliamo un prodotto perchè ci è familiare, motivo per cui la pubblicità funziona: più lo vediamo sponsorizzato più attribuiamo valore all’articolo.

8. Retrospettiva rosea. La tendenza a interpretare le nostre passate decisioni come migliori di quelle che in realtà sono prepara il terreno a commettere gli stessi errori.
9. Gratis. Un omaggio è una tentazione davanti alla quale non sappiamo resistere. Le offerte 3×2 nascono proprio per cavalcare l’onda di questo nostro difetto. E’ capitato a tutti di acquistare due inutili articoli per avere il terzo gratis con il risultato di aver sborsato dei soldi per entrare in possesso di non due, bensì tre oggetti di cui non avevamo alcun bisogno.

10. Impulsività. I peggiori guai economici sono dettati dalla mancanza di controllo o almeno da una sovrastimata capacità di mantenerlo davanti alle tentazioni. La soluzione è semplice: stare alla larga.

Ora che siete tutti più consapevoli degli errori cognitivi potete fare buon uso di queste informazioni per evitare un pericoloso dispendio di denaro. Io preferisco invece utilizzarle come scusa quando rientro a casa con qualche sacchetto di troppo: “Non è colpa mia, è che mi hanno disegnata così”.

BIBLIOGRAFIA:

  • Why We Buy: How to Avoid 10 Costly Cognitive Biases — PsyBlog
  • Linciano N. Gennaio 2011. Errori cognitivi e instabilità delle preferenze nelle scelte di investimento dei risparmiatori retail. N. 66 Studi e Ricerche. CONSOB, Divisione Studi Economici, Ufficio Analisi Economica.

LEGGI ANCHE:

  • Fenomenologia dello shopping compulsivo.


Your First Day of School will be Scary!

Parents’ words and anxiety disorders – part 4

Child & dog - © iofoto - Fotolia.comUp to this point in the series, I have discussed why it is so important to further understanding of the development of anxiety disorders in children. I have also touched on the importance of various types of parenting styles which may increase the development of anxiety in children. As I explained,parental discussions regarding unfamiliar situations or objects can increase their children avoidance. But why are some discussions doing this and not others? Surely the differences of a few words cannot change the development of our children in either the short or long term, could it? For the answer to these questions we turn to the experimental psychopathology literature.

A series of studies has investigated the transfer of information as a pathway to fear. One study asked children to perform a behavioral task involving novel animals, but first, children were read either positive, neutral or negative stories regarding the animals. Those children presented with negative stories showed a significant increase whereas those presented with positive stories showed a significant decrease. Those presented with no information showed no change during the behavioral task (Field & Lawson, 2003). One study used the same design; however, the experimenters presented information about social fear beliefs not novel animals. The study showed that children provided with negative information about uncommon social interactions showed increased social fear beliefs (Field, Lawson & Manerjee, 2008). Therefore, it appears that specific positive and negative information can change the way that children behave not only with novel non-social objects, such as animals, but it can also change the way they behave socially.

While these findings are interesting, further examination of literature using similar methods shed more light on the importance of other aspects of information transfer. Research has also shown that even after six months time, when presented with negative information, children still show behavioral avoidance. This finding was the strongest for those children between six and eight years old (Field, Lawson & Manerjee, 2008). But what about the source of information? Well it appears that the effect of negative information has the largest effect when it is presented to a child by an adult, rather than a peer or a non-informative control source (Field, Argyris & Knowles, 2001).

Thus it appears that specific positive or negative information does influence the behavior of children. In the next installment in the series I will be further discussing the effect of maternal psychopathology and child anxiety on mother-child conversations.

BIBLIOGRAPHY:

  • Field, A. P., & Lawson, J. (2003). Fear information and the development of fears during childhood: Effects on implicit fear responses and behavioral avoidance. Behavior Research and Therapy, 41, 1277 – 1293.
  • Field, A. P., Lawson, J., & Banerjee, R. (2008). The verbal threat information pathway to fear in children: The longitudinal effects on fear cognitions and the immediate effects on avoidance behavior. Journal of Abnormal Psychology, 117, 1, 214 – 224.
  • Field, A. P., Argyris, N. G., & Knowles, K. A. (2001). Who‟s afraid of the big bad wolf: A prospective paradigm to test Rachman‟s indirect pathways in children. Behavior Research and Therapy, 39, 1259 – 1276.

 

READ ALSO: – Part 1 – Part 2 – Part 3

 

 


Assisi 2011: Intervista a Francesco Mancini

State of Mind intervista Francesco Mancini: Direttore della SPC, Scuola di Psicoterapia Cognitiva. Il significato del IV FORUM sulla Formazione in Psicoterapia:

L’Ossessione d’Amore è poco Rock e molto Lenta: Freedom (di Jonathan Franzen)

Freedom, di Jonathan Franzen: un libro del quale si è molto discusso, sia in bene (l’autore è finito sulla copertina di TIME come narratore dell’anno 2010), sia in male: andate a vedere la recensione del New York Review of Books. Ma a un terapeuta, cosa può interessare del libro?

Jonathan Franzen - Cover of TIME

Patty, una campionessa di baseball, si trova a dover scegliere tra due uomini, quello buono, ma un po’ goffo, e tendente ad arrossire, che lotta ogni giorno per essere amato da lei per fedeltà, bontà, e amore, e quello maledetto, un musicista ondivago e insicuro “sciupafemmine” e tormentato, che solo molto tardi nella vita avrà successo con la sua band. Patty a un certo punto mentre si rende conto di quanto preferisca Richard il musicista, a Walter il fedele corteggiatore, (lei ha 21 anni quando tutto succede), decide di seguire Richard in un viaggio per tornare a casa per una cerimonia. Essendo Richard quello che è, ubriacone, inaffidabile, a un certo punto del viaggio impone a Patty tali esperienze di frustrazione e mancanza di attenzione, che la nostra protagonista si impaurisce, si convince di non piacergli, e sconfortata, torna da Walter, si fidanza con lui e dopo un po’ lo sposa.

Ovviamente questo è solo un pezzo di una trama complessa e ricca che non voglio raccontare qui. In realtà per tutta la durata di Freedom uno dei plot è proprio il dolore di Patty che ha scelto con la testa, e la sua difficoltà e il suo rimpianto per Richard. Patty su questo si ferma, fa due figli, lavora a fatica, rimugina e rumina ininterrottamente, e mentre Walter si dà da fare per tenere insieme famiglia, figli, lavoro, progetti e sogni ambientalisti, Patty cerca di dare un senso a tutta la sua vita ma la posizione di ruminazione nella quale si mette, spesso sfocia in depressioni importanti che la portano anche a un lungo periodo di alcolismo.

