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DIABO 2011 Bologna. 6° Congresso Nazionale SISDCA

DIABO 2011 Bologna Sesto Congresso Nazionale SISDCA

E’ iniziato oggi a Bologna il DIABO 2011 – Sesto Congresso Nazionale SISDCA (Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare)

I “Costruttori d’amore” e l’irrinunciabile bisogno di cambiamento

Spesso in terapia troviamo persone che a causa di una infanzia con poco amore o molta distrazione o con molto maltrattamento e poca cura, restano fermi nel dilemma dell’ossessione d’amore per tutta la vita

Costruttori d'amore - Illustrazione di Costanza Prinetti
Costruttori d'Amore - Illustrazione di Costanza Prinetti

Questa frase di Sandra Sassaroli nell’articolo: L’Ossessione d’Amore è poco Rock e molto Lenta: Freedom (di Jonathan Franzen) mi ha fatto riflettere a lungo sull’ossessione d’amore. La storia di Patty, che ha fatto dell’ideale d’amore un ossessione, è la storia comune a tante persone che costruiscono castelli su fondamenta di fango. Il castello viene eretto con tale cura impegno e dedizione che, nonostante la frana ne abbia minato le fondamenta, questi rimane intatto.

L’Ossessione d’Amore è poco Rock e molto Lenta: Freedom (di Jonathan Franzen) - Immagine: Jonathan Franzen - Cover of TIME
L’Ossessione d’Amore è poco Rock e molto Lenta: Freedom (di Jonathan Franzen)

Il “Costruttore d’Amore” programma minuziosamente ogni sua mossa spesso con lo scopo di ottenere l’ammirazione di colui il quale non ha ammirazione, se non per se stesso; si può leggere in molte di queste storie il bisogno irrefrenabile di dare amore, come se questo consentisse la redenzione dalla dipendenza; nella realtà queste altro non sono che vane speranze.

Battiato cantava ne La cura “Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore, dalle ossessioni delle tue manie” per coronare la fine con : “…e guarirai da tutte le malattie..perché sei un essere speciale, ed io avrò cura di te”. Speranza, bisogno di dare amore senza riceverlo in cambio, sembrano essere gli assunti di base di queste storie. “L’amore che non chiedeva nulla in cambio” riempiva Veronika (Paulo Coelho “Veronika decide di morire”) di sensi di colpa, troppo amore riversato su di lei ha fatto si che per un quarto della sua vita aderisse ad un ruolo che non era il suo.

Lo stesso senso di colpa lo si ritrova in molti “Costruttori d’Amore” che tendono a vivere nella sofferenza perché convinti che sofferenza sia quello che meritino. Jill ( Robin Norwood, Donne che amano troppo) era disposta ad addossarsi ogni problema che nasceva nelle sue relazioni, pur di avere un problema da risolvere era disposta addirittura “ad assumersi la responsabilità di averlo creato”. Il fatto che nessun uomo potesse amarla, nemmeno suo padre, dipendeva solo ed esclusivamente da lei, da ciò che aveva e non aveva fatto.

La verità, vi prego, sull'amore.
La verità, vi prego, sull'amore.

La vita emotiva di noi tutti, ed anche dei “Costruttori d’Amore”, è caratterizzata da un bisogno di sicurezza che guida ogni comportamento e da una tendenza che porta a non riconoscere il proprio bisogno d’amore  e, soprattuto, al non volerlo far conoscere all’altro. Questi tratti sono particolarmente diffusi in quelle persone che durante l’età evolutiva hanno ricevuto “troppo” o troppo poco amore, e tentano, crescendo, di identificarsi con il partner cercando di salvarlo, a questo si sottende un vano tentativo di salvare se stessi. Vivere e rivivere le esperienze affettive dell’infanzia nelle speranza di cambiare il proprio partner e l’amore che prova per noi, così come si è tentato di farlo con il padre o con la madre. Mia Martini, nella celeberrima canzone: Gli uomini non cambiano, arriva alla conclusione che: “Gli uomini che cambiano, sono quasi un ideale che non c’è, sono quelli innamorati come te”. Fortemente disillusa dalle relazioni affettive, sconfitta, e amareggiata, tuttavia non abbandona l’idea che l’altro debba cambiare.

