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EABCT 2011: Arntz sulla Schema Therapy di Jeffrey Young

Tra i nuovi modelli emersi, la Schema Therapy è quello in qualche modo che più rimane fedele al principio cardine del cognitivismo clinico classico: l’approfondimento dei contenuti mentali. A differenza della ACT di Hayes, della terapia metacognitiva di Wells o delle varie terapie basate sulla mindfulness, tutte terapie che in qualche modo invitano a pensare meno e che teorizzano che il pensare bene coincida con il pensare poco, la Schema Therapy di Young invece propone un ricco campionario di schemi cognitivi applicabili ai disturbi di personalità.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 06 Set. 2011

Aggiornato il 18 Set. 2013 13:23

EABCT 2011: Arntz sulla Schema Therapy di Jeffrey YoungE ora tocca alla Schema Therapy di Jeffrey Young. Che ne pensate? Per aiutarvi a capire e farvene un’idea, vi racconto cosa ho ascoltato qui a Reykjavik da un simposio e da una keynote dedicate a questo modello terapeutico. Keynote e simposio entrambi curati da Arnoud Arntz, che è ormai il proconsole in Olanda e forse in Europa di Jeffrey Young.

Tra i nuovi modelli emersi, la Schema Therapy è quello in qualche modo che più rimane fedele al principio cardine del cognitivismo clinico classico: l’approfondimento dei contenuti mentali. A differenza della ACT di Hayes, della terapia metacognitiva di Wells o delle varie terapie basate sulla mindfulness, tutte terapie che in qualche modo invitano a pensare meno e che teorizzano che il pensare bene coincida con il pensare poco, la Schema Therapy di Young invece propone un ricco campionario di schemi cognitivi applicabili ai disturbi di personalità.

Ma se si fosse limitato a questo, Young non avrebbe in fondo proposto nulla di nuovo rispetto a un’operazione già effettuata da Beck, che anch’egli si cimentò nella descrizione delle credenze cognitive dei disturbi di personalità. Young aggiunge ai contenuti mentali cognitivi delle componenti emotive, esperienziali, interpersonali, evolutive e comportamentali.

Il quadrato emotivo-esperienziale-evolutivo-interpersonale è il contributo più caratterizzante della Schema Therapy. Per Young i contenuti cognitivi distorti, le credenze insomma, devono essere analizzati nella loro radice evolutiva, cioè nella loro origine in esperienze infantili dolorose, e vanno trattati non solo attraverso la ristrutturazione cognitiva esplicita, ma anche attraverso una rievocazione emotivamente vivida dell’esperienza relazionale dolorosa (per lo più si tratta di interazioni con i genitori) e una consapevole riscrittura del copione esperienziale in termini non traumatici.

Per fare questo Young si serve di 4 modelli che rappresentano le parti in gioco nel copione relazionale traumatico, modelli che Young chiama modes:

  • il protettore distaccato (detached protector mode);
  • il genitore punitivo (punitive parent mode);
  • il bambino arrabbiato e impulsivo (angry impulsive child mode);
  • il bambino abbandonato/abusato (abandoned/abused child mode);

A queste figure si aggiunge il cosiddetto genitore sano (healthy parent). Ho appena usato il termine “figura” non a caso. Quelle di Young non sono solo credenze o costellazioni di credenze, ricordi, idee, valori, stili relazionali, ma modelli interni e rappresentazioni interiori che agiscono con l’unitarietà d’azione di personaggi che recitano un dramma interiore che poi diventa esterno, concreto.

Infatti anche le figure genitoriali, i “parental mode” del protettore distaccato e del genitore punitivo per Young corrispondono non solo a reali comportamenti che il paziente subì in età precoce dai genitori, ma anche a rappresentazioni interne che continuano a condizionare i contenuti cognitivi ed emotivi della vita mentale del paziente e che il paziente non solo subisce, ma è in grado di impersonare e rivivere a sua volta e a far subire a chi lo circonda. Ecco che dunque il paziente diventa a sua volta un protettore distaccato o un genitore punitivo.

Tutto questo, che effettivamente ha molto in debito con la teoria psicodinamica, rimane però formulato in termini di teoria cognitiva, cioè secondo una visione della mente come elaboratore di informazioni. I “mode” rimangono costellazioni di credenze in grado di ricombinarsi in continuazione. I personaggi interiori rimangono una metafora, non diventano mai agenti totalmente indipendenti che condizionano la vita interiore del soggetto come se agissero dall’esterno.

A questa concezione evolutiva e interpersonale corrisponde un trattamento molto esperienziale, in cui il paziente è incoraggiato a esprimere i vissuti più intensi e dolorosi. Per Young questo elevato livello di temperatura emotiva è indispensabile per arrivare a una vera ristrutturazione, che non può essere solo cognitiva ma esperienziale. Questo significa che per Young il paziente non solo deve diventare più consapevole dei suoi “mode” e di quelli che mettevano in atto i suoi genitori, ma deve anche vivere in seduta il “mode” sano che non ha potuto ricevere durante lo sviluppo: lo “healthy parent”, il genitore accogliente e non giudicante ma anche capace di fornire delle regole in maniera non distaccata.