 

Il rimuginio di Patty e l’ossessione amorosa in Freedom

Il doloroso rimuginare di Patty la lascia in una adolescenza prolungata fino a quasi 50 anni. E ci si chiede perché una donna intelligente, che nelle battute appare a tratti fulminante e indimenticabile (con il figlio, con la figlia, con Richard stesso) sia così lenta nel capire e nel dividere il grano dal loglio. Ecco si ha netta la sensazione che la differenza di funzionamento tra il dirimere le sue ossessioni d’amore e il resto della sua intelligenza, sia proprio dovuta alla ruminazione, al costante dubbio, passando da una posizione all’altra trovandole entrambe in momenti diversi vere uniche e credibili.

Chi fa così rallenta. E Patty, che nasce veloce, diventa nel libro sempre più lenta.

Spesso in terapia troviamo persone che a causa di una infanzia con poco amore o molta distrazione o con molto maltrattamento e poca cura, restano fermi nel dilemma dell’ossessione d’amore per tutta la vita.

Non riuscendo mai a capire quando è il momento di smettere di paragonare cose che non si possono paragonare, e decidere una solitudine affannosa e sessualmente eccitante, oppure un matrimonio sicuro solidale e a volte intimamente noioso.

Ma Franzen è autore benevolo con i suoi personaggi, non li abbandona a sé stessi e consente loro di cambiare e di capire. Patty cambia, ma molto molto tardi e si salva soltanto quando è al limite del libro e della storia. Guarisce al limite dell’oblio, suo e del suo amore. Certo che una buona psicoterapia avrebbe accorciato il libro ma reso Patty più serena molto prima. Per fortuna i personaggi dei libri di franzen non vanno spesso in terapia.

 

FREEDOM: INTERVISTA A JONATHAN FRANZEN

 

Assisi 2011: Intervista a Sandra Sassaroli

Una breve intervista a Sandra Sassaroli, Direttore di Studi Cognitivi, riguardo al Forum sulla Formazione in Psicoterapia di Assisi.

Giovedì 20-10-2011

rassegna stampaEconomia mentale: dimenticare serve a ricordare.

Immaginate cosa succederebbe se dovessimo ricordare tutti i posti in cui parcheggiamo la macchina ogni sera quando torniamo a casa… ben presto lo spazio mnestico a disposizione nella nostra mente finirebbe e sopratutto risulterebbe interamente occupato da informazioni completamente inutili! Ciò che conta infatti è il poter ricordare dove abbiamo messo la macchina la sera prima e non tutte le sere della settimana o dell’anno, questo infatti è qualcosa che possiamo tranquillamente dimenticare, liberando spazio prezioso per la memorizzazione di informazioni aggiornate e quindi molto più utili. La notizia apparsa su Current Directions in Psychological Science descrive uno studio condotto all’University of Illinois di Chicago i cui risultati sono a sostegno dell’idea che chi è in grado di dimenticare facilmente le informazioni inutili è facilitato nel problem solving e nel memorizzare informazioni anche senza concentrazione.

 

Verità o fantasia? Le indecifrabili parole dei bambini.

Le probabilità che un adulto riesca a capire se un bambino mente o parla a sproposito sono più basse che se tirasse a indovinare. questi i risultati di uno studio apparso su Applied Cognitive Psychology che sembrano avere importanti implicazioni nelle indagini su abusi sessuali e fisici, che spesso devono fare affidamento sulle testimonianze dei bambini. Questi ultimi infatti possono intenzionalmente fornire testimonianze inesatte se indotti a mentire perché suggestionati dai contenuti delle domande poste, ma nonostante questo la credibilità di un bambino, come anche quella di un adulto, raramente è messa in discussione. La causa è nel bias della verità, un errore cognitivo che porta a sovrastimare la probabilità che gli altri siano naturalmente portati a raccontare le cose per come realmente stanno.

 

Musica: tenere il ritmo aiuta attivamente il processo dell’ascolto.

Muoverci, tenere il ritmo con le dita o con un piede mentre ascoltiamo buona musica non è solo un sintomo dell’apprezzamento ma favorirebbe anche la qualità dell’esperienza di ascolto, ampliando la nostra capacità di comprenderne il ritmo. La ricerca sottolinea la complessa relazione tra percezione e azione. Condotta da Michael Schutz della McMaster University, è stata recentemente presentata alla conferenza Acoustic Week a Quebec City,

 

Comportamenti pro-sociali e cibi dolci.

La preferenza per i cibi dolci predice atteggiamenti e comportamenti prosociali. Un nuovo articolo che sarà prossimamente pubblicato su Journal of Personality and Social Psychology propone, sulla base degli esiti di ben cinque studi, un legame tra la tendenza a preferire il gusto dolce, punteggi più elevati nel tratto di personalità della disponibilità, maggiore propensione a impegnarsi in attività di volontariato. D’altra parte tale associazione non è stata verificata in relazione alle preferenze per gli altri quattro gusti. Curioso, come le metafore che spesso utilizziamo nelle nostre conversazioni affettive possano ora trovare un riscontro empirico tra tendenze prosociali e il piacere di gustarsi un buon dolce!

L’occhio della mente o il tocco della mente?

Mind & Memory - © Gizele - Fotolia.comLeggiamo sul volume settembrino di Cerebral Cortex una interessante ricerca svolta dai ricercatori della USC. Damasio e colleghi hanno scoperto che quando guardiamo un oggetto il nostro cervello non solo elabora le caratteristiche fisiche dell’oggetto in questione, ma recupera in memoria anche i ricordi legati alle sensazioni che tale oggetto dà al tatto. La connessione tra “mind’s eye” e “mind’s touch” è così forte che elaborando solo le informazioni ottenute toccando un oggetto, spesso riusciamo a riconoscere l’oggetto che abbiamo di fronte.

Basandosi su precedenti lavori che hanno indagato le connessioni tra le zone visive e quelle uditive del nostro cervello, Damasio e i colleghi del Dornsife Brain and Creativity Institute della University of Southern California hanno utilizzato scansioni fMRI (Functional Magnetic Resonance Imaging) per indagare le interazioni tra memoria e sensorialità. I ricercatori hanno chiesto a un gruppo di soggetti, mentre venivano sottoposti a risonanza magnetica funzionale, di guardare cinque video clip che mostravano alcune mani impegnate nell’azione di toccare vari oggetti. L’elemento interessante, anche a livello metodologico, riguarda il riconoscimento automatico da parte di un software delle azioni che i soggetti avevano visualizzato nei cinque diversi video, proprio a partire dalle aree cerebrale attivatesi; in altre parole, un computer programmato per l’esperimento, una volta ricevuti e analizzati i dati della scansione fMRI, è stato in grado di “indovinare” e riconoscere in modo accurato quale tra i cinque video stessero guardando i soggetti, proprio inferendolo a partire dalle specifiche aree cerebrali attivate.