E voi? Avete mai provato a cambiare per amore? 
O avete preteso che qualcun altro cambiasse per voi?

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Robin Norwood, Donne che amano troppo, traduzione di Enrica Bertoni, Universale Economica Feltrinelli 2008
  • Paulo Coelho, Veronika decide di morire, traduzione di Rita Desti, Mondolibri, 1999
  • Jonathan Franzen, Libertà, Einaudi, 2011

 

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Fusione Pensiero e Azione

Fusione Pensiero Azione - Fotografia: © ktsdesign - Fotolia.comUna delle pessime abitudini mentali associate al disagio psicologico è la Fusione Pensiero Azione (FPA, Rachman, 1993). Per FPA si intende la tendenza a considerare i normali pensieri automatici negativi non tanto come oggetti della mente ma come dati di realtà.

Tutti noi abbiamo quotidianamente centinaia di pensieri che passano rapidamente nella mente, frutto di semplici associazioni e senza un particolare significato. Alcune persone tuttavia si trovano a giudicarli pericolosi e di conseguenza a condannare sé stessi per averli avuti.

Questo accade quando il giudizio è influenzato dalle regole della FPA:

  1. Se penso di fare qualcosa di brutto allora ho intenzione di farlo quindi sono cattivo.
  2. Se penso di fare qualcosa di brutto probabilmente lo farò.
  3. Se penso che un evento accada probabilmente si realizzerà e quindi io ne sono responsabile.

Con queste premesse ogni oggetto mentale acquista un peso emotivo molto forte e anche semplici pensieri passeggeri diventano fastidiosi o fonte di stress e ansia. Gli individui con una spiccata tendenza alla FPA sono quindi spinti a osservare continuamente i propri pensieri, darvi eccessivo peso, provare ansia e stress a fronte di pensieri negativi e cercare di controllare o eliminare certi pensieri con strategie e rituali solitamente controproducenti.

In simili situazioni l’obiettivo terapeutico suggerito dai ricercatori internazionali è quello di imparare il distacco tra pensiero e azione, cioè imparare e vivere pensieri negativi (anche quelli molto brutti) come naturali fenomeni mentali, che accomunano il 90% delle persone e che non hanno nulla a che vedere con la realtà e con le proprie intenzioni (Wells, 2008).

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Rachmn, S.J. (1993). Obsessions, responsibility and guilt. Behaviour Research and Therapy, 31, 149-154.
  • Wells, A. (2008). Metacognitive Therapy for Anxiety and Depression. New York, USA: Guilford Press.

 

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Twitter Global Mood: misurare la temperatura emotiva del pianeta.

E il mondo, svegliandosi allegro, si addormenta triste… Grazie a Twitter, un gruppo di ricerca ha misurato il “global mood” fotografato in diversi momenti della giornata.

Twitter Global Mood - © rare - Fotolia.comI ricercatori della Cornell University, sul numero di Science di settembre, riferiscono i risultati di uno degli studi che ha visto partecipare il maggior numero di soggetti nella storia della ricerca: 2.4 milioni, distribuiti in 84 paesi.

Come hanno fatto? Miracoli della rete, e in particolare del desiderio, tutto umano, di condividere (dalle poltrone di casa, beninteso e solo se mi fa arrabbiare, agitare o divertire, come scrivevo in un altro articolo di State of Mind) informazioni personali su internet.