Chi può e deve impersonare per il paziente questo “healthy parent” è, per Young il terapeuta stesso, secondo in processo denominato di “limited reparenting”, rigenitorializzazione limitata e controllata. Il terapeuta in seduta non solo sottolinea i momenti in cui il paziente impersona i vari “mode” ma cerca sempre di reagire secondo il “mode” del genitore sano. L’obiettivo non è soltanto banalmente trattare bene il paziente maltratto, ma rappresentare concretamente la figura sana che riesce a gestire ragionevolmente i propri impulsi e alla lunga trasmetterla al paziente sia per la via consapevole e razionale che attraverso quella inconsapevole e esperienziale. Il paziente dovrebbe così a sua volta diventare in grado di concepirsi e trattarsi in maniera accogliente, non giudicate e capace di darsi e seguire delle regole, ma non in maniera distaccata e anaffettiva.

Fin qui il modello di Young, su cui molto di sarebbe da dire e anche da obiettare. Il modello appare molto completo, forse il più esaustivo nel trattare l’interezza della persona reale tra quelli finora prodotti dal cognitivismo clinico. Non pare però che Young abbia dato ancora abbastanza importanza agli scopi di vita del paziente, in grado anche essi di modellare la personalità, e non pare che si sia data attenzione ai momenti di crisi e incomprensione tra paziente e terapeuta. Il genitore accoglie ma al tempo stesso regola, e in questo regolare sono inevitabili delle frizioni. Forse anche Young indulge al difetto cognitivista di rappresentare la relazione terapeutica come un processo sempre armonico senza scossoni.

Ma passiamo ora alla plenaria e al simposio di Arntz, entrambi molto interessanti. Arntz infatti non si è limitato a riversare sull’uditorio la solita carrellata di dati che dimostrano quanto questa terapia sia efficace. Intendiamoci, ha comunque mostrato dati positivi, quasi trionfali (anche troppo, un po’ di prudenza non guasta). La Schema Therapy si sarebbe dimostata superiore alla transference focused therapy (TFP) di Kernberg e alla Dialectical-Behavioral Therapy (DBT) della Linehan nel trattamento dei pazienti borderline. Inoltre, dice Arntz, la Schema Therapy può essere adattata per gruppi di pazienti molto gravi in ambiente ospedaliero psichiatrico (però aggiungendo una massiccia dose di skills training alla Linehan, va ammesso questo) e addirittura avrebbe effetto su una classe di pazienti tradizionalmente intrattabili come i sociopatici con problemi giudiziari (forensic patients).

Ma Arntz ha fatto anche un discorso critico e riflessivo sul processo terapeutico della Schema Therapy. Insomma, si è chiesto come funziona la terapia di Young, senza dare per scontato che la dimostrazione dell’efficacia si tramuti automaticamente in dimostrazione del meccanismo ipotizzato teoricamente.

E quali meccanismi terapeutici ha discusso Arntz? Relazione, tecnica, modello teorico ed effetto del training. Sulla relazione Arntz ci ha tenuto a sottolineare che non si tratta del solito meccanismo aspecifico comune a tutte le psicoterapie, ma del tipico stile relazionale del terapeuta cognitivo: accogliente, direttivo e facilitante. Per Arntz questo tipico stile ha un effetto non generico, ma specifico per la terapia cognitiva. E lo dimostra portando dei dati che confrontano lo stile del terapeuta di Schema Therapy con un terapeuta di formazione analitica che segue il protocollo di Kernberg, la terapia focalizzata sul transfert (TFP). Il terapista TFP è meno direttivo e meno coinvolto direttamente nell’incoraggiare l’emersione di stati d’animo intensi. E questo atteggiamento sarebbe meno efficace di quello del terapeuta cognitivo di orientamento Schema Therapy.

Definita così, la relazione terapeutica è direttamente in connessione con la tecnica, che per Arntz è il fattore più probabilmente responsabile dell’efficacia della Schema Therapy. E come fa a sostenerlo Arntz? Citando studi di aderenza.  Cioè gli studi che correlano il grado di aderenza dei terapeuti ai principi tecnici della terapia che essi seguono. Nel caso della Schema Therapy, la correlazione è particolarmente forte e questo, per Arntz, significa che il contributo della tecnica al successo terapeutico è particolarmente forte. Questo significa che la combinazione di tecniche esperienziali con le tecniche classiche emotive è un’idea probabilmente vincente.

E il contributo del modello teorico? Per Arntz questo è un aspetto più difficile e complesso da dimostrare. Tuttavia si deve sottolineare come nel modello teorico di Young, tecnica e aspetti relazionali specifici siano intrecciati. Il modello teorico, dunque, più che essere un fattore che spiega direttamente l’efficacia della terapia potrebbe essere semmai la cornice che contiene coerentemente il tutto.

Infine l’effetto del training. Per Arntz, nel caso della Schema Therapy l’effetto positivo del training è particolarmente accentuato. Che vuol dire? Che terapeuti che hanno fatto l’intero training strutturato della scuola di Young sono molto più efficaci di terapeuti che hanno fatto solo corsi introduttivi, o solo videolezioni o che hanno studiato da soli il modello. Può sembrare una banalità, ma in un periodo in cui si sottolineano sempre più solo i fattori aspecifici questi dati invece appoggiano l’importanza degli aspetti unici e tipici della Schema Therapy.

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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