I risultati della ricerca, secondo gli autori, mostrano che “sentire tramite il tocco della mente, il cosiddetto “mind’s touch”, attiva le stesse zone del cervello che si attiverebbero toccando realmente un oggetto“. Il cervello umano acquisisce e immagazzina le sensazioni fisiche, e successivamente le ripete nel momento in cui dispone del “suggerimento” dato dallo stimolo visivo. Insomma, una volta che sfioriamo la pelliccia di un cucciolo arruffato, sfogliamo la pagina di un libro antico o pizzichiamo le corde di una chitarra gustandone le successive vibrazioni sotto i polpastrelli, non ce la scordiamo più. Tenendo sempre “a mente” quanto l’emozione suscitata da tutto ciò contribuisca a fissare il ricordo…

BIBLIOGRAFIA:

  • K. Meyer, J. T. Kaplan, R. Essex, H. Damasio, A. Damasio (2011). Seeing Touch Is Correlated with Content-Specific Activity in Primary Somatosensory Cortex. Cerebral Cortex. 21(9).

Ambizione & Determinazione. Vinco perché mi piace giocare

L’importante è vincere o partecipare?

Ambition_© herfis - Fotolia.comMi sono fatta questa domanda al ritorno dal mio secondo Forum di Assisi, un evento pensato e organizzato per i giovani psicoterapeuti in Formazione che hanno voglia di fare ricerca, e che si conclude con la premiazione dei lavori più meritevoli.

Due anni fa vi ho partecipato da osservatore silente, quest’anno invece ho portato un mio contributo, ma non ho vinto. Eppur sento di aver vinto…..ma non mi spiego perché, o meglio rischierei di cadere in un banalissimo sproloquio che potrebbe suonare più o meno come un consolatorio e ipocrita elogio alla perdita.

Ho pensato allora più in generale a che cosa avesse spinto me, o comunque, a cosa potesse spingere una persona a pensare di partecipare a un evento in cui qualcuno vince o comunque si “mostra” e la prima cosa che mi è venuta in mente è il concetto di ambizione, la cui definizione da dizionario italiano è “desiderio di ottenere qualcosa”. Secondo uno studio realizzato alla Washington University di Saint Louis nel Missouri, l’ambizione si misura in termini di determinazione, in qualche modo la conclusione a cui i ricercatori sono giunti è che chi non molla e non si fa abbattere dalle difficoltà o dalle delusioni, chi è determinato, attiva la zona limbica sede emotiva dell’encefalo ed è quindi ambizioso. I ricercatori americani hanno sottoposto ad alcuni studenti, un questionario volto a verificare il loro livello di determinazione: durante lo svolgimento del compito, hanno monitorato i cervelli degli studenti in azione, rilevando che ad attivarsi è proprio la zona limbica, strettamente collegata all’elaborazione delle emozioni. Altri studi sui gemelli condotti in Australia e negli Stati Uniti, dimostrano invece che l’ambizione è ereditaria al cinquanta per cento.

Ancora non so come rispondere alla domanda posta all’inizio, ma provo a spiegare almeno questa mia sensazione unendo quanto dicono queste ricerche e pensando a quanto scrive Kahlil Gibran “l’ambizione è una sorta di lavoro” quindi una continua ricerca, come una pulsione costante verso un obiettivo, un desiderio vivo e ardente che non si soddisfa mai; l’importante non è vincere, non è ciò che raggiungi ma ciò che vorresti raggiungere, ciò che apprendi mentre cerchi di raggiungerlo, e laddove pensi di averlo raggiunto, il continuare ad avere curiosità per interrogarsi su qualcos’altro.

Ecco, credo questo sia accaduto a me, e spero a tanti altri giovani ricercatori: sentire il desiderio di raggiungere, esporsi, provarci sempre senza esitare, scoprire, apprendere, domandarsi, confrontarsi, discutere, condividere e quindi “godersi il viaggio”, insomma per citare, chi ha citato: “Be Hungry”.

Io che non sono nata né tanto ricercatrice, né tanto ambiziosa, penso che si possa imparare tutto questo e portarselo con sé per godersi pienamente il viaggio. Presuntuosamente mi piace pensare che fosse un po’ questo l’obiettivo di chi ha pensato il Forum e credo non ci sia dono migliore di questo insegnamento durante una formazione, qualunque essa sia.


Dove trattare l’Ansia… Due parole con l’esperta!

Nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale è possibile trovare clinici con una formazione specifica nel trattamento dei disturbi d’ansia. Anche all’interno di piccole realtà è possibile trattare questi disturbi in modo efficace avvalendosi di protocolli farmacologici e psicoterapici. Ne parliamo con la Dott.ssa Leveni, responsabile del Centro per il Trattamento dei Disturbi d’Ansia dell’Azienda Ospedaliera di Treviglio Caravaggio.

 


Ansia_pulsante_© Vanessa - Fotolia.comCom’è strutturato il servizio nel quale lavora?

Il Centro per il Trattamento dei Disturbi d’ansia è all’interno dell’Ambulatorio Psico Sociale di Zogno in Val Brembana, in provincia di Bergamo. L’Ambulatorio è una struttura territoriale psichiatrica dell’Azienda Ospedaliera di Treviglio ed è formato da una piccola équipe composta da due medici, uno psicologo e un’assistente sociale; in passato avevamo quattro infermieri e un educatore a tempo pieno, ma negli anni l’educatore è stato spostato alla struttura riabilitativa e gli infermieri sono diventati tre con impegno part-time e uno a tempo pieno: il minimo per tenere in piedi una struttura di questo tipo. La competenza territoriale dell’Ambulatorio comprende tutta la Val brembana e alcuni comuni più popolosi alle sue porte, per un totale di circa 65.000 abitanti. Gli psichiatri lavorano a tempo pieno, hanno la necessità di gestire tutto quello che arriva in una struttura psichiatrica pubblica: gli adulti dai 18 anni in su, tutti i disturbi mentali e le patologie che hanno correlati sul piano psichico, come ad esempio il ritardo mentale che può necessitare del consulto psichiatrico per quanto riguarda le condotte comportamentali che possono essere disturbanti, oppure la senilità in cui il quadro organico può necessitare di una consulenza per l’invalidità civile.

L’Ambulatorio di Zogno tratta esclusivamente i disturbi d’ansia?