Grazie a Twitter, infatti, Scott Golder e Micheal Macy, hanno monitorato l’attitude (poco traducibile in italiano, se non con uno scadente “stato mentale generale” o “atteggiamento”) di 2.4 milioni di utenti Twitter e sembra abbiamo rilevato che le persone in tutto il mondo, si svegliano generalmente di buonumore e che, entro la serata, questo “positive attitude” si deteriora, man mano che la giornata procede. Tracciando l’espressione emotiva spontanea dei soggetti, tramite i loro tweets (ovvero i micro-messaggini da centoquaranta caratteri lanciati nella rete dagli utenti Twitter) per un periodo di due anni, i ricercatori hanno rilevato il circolo “mi sveglio felice-vado a letto triste-mi risveglio felice”. Sembra, quindi, che ciò che succede durante la giornata giochi un ruolo molto importante nel determinare sia le emozioni legate al “positive attitude” (PA), come entusiasmo, gioia, vigilanza sia quelle legate al “negative attitude” (NA) come distress, paura e rabbia.

 

Twitter Global Mood: oscillazioni di Positive Attitude (PA) e Negative Attitude (NA) lungo l'arco della giornata.
Oscillazioni di Positive Attitude (PA) e Negative Attitude (NA) lungo l'arco della giornata. - Fonte: http://www.sciencemag.org/content/333/6051/1878.full.

 

L’utilizzo in concerto di Twitter e di un software per il monitoraggio del lessico ha permesso ai ricercatori della Cornell University di scoprire due picchi giornalieri in cui i tweets sono connotati in senso positivo: di prima mattina e intorno a mezzanotte.

I risultati di questa ricerca aprono la strada a molte riflessioni. Sembra che il sonno svolga una funzione regolatoria anche per quanto riguarda il tono dell’umore. Nelle persone “sufficientemente sane”, infatti, questo “ciclo emotivo giornaliero” sembra non dare alcun disagio particolare (a meno di un po’ di fastidio e sgradevolezza). Interessante chiedersi cosa succede quando qualcosa in questo processo globale, forse naturale e simile in tutti noi esseri umani si inceppa, sia verso il polo positivo della “mattina presto” sia verso quello negativo “dell’ora dell’happy hour”.

E voi, come vi siete svegliati oggi?

 

BIBLIOGRAFIA:

 

 

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Rassegna Stampa – Mercoledì 16-11-2011

 

rassegna stampaIl gene della cordialità

Gran parte del nostro modo di relazionarci emotivamente con gli altri potrebbe essere scritto nel nostro dna. Un nuovo studio, condotto alla Oregon State University, suggerisce che l’essere estroversi, accudenti e fiduciosi, sia un tratto del carattere così profondamente legato al pool genetico che uno sconosciuto, semplicemente osservandoci mentre ci relazioniamo ad un’altra persona, potrebbe molto probabilmente indovinare se possediamo, o no, quella variazione nel nostro genoma.

Già in precedenza alcuni studi avevano scoperto come questo gene, che funge da recettore per l’ossitocina chimica del cervello, definita anche “l’ormone dell’amore”, giocasse un ruolo in comportamenti sociali come lo stringere legami, l’empatia e l’ansia.

Questa però è la prima volta che i ricercatori verificano come certi genotipi si manifestino così evidentemente in comportamenti prosociali da poter essere individuati, con la semplice osservazione del comportamento in un constesto relazionale, anche da estranei.

 

L’importanza di essere i primogeniti per andare bene a scuola. Quando fare il secondo figlio?

Secondo un nuovo studio dell’Università di Notre Dame, che sarà pubblicato sul prossimo numero del Journal of Human Resources, fratelli e sorelle con più di due anni di differenza hanno prestazioni migliori in lettura e matematica, rispetto ai bambini con minore differenza di età. Lo studio è stato pensato per osservare l’effetto causale della differenza di età tra fratelli sui risultati accademici. I risultati indicano che la differenza di età tra il primo e il secondo figlio favorisce il rendimento scolastico, anche a lungo termine, del primo ma non del secondo. Sembra proprio che a fare la differenza sia la possibilità di conservare per almeno i primi due anni una relazione esclusiva con i genitori; spesso i genitori si chiedono se esista una distanza ideale tra il primo e il secondo figlio e questi risultati suggeriscono che, almeno per quanto riguarda il rendimento scolastico, i primi figli sono favoriti da intervalli maggiori di tempo tra la loro nascita e quella dei fratelli.

 

Schizofrenia, Depressione, Disturbo Bipolare: dove sta andando la ricerca?

Un americano su 7 soffre di una grave malattia mentale come schizofrenia, depressione maggiore, disturbo bipolare. L’obiettivo delle ricerche che vengono condotte nell’ambito delle neuroscienze è quello di riuscire a comprendere sempre più chiaramente le radici neurologiche della malattia mentale per poter poi essere in grado di sviluppare trattamenti sempre più efficaci. La riunione annuale della Society for Neuroscience è la più grande fonte mondiale di notizie scientifiche su cervello e salute. Ecco di cosa si è parlato quest’anno:

  • Ansia e depressione nell’infanzia alterano il modo in cui l’amigdala si collega ad altre regioni del cervello. Secondo i ricercatori questo spiegherebbe perché lo stress nei primi anni di vita può portare a futuri problemi comportamentali ed emotivi (Shaozheng Qin, PhD, abstract 927,06).

  • Studi sugli animali hanno evidenziato un legame tra due fattori associati alla schizofrenia, le infezioni prenatali e la disfunzione di una molecola importante nei processi di memoria (Melissa Burt, astratto 763,11).

  • E’ stata identificata, nei topi da laboratorio, una molecola del cervello importante per la risposta antidepressiva. I risultati possono essere utili nella pianificazione del trattamento farmacologico della depressione maggiore (Maha Elsayed, astratto 904,10,).

  • La connessione tra due aree specifiche del cervello, la corteccia prefrontale e il nucleo del rafe dorsale, sembra essere implicata nella depressione. Nei ratti la stimolazione di questi circuiti ha avuto un effetto antidepressivo (Melissa Warden, PhD, abstract 306,15).

  • Alti livelli di un enzima chiamato STEP Set si riscontrano nel cervello di chi è affetto da schizofrenia. Topi privi di questa sostanza chimica non hanno sviluppato comportamenti tipici della malattia(Nikisha Carty, PhD, abstract 238,03,).

 

La Ristrutturazione Cognitiva delle Emozioni.

Sapere che qualcuno è arrabbiato con noi non è per nulla piacevole. Un suggerimento su come gestire le nostre emozioni in un contesto simile ci viene dalla psicoterapia cognitivo-comportamentale; è quello di trovare un modo diverso di guardare alla persona arrabbiata, per esempio attribuendo il suo cattivo umore al fatto che ha avuto una brutta giornata, evitando cioè di prenderla sul personale. uno studio che sarà pubblicato il prossimo anno su Psychological Science, ha indagato proprio l’efficienza e la velocità del processo di ristrutturazione delle emozioni (Reappraisal). Il disegno di ricerca prevedeva che venissero osservate le reazioni emotive nei partecipanti allo studio, ai quali venivano presentati una serie di volti in grado di suscitare risposte emotive negative. I risultati indicano che se dopo l’esposizione veniva facilitato il processo di ristrutturazione delle emozioni negative queste non si ripresentavano a una seconda esposizione allo stesso stimolo emotigeno. È come se nel cervello avvenisse una gara tra le informazioni emozionali e quelle generate dal processo di ristrutturazione, spiegano i ricercatori, e infine il processo di ristrutturazione fosse in grado di spazzare via le emozioni negative associate allo stimolo negativo.