Come struttura psichiatrica territoriale l’Ambulatorio Psico Sociale si occupa in realtà di tutti i disturbi mentali, dalle forme più leggere e diffuse, come i disturbi d’ansia, ai disturbi che necessitano di un intervento più complesso come le psicosi. MA dal 1999, l’Azienda Ospedaliera di Treviglio ha istituito, all’interno dell’Ambulatorio di Zogno, il CETRADA, ossia una sotto équipe che si occupasse prevalentemente dei disturbi d’ansia e della depressione; il nucleo di tale sotto équipe è in realtà costituita da me e dagli psichiatri dell’Ambulatorio: i medici fanno da filtro e gestiscono le eventuali terapie farmacologiche, mentre io, come psicologa, mi occupo quasi esclusivamente dei trattamenti psicoterapici specifici per questi gruppi di patologie.

Una sorta di ottimizzazione delle forze in campo…?

Esatto, questa ristrutturazione è figlia della necessità di gestire meglio le sempre più scarse risorse a fronte di un costante aumento delle richieste di trattamento e dalla convinzione che nessuno può fare tutto ma ci sono sempre margini di miglioramento. Nella psichiatria pubblica infatti vige un po’ la regola implicita che uno psicologo possa e debba occuparsi di tutte le forme di disagio psichico, fornendo le più svariate forme di prestazioni, dalla psicoterapia alla riabilitazione, all’inserimento lavorativo. Al tempo stesso siamo d’accordo con l’idea che, in linea con l’evoluzione di tutte le altre discipline mediche, sia importante e necessario specializzarsi in un settore per offrire trattamenti aggiornati ed efficaci. Teniamo inoltre presente che nella psichiatria pubblica si ritiene che il mandato sia quello di occuparsi delle patologie gravi, intendendo quasi esclusivamente le psicosi e i gravi disturbi di personalità. Io mi occupo di quella che in termini un po’ dispregiativi in passato veniva definita come “psichiatria minore” e adesso “psichiatria comune”, cioè di quei disturbi che si ritiene che non arrechino eccessivo danno alla persona o eccessivo disturbo alla società. In realtà l’ampia diffusione dei disturbi d’ansia e depressivi e il loro alto rischio di cronicità comportano dei costi sanitari-sociali-relazionali molto elevati. Senza contare l’altissimo numero di pazienti che con un aumento minimo di fondi e strumenti a disposizione, potrebbero ottenere trattamenti efficaci, di una durata ragionevole e a costi contenuti. Il CETRADA offre prestazioni anche a persone fuori dal territorio di competenza essendo considerato un centro ad alta specializzazione e sovrazonale.

Quali sono le difficoltà nel portare avanti un protocollo così ben strutturato, come quello che offrite nella vostra struttura? In una realtà così piccola?

Grosse difficoltà non ci sono state e la risposta è stata positiva non solo nella nostra realtà. Abbiamo un sito internet [Ndr. www.cetrada.it] e i pazienti arrivano da tutta Italia, in un certo senso “volere è potere”. La maggior parte degli invii di solito, oltre che da Internet, viene fatta da parte di altri pazienti o dai medici di base, come risultato di un passaparola diffusosi negli anni.

Quali sono i pro e i contro nello svolgere il suo lavoro in provincia?

Un vantaggio è il fatto che trovandoci in una zona decentrata non siamo oberati da troppe richieste di emergenza e urgenza, più tipiche delle grandi città ad alta densità di popolazione. Questo ci ha permesso di partecipare a molti progetti, che per una struttura più grande è più difficile. Un altro aspetto positivo è il fatto di lavorare con una èquipe molto piccola, il ché facilita la comunicazione tra i vari operatori. Essere decentrati non è mai stato un limite in questo senso, nel corso degli anni abbiamo contattato diversi professionisti, ad esempio portiamo avanti un gemellaggio Zogno-Sidney con i colleghi del CRUFAD (Clinical Research Unit for Anxiety Disorders), Centro per i Disturbi d’Ansia, che  collabora con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e del quale abbiamo adottato la metodologia di intervento. L’unico aspetto negativo potrebbe riguardare la selezione a monte dei pazienti, nel senso che, essendo in una zona periferica e decentrata, spesso è abbastanza difficile per alcune persone raggiungerci: per esempio non c’è una stazione ferroviaria e l’autostrada dista circa 20 Km. Una persona che presenta problemi agorafobici potrebbe considerarci “inaccessibili”, così come chi viene da fuori provincia. Se avessimo la sede a Bergamo città probabilmente l’afflusso di utenti sarebbe molto maggiore.

 

LINKS:

www.cetrada.it

Seconda giornata del forum di Assisi 2011 – Due presentazioni sui disturbi alimentari

IV Forum sulla Formazione in Psicoterapia - Assisi 14-16 Ottobre 2011 -Copyright immagine: © Roberto Zocchi - Fotolia.comNella giornata del 15 ottobre del forum di Assisi mi hanno colpito due presentazioni, entrambe dedicate ai disturbi alimentari. Le ricordo per la loro originalità, e ne riporto alcune impressioni. La prima era di Eleonora Dovera e Giuseppe Pantaleo e esplorava alcune variabili di solito trascurate nei disturbi alimentari: la sfiducia interpersonale e l’ascetismo, che naturalmente non è l’ascetismo religioso ma una variabile cognitiva e comportamentale definita da David Garner negli anni ’80 e che indica la tendenza delle pazienti con disturbo alimentare a compiacersi del loro elevato grado di autocontrollo alimentare.

Entrambe queste variabili sono in relazione con la forte discrepanza tra peso reale e peso desiderato, situazione tipica dei disturbi alimentari. Dovera e Pantaleo hanno dimostrato che queste due variabili mediano tra questa discrepanza e il disturbo alimentare stesso. Tra le due variabili quella più interessante è la sfiducia interpersonale, proprio perché introduce una componente relazionale nella comprensione della psicopatologia dei disturbi alimentari e ci consente di comprendere quealcosa della mentalità delle pazienti affette da questi disturbi. Il rifiuto del cibo ha quindi un aspetto di aggressività provocatoria che sfocia in una visione degli altri diffidente e sfiduciata. Naturalmente a loro volta sfiducia e diffidenza rimandano al ben noto senso di inadeguatezza di queste pazienti. Ma mentre l’inadeguatezza rimane uno stato emotivo tutto nel versante dell’ansia e dell’insicurezza, la sfiducia rimanda alla rabbia. L’esibizione di una forte autocontrollo, il cosiddetto ascetismo, diventa quindi una esibizione di forza e una rassicurazione.

Queste intuizioni di Dovera e Pantaleo sembrano essere confermate dallo studio successivo presentato da Animento, Baiocco e Mezzaluna che hanno trovato una correlazione tra rimuginio rabbioso e sintomi dei disturbi alimentari. In sintesi, questi due lavori mi paiono interessanti perché mostrano un aspetto emotivo di colore rabbioso nei disturbi alimentari. In questo modo la tavolozza psicologica si espande e va al di là dei soliti temi di tipo ansioso del perfezionismo e della bassa autostima di solito usati per descrivere i disturbi alimentari. Anche il controllo assume, dopo aver ascoltato i risultati di questi due studi, una coloratura più rabbiosa e collerica.