 

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Reappraisal

Psicopedia - Proprietà di State of MindReappraisal: La traduzione letterale sarebbe “riesame”, “rivalutazione”, “riconsiderazione” e si riferisce, nelle ricerche scientifiche e in ambito clinico, ad un processo mentale cosciente che permette di modificare  l’interpretazione che si dà ad uno stimolo emotivo, con l’obiettivo di ridurre il potenziale effetto stressante (Gross,2002).

In generale, questa strategia produce effetti sull’esperienza soggettiva, sulle risposte fisiologiche e sul comportamento,  e coinvolge numerosi sistemi cognitivi (memoria, attenzione, ragionamenti), di regolazione delle emozioni (sistema nervoso autonomo, sistema endocrino,..) e neurali (corteccia prefrontale e amigdala).

In psicoterapia, una forma “positiva” e “costruttiva” di reappraisal può essere la cosiddetta “ristrutturazione cognitiva”, che permette di esaminare pensieri, emozioni e comportamenti legati a particolari eventi stressanti e di produrre una ‘nuova valutazione’ degli eventi stessi, che sia più funzionale e costruttiva agli scopi dell’individuo.

Al contrario, il reappraisal può essere associato ad “esiti negativi” laddove l’interpretazione degli eventi è sistematicamente orientata in senso negativo, accompagnata da una rigida e deficitaria valutazione degli aspetti cognitivi ed emotivi, tipica dei soggetti ansiosi e/o depressi.

 
BIBLIOGRAFIA:
  • Gross, J. J. (2002). Emotion regulation: Affective, cognitive, and social consequences. Psychophysiology, 39, 281–291.

Protocollo bambini e adolescenti, famiglia.

Roberta Verità.

 

Protocollo bambini, adolescenti, famiglie - Fotografia: © vladgrin - Fotolia.com Da molti anni lavoro con bambini e adolescenti e con le loro famiglie. La collaborazione con una clinica di Neuropsichiatria infantile romana mi ha dato l’opportunità di seguire molti casi così detti “difficili/impossibili”: forti tensioni emotive, comportamenti estremi, rapporti e sistemi deteriorati.

Le sedute familiari, difficili da gestire, erano troppo piene di parole, parole sopra le righe e poco costruttive. Verba volant scripta manent: ho cominciato a farli scrivere! Step by step, sperimentando e selezionando quello che funzionava, ho messo a punto un protocollo molto articolato dove la parola scritta ha un ruolo rilevante all’interno del percorso terapeutico.

Ripercorriamolo: Un genitore contatta il mio studio chiedendo un appuntamento per una situazione riguardante il figlio/i. La segreteria convoca il genitore che chiama o, se possibile, entrambi i genitori, senza per il momento mettere al corrente il figlio/i dell’iniziativa, così da avere il massimo della libertà di movimento sul fronte genitoriale. L’obiettivo del colloquio con i genitori è fotografare con precisione il funzionamento del ragazzo, i problemi, le modalità di interazione. Per questo al padre e alla madre viene chiesto di rispondere, separatamente e brevemente, a una serie di domande in termini operativi. Se durante la prima seduta non si riesce a concludere l’indagine, viene chiesto alla coppia di completare il compito a casa; questo accade molto frequentemente.

Grado di istruzione dei genitori e abilità di lettura dei figli.
Il grado di istruzione dei genitori influenza l’abilità di lettura dei figli? – di Maria Francesca Sarnelli

Queste sono le domande che vengono poste ai genitori:

 

“Quali sono i problemi di mio figlio?”; “Come si manifestano?”; “Quali tentativi di soluzione ho adottato fino adesso per risolvere questi problemi?”; “Cosa funziona meglio con questo ragazzo e cosa non funziona?”; “Quali sono le risorse di mio figlio, i suoi punti di forza?”; “Quali le risorse del nostro rapporto, i nostri punti di forza?”.

Gli chiediamo anche di descrivere l’interazione in una settimana tipo, dal buongiorno fino alla buonanotte.