L’insostenibile pesantezza dei secondi. Narcisismo, ossessioni e un pianista irraggiungibile

Chi ha letto il testo di Dimaggio e Semerari (2006) sui disturbi di personalità, potrà essere rimasto incuriosito dallo strumento letterario che Dimaggio utilizza per descrivere il disturbo narcisistico di personalità. L’opera analizzata è il Il soccombente di Thomas Bernhard (1999), straordinario autore tedesco del Novecento.

Piano_© Martin Suchanek - Fotolia.com Il romanzo narra il progressivo sgretolamento di una mente, di una personalità, quella del soccombente appunto, che dedica ogni risorsa vitale allo studio del pianoforte con l’obiettivo di diventare non un pianista, non un grande pianista e nemmeno uno dei più grandi concertisti, bensì il più inarrivabile interprete del secolo. Il protagonista dell’opera ha studiato a Salisburgo sotto l’insegnamento del genio Horowitz e suo compagno di viaggio è stato un altro pianista la cui morte per suicidio è precedente al tempo della narrazione. Il tema che unisce i due personaggi è l’incontro con Glenn Gould, che da allievo di Horowitz diventerà…Glenn Gould, spalancando agli altri il dramma di non saper eguagliare le sue esecuzioni.

Ciò che colpisce de Il soccombente è innanzitutto la forma utilizzata, peraltro non nuova nelle opere di Thomas Bernhard; il testo è un flusso ininterrotto, non ha alcuna suddivisione in capitoli e paragrafi né alcun capoverso. E’ certamente illeggibile per chi voglia trangugiarlo tutto d’un fiato, poiché a dispetto della lunghezza piuttosto ridotta diventa subito un percorso sfiancante all’interno di una mente travolta dalle ossessioni.

Proprio questo aspetto lo rende intrigante: la disgregazione delle fantasie narcisistiche si fonde con lo strapotere di una ricorsività incontenibile, poche idee possono ripetersi per pagine e pagine sia nei contenuti sia nella forma e il quadro che ne emerge è una sconcertante riproduzione dei processi mentali che definiscono la struttura ossessiva.

Il protagonista, nei pochi minuti di attesa prima di un appuntamento, è sommerso dal flusso inarrestabile di pensieri che ripercorrono l’ascesa e la caduta di un sogno impossibile, la frustrazione ora malinconica ora disperata di chi non sa darsi pace per essere rimasto nell’ombra pur avendo ricevuto dalla natura un talento eccezionale. Essere sconfitto in una battaglia tra eletti è ancora più devastante poiché il soccombente ha sfiorato la gloria, l’ha osservata a lungo credendo di poterla raggiungere e per molto tempo ha unito il contenuto delle proprie fantasie a quelli che sembravano dati di realtà, prima di doversene separare per sempre.

Se pensiamo a un narcisista grave, che dopo aver superato la diffidenza nei nostri confronti comincia a compiere qualche timido passo verso il contatto col proprio dolore, col proprio senso di drammatica piccolezza, è affascinante chiedersi quale sia il linguaggio del suo dialogo interno, come si rappresenti il fallimento dei propri scopi grandiosi e quanto invasiva sia, nella sua attività di pensiero, la ripetizione dei temi di sofferenza.

Il soccombente è un ritratto portato all’estremo ma che certamente potremmo ritrovare, nei casi più sfortunati, esercitando la pratica clinica. Leggere quei passi, molto particolari e certamente destinati a non incontrare il favore di parecchi fruitori di letteratura, ci può condurre a considerare un grave narcisista innanzitutto come un grave ossessivo; questo aspetto ci aiuta a comprendere molte resistenze del paziente, che in una fase avanzata della terapia sembra bloccato sui contenuti di pensiero della propria inadeguatezza e pare sempre distante da un conciliazione con ciò che non è stato. Le fantasie grandiose lasciano il posto a temi ricorsivi nei quali i costrutti non mutano mai, le credenze centrali non si scalfiscono e l’emozione sofferente, la sofferenza, diventa verbosità, rifugio nella ripetizione acritica.

Il soccombente della nostra esperienza clinica non riesce né a fermare il flusso né a riflettere sul processo; diventa assai difficile che egli possa spostarsi sul presente e sulla realtà, maneggiare l’emozione effettiva che lo muove e accettare una decisiva generalizzazione, “non vado in crisi quando non sono il migliore ma ogni volta che non ricevo attenzioni”.

Il soccombente di Thomas Bernhard è imprigionato nel triangolo con Glenn Gould e il compagno suicida, luogo dell’ultimo e più elevato scopo di una lunga catena di bisogni rimasti ignorati, ma questa è un’inferenza del terapeuta. Il lettore consiglia invece l’incontro con quest’opera, anche una piccola parte se l’insieme risulta indigesto; al termine si avrà il respiro corto e affannoso che segue l’esplorazione del lato oscuro, della ragione che soccombe.

Mindfulness

Psicopedia - Proprietà di State of Mind Sempre più conosciuta e praticata sia in psicoterapia cognitiva sia in contesti molto differenti, dalla formazione dei manager allo sport, la mindfulness è una forma di meditazione applicabile all’attività clinica. La mindfullness è una pratica di attenzione consapevole, intenzionale, non-giudicante nel momento presente”. Jon Kabat-Zinn, primo al mondo a portare la mindfulness nel contesto psicoterapico, dice che per nutrire il terreno del nostro atteggiamento, affinché la nostra pratica della consapevolezza possa crescere rigogliosa e fiorire, dobbiamo coltivare sette atteggiamenti: non giudizio, pazienza, la “mente del principiante” (essere disposti a guardare ogni cosa come se la vedessimo per la prima volta), fiducia, non cercare risultati, accettazione, lasciare andare, impegno nella pratica e visione di ciò che si desidera per se stessi. Negli ultimi venticinque anni la mindfulness è stata efficacemente applicata su diverse psicopatologie. Esempi? depressione, disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, post-traumatico da stress, dipendenze, dolore cronico e fibromialgie, solo per citarne alcune.

La difficile convivenza di libertà e ordine

Manifestazione - © iMAGINE - Fotolia.comQualche anno fa un crudele Corrado Guzzanti sapeva prendere in giro quel partito che allora si chiamava “Casa delle Libertà”. E come?  Sottolineando come appunto, nella Casa delle Libertà, ognuno fa un po’ come gli pare. Contraddittorio con la fede di sinistra di Guzzanti? Possibile. Ma aveva ragione: non c’è libertà senza regole. E poi, come diceva Whitman, che importa contraddirsi? “Mi contraddico? Certo che mi contraddico! Sono grande, contengo moltitudini”. Continua a leggere su Affari Italiani

Il Potere Politico dei Social Media in Italia – Seconda Parte –

Prosegue dall’articolo di ieri: Il Potere Politico dei Social Media – Prima Parte – .