Questo è il primo step del protocollo, il primo importante passaggio scritto dei tanti scritti e verbali che seguiranno. I vantaggi, per quello che ho potuto sperimentare, riguardano il fatto che lo scritto permette di fissare alcuni punti, che al contrario si perderebbero nel dialogo, nella discussione e sopratutto nella lite.

Vedendo nero su bianco, ma soprattutto dovendosi sforzare di scrivere, i genitori per la prima volta riescono a riflettere su certi meccanismi. Questa riflessione così concreta porta, il più delle volte, anche senza l’intervento del terapeuta, alla presa di coscienza e all’autoregolazione, che proprio perché auto e non etero, acquista un grande valore.

Ci sono in questo primo passaggio e in tutto il protocollo spunti di forte positività, si riflette infatti sulle risorse e sui punti di forza del figlio e della relazione con lui e tra i genitori. Questi aspetti di solito trascurati o non considerati per niente possono innescare circoli virtuosi ed essere sfruttati per il cambiamento.

L’affiancamento delle positive solutions alle negative solutions è un altro potente attacco al problema portato in terapia. Si stabilisce un primo gradino, quantificabile, rispetto al quale confrontare il progetto di cambiamento ed i futuri risultati, in termini quantitativi oltre che qualitativi. Si trovano divergenze e convergenze genitoriali mai notate e tantomeno gestite prima. Su questo scritto poi ci si confronterà in seduta per modificare, aggiungere, limare comportamenti genitoriali, individuali e di coppia.

È l’inizio del cambiamento pianificato…

 

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Immergersi in un film: Questione di Ansia? – Cosa ci fa apprezzare o detestare un film?

Ansia & Film - © Sergej Khackimullin - Fotolia.com - ArticleA fronte delle numerose “incapacità” e “deficit” elencati nelle descrizioni dei soggetti ansiosi, ecco uno studio che sottolinea una specifica abilità dei cosiddetti “nevrotici” rispetti ai meno ansiosi: la capacità di immergersi in un film e di godere delle emozioni suscitate senza troppi filtri cognitivi!

In un esperimento condotto dal gruppo di ricerca di  David Weibel dell’Università di Berna, 64 partecipanti hanno guardato tre scene tratte dai film “The Shining” (la scena in cui il bambino gioca all’ingresso della villa), “The Champ” (la scena in cui il padre del ragazzo muore a seguito di un colpo durissimo subito durante un combattimento sul ring), e “When Harry met Sally” (la scena in cui Sally simula un orgasmo in un bar), ed è stato loro richiesto di descrivere quanto si fossero sentiti immersi nei film e quanto si fossero percepiti distaccati dall’ambiente fisico in cui si trovavano. Era infine richiesto loro di esprimere una preferenza tra i film rispetto al loro gusto personale.

I risultati rivelano che nei due filmati ad elevata emotività negativa (“The Shining” e “The Champ”) i soggetti ansiosi hanno riferito una migliore capacità di immergersi nel film rispetto ai non ansiosi, ma che questa capacità li abbia portati a preferire il film a contenuto emotivo positivo, rispetto agli altri due.

“Una possibile spiegazione potrebbe essere che gli ansiosi mostrano una reattività maggiore del sistema nervoso simpatico, che li rende più sensibili agli stimoli ambientali” dicono i ricercatori.

I dati ottenuti da Weibel e colleghi ci dicono quindi che la migliore capacità di immergersi all’interno di una situazione triste o spaventosa (seppur finta!) sia percepito dagli ansiosi in modo estremamente negativo, tale da ridurre l’indice di gradimento del film e indurre plausibilmente l’evitamento di un’intera produzione cinematografica. Ecco come una abilità, rischia di trasformarsi nell’ennesimo evitamento!

Ma cos’è che i soggetti ansiosi non hanno davvero gradito del film?