E in Italia?

IndignatiCome giustamente cantano i Daft Punk, Television Rules the Nation. Il duopolio televisivo concentrato e controllato dal potere centrale restituisce un’immagine a dir poco parziale della situazione del paese, i quotidiani -con la sola eccezione de Il Fatto Quotidiano– sono controllati da gruppi di potere, dipendenti in maniera morbosa da introiti pubblicitari e finanziamenti pubblici, così tornando al punto di partenza. Poi c’è un altra Italia, che davvero pare un paese diverso, l’Italia online, dei social network, della politica dal basso, della cittadinanza attiva. Anche nel Belpaese abbiamo la nostra brava fetta di slacktivists, di pigri cliccatori di “Salviamo la foca monaca” ma questa non è che la punta visibile e banale dell’iceberg. Alienati dai mezzi di comunicazione di massa tradizionali -imbavagliati e maldestri-, delusi da vent’anni di Berlusconismo conditi da un’opposizione patetica, gli italiani hanno sposato i social media con un entusiasmo e un’energia prodigiosa.

Basti pensare al movimento Cinque Stelle, nato nelle piazze e coordinato sulla rete, che è stato in grado di organizzare e coordinare i due V day. Come Shirky non si stanca mai di ripetere, gli strumenti forniti dai social media non sono un rimpiazzo per l’azione politica nel mondo reale, quanto un potentissimo strumento per coordinarla. Il movimento NO TAV, nato in Val di Susa, è stato in grado grazie alla rete di raccogliere proseliti e simpatizzanti da tutte le regioni di Italia e persino dall’estero. L’informazione ufficiale ha provato in tutti i modi a rappresentare il problema TAV come una disputa tra stato centrale e pochi montanari retrogradi contrari al progresso. Il coordinamento in rete ha invece evidenziato come la Val di Susa e il progetto suicida della TAV fossero un problema strategico di portata nazionale, che riguarda l’intero paese e in cui la soluzione deve essere concertata trovando un accordo tra istituzioni e popolazione.

Volantino Facebook ReferendumMa l’esempio più lampante del potere politico dei social media l’abbiamo avuto il 12 e 13 giugno 2011. A inizio anno il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e Italia dei Valori hanno promosso un referendum abrogativo per annullare le leggi sulla privatizzazione dell’acqua pubblica, sulla reintroduzione del nucleare in Italia e sul Legittimo Impedimento.

La copertura mediatica riguardo al referendum è stata imbarazzante: i giornali ne hanno parlato pochissimo, le televisioni ancora meno. La maggioranza ha tentato mosse barbine per invalidare il referendum e si è addirittura arrivati al parossismo: il 4 giugno il TG1 riporta la notizia della chiamata al voto per gli italiani “sbagliando” le date del quesito referendario. La rettifica arriva alla chetichella e nessuna conseguenza per il “giornalista” che aveva annunciato la notizia.

Il referendum del 12-13 giugno ha registrato la maggiore affluenza dopo quello del 1987, ed era dal 1995 che non si raggiungeva il quorum, e tutto questo è stato possibile grazie alla politica dal basso, grazie a centinaia di piccole associazioni di cittadini impegnati che si sono coordinati in rete. Ricordo l’entusiasmo di questa primavera, sul newsfeed di Facebook si poteva misurare la temperatura politica degli italiani online, il loro impegno, fosse il pigro click sul “mi piace” o lunghe ed estenuanti operazioni di viral marketing per raccogliere contatti, per allargare le mailinglist, per convincere tutti quelli già informati a farsi carico di portare a votare quante più persone fosse possibile.

Le iniziative sono state tantissime, fantasiose e commoventi, si aveva davvero l’impressione che “O adesso o mai più” o prendendo a prestito da un’altra grande iniziativa nata sulla rete: “Se non ora quando?”. Ci voleva un segnale, un segnale per “loro” e un segnale per “noi”, per rassicurarci, per misurare le nostre forze, il nostro peso e il nostro potere nell’orchestrare un cambiamento. A pochi giorni dal voto si è persino organizzato il TAXI QUORUM: chi aveva a disposizione un automobile si iscriveva a un gruppo su Facebook per offrire accompagnamento ai seggi ad anziani e invalidi. Il risultato referendario del 12 e 13 giugno ha anche rappresentato la dimostrazione della potenza di un nuovo modo di auto-organizzazione delle persone, che da sole, senza demagogia hanno riscoperto l’amore per la politica, quella di tutti i giorni. Il Quorum è passato. Grazie a Facebook, ai blog, alle reti e alle associazioni.

E poi, sembra brutto dirlo, grazie anche a Fukushima, perché non tutto il male viene per nuocere.

BIBLIOGRAFIA:

Il Potere Politico dei Social Media

Indignati 17 gennaio 2001, Manila: Il presidente delle Filippine Joseph Estrada è sotto impeachment, in parlamento i suoi fedeli votano un provvedimento che invalida l’utilizzo di prove fondamentali nel processo contro di lui. Nell’arco di due ore dalla divulgazione della notizia, migliaia di filippini furibondi si ritrovano nel centro della città: la protesta è organizzata con una catena di sms: “Go 2 EDSA. Wear blk” (vai a Epifanio De los Santos Avenue, vestiti di nero). In pochi giorni arrivano un milione di persone e paralizzano le strade della capitale. Il parlamento, spaventato, fa marcia indietro ammettendo le prove al processo ed Estrada viene condannato e deposto. Pochi giorni, 7 milioni di sms, un presidente mandato a casa.

Marzo 2002: il Boston Globe rilascia un video documentario sugli abusi ai minori insabbiati dalla chiesa cattolica, il video diventa virale in poche ore grazie a Youtube e alle altre piattaforme di condivisione online, l’opinione pubblica si accende come un fiammifero e si innesca una catena di processi giudiziari (dapprima in Boston, dove 24 preti vengono processati, poi si allarga a macchia d’olio).

Spagna 2004: il Primo Ministro Aznar addossa maldestramente la responsabilità degli attentati di Madrid ai separatisti baschi, mentendo deliberatamente alla nazione. Venuta a galla la menzogna, gli spagnoli indignati si coordinano con gli sms e scendono in piazza compatti e agguerriti: Aznar è costretto a dimettersi.

 

2009 Moldavia: una protesta contro le elezioni presidenziali truccate, coordinata attraverso sms, Twitter e Facebook, innesca una reazione a catena che porta elezioni legislative anticipate e alla sconfitta del partito comunista, al governo dal 2001.

A lato di questi casi esemplari del potere politico dei social media, ci sono anche storie meno fortunate, in cui forme di coordinazione dal basso non hanno avuto esiti così felici o indolori, come il Green Movement in Iran nel 2009, le manifestazioni contro Lukashenko in Bielorussia nel 2006 o la rivolta delle Camice Rosse in Thailandia nel 2010: in cui i movimenti di protesta, organizzati anche grazie ai social media, sono stati più o meno sanguinosamente soppressi dai governi di turno. Poi si arriva al 2011 e alla “primavera araba” e nella scossa tellurica del cambiamento diventa improvvisamente evidente il ruolo centrale di blogger e social networks.

E ora la giusta domanda: gli strumenti digitali aiutano la democrazia? Il più autorevole tra i pessimisti è stato Malcolm Gladwell, che dalle colonne del New Yorker ha dato una risposta (stranamente) superficiale, facendo di tutta l’erba un fascio e identificando le azioni politiche sui social media con il fenomeno definito “slacktivism”, che ben si descrive con il classico e pigro “like” alla causa del giorno su Facebook, sia essa salvare i delfini o salvare il Darfur. Utenti casuali si associano con un click in proteste virtuali dall’animo grande e nessun risultato. Ok questo è corretto, ma c’è ben altro. Il fatto che da facebook dei navigatori annoiati non possano cambiare il mondo è vero e condivisibile ma è altrettanto vero che grazie a facebook e twitter e gli altri social media (e il web 2.0 in generale) si può coordinare un movimento, unire le forze, fare per l’appunto, rete.

Le parole ci vengono in aiuto: medium = tramite, strumento. Uno strumento relativamente economico, a distribuzione capillare, che abbatte la gerarchia tradizionale della comunicazione: tra un’emittente e molti riceventi. Il web e i social media ristabiliscono una simmetria a lungo persa con i mezzi di comunicazione di massa: rendendo ogni utente un emittente-ricevente, connesso. Le distanze si annullano, i tempi di risposta e organizzazione delle persone si riducono al passaparola di un tweet e mai come oggi le profezie visionarie di McLuhan si avverano davanti ai nostri occhi: viviamo veramente nel villaggio globale e il medium, tanto per cambiare, è il messaggio.

 

Se escludiamo dal ragionamento quindi quel che è definito slacktivism, ci rimane la potenza e la capillarità dei social media nel coordinare e mettere in comunicazione le persone. Nel suo saggio “Political Power of Social Media”, Clay Shirky cerca di rispondere alla domanda in maniera cauta e possibilista: Gli strumenti digitali aiutano la democrazia? Nel breve periodo non possono far male e nel lungo molto probabilmente si. Soprattutto dice: i social media hanno il massimo impatto come strumento politico in quei paesi dove già è stabilita una sfera pubblica di opinione informata che tiene sotto controllo l’operato dei governi. In pratica: là dove già c’è democrazia, i social media aiutano a tenerla in salute. Il passaggio più interessante del saggio di Shirky riguarda la sua critica alla politica di Hillary Clinton riguardo alla diffusione e al libero accesso a Internet nel mondo. La Clinton promuove quella che Shirky definisce “Instrumental view”: l’idea che si possa supportare lo sviluppo democratico nel mondo imponendo ai paesi non democratici di garantire il libero accesso ad internet ed alle informazioni: New York Times, Google, Youtube,Wikipedia… Contrapposta a questa visione un po’ antiquate e centralistica, c’è la “Environmental view”: che si basa sul concetto organicistico secondo il quale i cambiamenti positivi (e pro-democratici) all’interno di una società sono il risultato o conseguenza indiretta dell’esistenza di una sfera pubblica informata, non il contrario. L’assunto fondamentale è questo:

L’accesso alle informazioni, dal punto di vista politico, è molto meno importante che l’accesso alle conversazioni. Tradotto: è molto più importante per uno stato democraticamente arretrato che le persone abbiano la possibilità di dialogare, coordinarsi e confrontarsi piuttosto che possano leggere il Guardian o Wikipedia online. I blogger tunisini ed egiziani sarebbero d’accordo. Un’opinione pubblica nasce dal confronto e dal dialogo riguardo a problemi economici o di politica quotidiana, non da discorsi impalpabili riguardo a valori politici astratti.

FINE PRIMA PARTE. Domani: Il Potere Politico dei Social Media in ITALIA.

BIBLIOGRAFIA:

Drive (2011) con Ryan Gosling. Recensione

Se desiderate vedere un action movie,  un noir e un film d’amore consiglio Drive, del regista danese Nicolas Winding Refn premiato a Cannes nel 2011.

Sonia Marino.

Drive è il protagonista (interpretato da Ryan Gosling). Non ha altro nome che questo e la sua identità si fonda sul guidare: di giorno fa lo stuntman e lavora in una carrozzeria e di notte l’autista complice di rapine. Egli è silenzioso e solitario. Non sappiamo niente del suo passato.  Si innamora della sua vicina che ha un bambino e il cui marito è in galera. Quando il marito esce ed è ricattato dalle vecchie cattive compagnie, lui interviene e si trasforma nel cavaliere pronto a tutto per proteggere la donna e il bambino. Si presta, dunque, per l’ennesima volta a fare l’autista per l’ennesima rapina. E qui mi fermo per non rovinare le sorprese della trama.

Ma il nocciolo della storia di Drive sta nel candore dello sguardo del protagonista e della ragazza di cui si innamora. Un amore fatto di tempo trascorso insieme a lei e al figlio di lei. È un amore di poche parole ma di struggente intensità, perché lei è comunque la moglie di un altro. Le emozioni che tengono lo spettatore sul filo del rasoio sono rese dai volti dei protagonisti, in particolare dagli occhi e dagli angoli della bocca e dalla camera da presa che letteralmente li accarezza. Lo spettatore spesso segue le scene dai sedili posteriori delle diverse auto di Drive. E scopre durante il film che Drive non è solo un autista della mala ma un vero killer, che uccide con sapienza ed estrema lucidità.

C’è molta violenza in Drive ma il regista riesce a renderla esteticamente necessaria. E questo mi costa molto scriverlo, dato che per me la violenza non è mai eticamente necessaria. E anche questo è un altro dei meriti del film. La violenza inoltre fa da spettacolare contrappeso all’estremo romanticismo del protagonista. Un cavaliere senza paura ma non senza macchia sul suo destriero, l’auto, la cui armatura è costituita da un (orrendo) giubbotto sulle cui spalle troneggia l’immagine di uno scorpione.