L’abitudine a immaginare scenari catastrofici, terribili e costantemente negativi non sembra averli affatto “desensibilizzati” alla visione di scenari altrettanto tristi e spaventosi, mentre invece mostrano una bassa tolleranza a questo tipo di contenuti. L’ipotesi dei ricercatoti rispetto alla reattività simpatica apre scenari interessanti: l’idea cioè che la bassa tolleranza degli ansiosi non riguardi (almeno non solo) i contenuti rappresentati nei video, ma che sia la stessa attivazione emotiva e fisiologica provocata dall’immersione nel film ad essere per loro spaventosa e a non divertire affatto!

Questo dato appare molto descritto in letteratura e confermato dalle numerose ricerche a sostegno dell’ipotesi che gli ansiosi siano caratterizzati da un cronico squilibrio tra il sistema simpatico, troppo attivato, e quello parasimpatico, troppo spento (Porges, 2007): lo sproporzionato stato di allerta (sistema simpatico) li renderebbe drammaticamente reattivi agli stimoli esterni, mentre il ridotto funzionamento vagale (sistema parasimpatico) ridurrebbe la capacità di calmarsi in tempi “ragionevoli” a fronte di stimoli esterni percepiti come minacciosi.

La preferenza per “When Harry met Sally” rispetto a “The Shining” appare così meno incomprensibile: chi di noi vorrebbe rimanere nello stesso identico stato di terrore prodotto dal volto di Jack Nicholson nel bagno, per molte ore dopo i titoli di coda?

E voi, quale film scegliereste?

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

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Heavy Metal e Adolescenti: gli Effetti sull’Umore.

Heavy Metal: gli effetti sull'umore - © log88off - Fotolia.comLa musica ha un ruolo significativo nella vita di ognuno di noi. È parte integrante della nostra esistenza e ci accompagna da tempi antichissimi, radicati nella storia evolutiva dell’uomo.

Proprio per la sua importanza, alcuni ricercatori si stanno interrogando sul peso e sul significato che la musica possa avere in un’età difficile come l’adolescenza. Per molti adolescenti infatti, la musica risulta essere l’attività preferita tra le mura di casa propria.

Nella nostra epoca, la gamma e la diversità dei generi musicali a disposizione degli adolescenti è in continuo aumento e la rivoluzione degli mp3 e del libero scambio tra pari attraverso il web consente di ascoltare una straordinaria varietà di canzoni provenienti da ogni parte del mondo. È per questo che l’aumentato livello di accesso alla musica da parte degli adolescenti obbliga gli educatori (genitori ed insegnanti) ad essere informati sull’impatto che questa possa avere sul potenziale sviluppo di una giovane mente.

Tra i ricercatori, c’è chi si è schierato a favore della musica e del suo impatto positivo sullo sviluppo emotivo di un giovane adolescente, e chi ha preferito sottolinearne le qualità negative sulla scia delle polemiche originate dall’avvento delle nuove quanto variegate forme di musica partorite dagli anni Settanta.

Musica didattica metacognitiva - © Tommi - Fotolia.com
Clicca sull’immagine per leggere: Musica e Didattica Metacognitiva. Autore: Lucio Montagna

Sul versante del negativismo, ad esempio, la Parent-Teacher Association of America e l’American Academy of Paediatrics sfidò l’industria musicale con una vasta serie diaccuse. Il Rock inparticolare finì nel mirino delle ingiurie per la sua associazione tra adolescenza e suicidio. La musica Heavy Metal fu presa di mira dal Parent’s Music Resource Centre, peri suoi legami con i comportamenti antisociali dei giovani adolescenti. Oltre alla preoccupazione dell’opinione pubblica per una ipotetica relazione causale tra ascolto di stili di musica aggressiva e condotta antisociale, la ricerca ha inoltre identificato una connessione tra problematiche psichiche e preferenze musicali anche per il Rap e il Rave. Le accuse nascono dalla presenza in alcune canzoni di messaggi cosiddetti “subliminali”, anche se queste hannodimostrato di avere intenzioni ben più superficiali, come ad esempio il successo commerciale. L’impatto di temi di estrema violenza, ribellione e sessualitàpromiscua tipicamente utilizzati nell’Hip-Hop e nell’Heavy Metal può però esseremitigato in qualche misura da una ricerca che suggerisce che gli adolescenti diano attenzione più alla musica che ai testi (in molti casi già pesantemente camuffati dalla distorsione delle chitarre elettriche e dal tipico canto fatto di urla e suoni gutturali, comunque tecnicamente apprezzabili).