E qui chi vuole può sbizzarrirsi con i simboli e le analogie. Un “eroe” pronto a tutto ma che non è tentato e non ha passione per il denaro né per la visibilità e il successo (non sembra particolarmente interessato quando gli viene proposta una carriera da pilota) e che vorrebbe solo salvare degli innocenti, la donna e il bambino, e forse in questo modo salvare se stesso.

La colonna sonora è perfetta. E perfino Los Angeles, la non città per eccellenza, un intrico infinito di strade, sembra bella.

 

Drive (2011) TRAILER:

 

Prima giornata del forum di Assisi – La scienza psicologica dei giovani

IV Forum sulla Formazione in Psicoterapia - Assisi 14-16 Ottobre 2011 -Copyright immagine: © Roberto Zocchi - Fotolia.comLa prima giornata del forum di Assisi dedicato ai giovani ricercatori è stata riservata a studi sull’età evolutiva e sulle emozioni. Due sessioni, l’una di sei e l’altra cinque presentazioni. Il livello di sofisticazione metodologica era più che accettabile con alcune punte. Altrettanto buona la chiarezza di esposizione, anche qui con alcune punte nella capacità di coinvolgere e ravvivare la platea con spirito e carisma, qualità altrettanto importanti della competenza scientifica.

Alcune parole sulle presentazioni. Baglioni e coll. hanno passato in rassegna e metanalizzato i trattamenti in voga per i disturbi esternalizzanti in età evolutiva. La nozione che più è rimasta nella mente del pubblico è stata l’opportunità di trattare gli stati depressivi nelle madri che, a quanto pare, spesso correlano con lo sviluppo di questi disturbi. Rosito e Buonanno hanno presentato un caso clinico di ossessività in una bambina, descrivendo il protocollo di Mancini e al tempo stesso mostrando una intrigante creatività nell’ideazione di esercizi di esposizione specifici per l’elevata ossessività da disgusto e contaminazione di questo caso singolo. Ruglioni e collaboratori hanno presentato dati di efficacia originali per il disturbo da comportamento dirompente e hanno mostrato come una buona intesa con i genitori dei bambini sofferenti diminuisca il tasso di drop-out. Morelli, Piccioni e Mezzaluna hanno trovato, sempre in bambini in età scolare, una relazione tra criticismo percepito e sensibilità alle “prese in giro” (teasing) da parte dei compagni di classe. Manfredi e coll. hanno costruito (ed empiricamente confermato) ponti tra variabili (meta)cognitive, relazionali e temperamentali. Infine Pescini, Rossi e Rebecchi hanno dimostrato che la percezione di criticismo diventa patologica solo passando attraverso la variabile cognitiva (e psicologica e interiore) dell’auto-criticismo, cioè dello svalutare se stessi. In sintesi le prime tre relazioni hanno dato attenzione ai protocolli di terapia mentre le seconde a meccanismi psicopatologici.

Le relazioni sulle emozioni sono un segnale della maggiore attenzione che si da in area cognitiva a quella che potremo chiamare l’area calda della vita psichica, il vissuto fenomenico dell’emotività. Ma senza però perdere l’identità cognitiva (e in qualche modo ragionevolmente razionalistica, per chi si riconosce in questa etichetta): la possibilità di regolare le emozioni, se non di controllarle del tutto. Andreoli e coll. hanno indagato un campione di giovani individui alle prese con le difficoltà pratiche di un mercato del lavoro danneggiato dalla crisi economica, e hanno trovato come le difficoltà nel trovare lavoro possano essere interpretate cognitivamente e vissute emotivamente con colpa. Lari e coll. hanno indagato un aspetto spesso trascurato del vissuto emotivo del paziente bipolare: la noia. Serafini, Simonetti e Mezzaluna hanno correlato disregolazione emotiva, tendenza al controllo e stili di attaccamento, mentre Patrone e coll. si sono focalizzati sul rapporto tra alessitimia e disregolazione emotiva nel binge eating disorders. Infine Vaccaro e Verità hanno presentato un protocollo di addestramento al pensiero pragmatico e razionale in termini ellisiani in bambini di scuole elementare.

Parte il FORUM di Assisi 2011 – La Scienza Psicologica dei Giovani

IV Forum sulla Formazione in Psicoterapia - Assisi 14-16 Ottobre 2011 -Copyright immagine:  © Roberto Zocchi - Fotolia.comRicordo quando chiesi a Sandra Sassaroli “perché non organizzi un piccolo congresso scientifico di psicoterapia per i giovani clinici e ricercatori?”. Lei rispose “Lo stiamo già facendo, io e Francesco Mancini”. Era la fine del 2008 e da lì a pochi mesi si sarebbe tenuto il III Forum sulla Formazione in Psicoterapia ad Assisi, un’occasione per gli studenti delle scuole di psicoterapia cognitiva che più investono e credono nella ricerca scientifica di conoscersi, confrontarsi ed esporre i propri studi: il tutto a un costo decisamente sostenibile, un offerta gratuita ben lontana dalle ingenti iscrizioni che congressi nazionali e internazionali solitamente richiedono.

Ricordo i giorni di Assisi e il clima di entusiasmo e serio confronto che li ha contraddistinti. E oggi, a due anni di distanza, sta per iniziare la nuova edizione. Sfoglio il libro degli abstract in anteprima e noto con piacere la crescente quantità e qualità dei contributi. Dopo tanti congressi in cui ormai il ricercatore abituato deve muoversi alla ricerca della novità in un calderone di vecchi ingredienti e cose già sentite, sono proprio i ragazzi che si affacciano al mondo delle scienze psicologiche a offrire spunti e idee innovative e interessanti. Tutto questo in un clima che le scuole organizzatrici (Studi Cognitivi, APC, Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, SPC, Scuola Cognitiva Firenze) hanno voluto mantenere immutato rispetto le edizioni precedenti.

Leggevo un po’ di tempo fa un interessante articolo sulla deriva dello psicoterapeuta e della terapia (Waller, 2009). Su come sia la singola terapia che il percorso professionale tendano a crescere per poi gradualmente appiattirsi se non proprio assumere una traiettoria gradualmente calante. Tra i responsabili vi è l’abitudine che spinge l’individuo ad abbandonare la ricerca, come azione prima ancora che come attività scientifica. Anche per questa ragione un Forum di giovani è salutare, non solo per i giovani.

Siano benvenute le attività come il Forum di Assisi, nella speranza che dal mescolarsi di questi eventi si possano produrre progetti e idee per lo sviluppo della conoscenza della sofferenza mentale e della sua cura. E, dal momento che è anche una competizione, in bocca al lupo a tutti i partecipanti.

Vi terremo aggiornati.

BIBLIOGRAFIA:

  • Waller, G. (2009). Evidence-based treatment and therapy drift. Behavior Research and Therapy, 47(2), 119-127.
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