 

Le ricerche di Stack e Gundlach (1992) su questo tema sono state le più provocatorie, arrivando a trovare una relazione tra la predominanza della proposta di musica Heavy Metal da parte di alcune Stazioni Radio occidentali e i tassi di suicidio. La loro indagine delle variabili ha però portato in ultima analisi al suggerimento che sia stata la mancanza di religiosità ad essere più fortemente legata ad uno stato d’animo suicida rispetto alla preferenza stessa per la musica Heavy Metal.

I ricercatori hanno spesso suggerito che certe preferenze musicali possano essere comunque indicative di una certa vulnerabilità ai problemi di salute mentale (Scheel e Westefeld, 1999). Roe (1987) e Coleman (1960) trovarono che le scelte musicali erano legate al successo scolastico e all’invalidazione del successo previsto dagli studenti stessi. Questo è stato sostenuto anche da Took e Weiss (1994) che hanno trovato un’associazione tra l’insuccesso scolastico e il crescente interesse per la musica Heavy Metal di alcuni adolescenti, che ne farebbero utilizzo come fuga dal confronto con i propri fallimenti.

Ultima ma non meno importante, la ricerca della McFerran (2011) sta mostrando come gli adolescenti ad alto rischio di disagio psicologico riportino la più alta percentuale di stati d’animo negativi dopo aver ascoltato musica Heavy Metal e la più bassa percentuale di stati d’animo migliori dopo l’ascolto della stessa. Con ulteriori ricerche, questo potrebbe dimostrare che gli adolescenti ad “alto rischio” abbiano difficoltà ad utilizzare la musica per migliorare il loro umore.

Sul versante dell’ottimismo invece, ed in modo altrettanto significativo, lo studio di Lester e Whipple (1996) non ha trovato alcuna relazione significativa tra esperienza passata di ideazione suicida e preferenze per la musica Heavy Metal, suggerendo che questa possa essere uno stato transitorio per molti adolescenti. LaCourse (2001) ancora, ha scoperto che l’ascolto della musica è in realtà inversamente correlato con l’ideazione suicida nelle ragazze. È per questo che Saarakallio e Erkilla (2007) hanno suggerito che la ricerca si sia focalizzata eccessivamente sui risultati negativi ed hanno raccomandato una maggiore attenzione ai suoi effetti positivi. Gli stessi autori hanno anche sottolineato l’aspetto dell’intenzionalità della regolazione dell’umore attraverso l’ascolto della musica, opponendosi al presunto processo di ascolto passivo.

Insomma, nonostante la vastità dei dati rispetto alle influenze negative della musica, è comunque in generale riconosciuto che la musica possa svolgere un ruolo positivo nella vita di molti adolescenti.

È importante considerare il ruolo della musica nell’adolescenza da una prospettiva evolutiva. Il processo di formazione dell’identità che definisce questo stadio di sviluppo si basa sul passaggio dalla famiglia alle alleanze tra coetanei (Erikson 1965). L’adolescenza sana è definita dal rifiuto del nucleo familiare primario e dalla preferenza per lo sviluppo di reti sociali esterne alla famiglia. La musica può essere vista come parte integrante di questo processo, così costellato dalle preoccupazioni genitoriali per i video musicali sessualmente provocanti di Madonna, per l’Heavy Metal degli Slayer ed il Rap di Eminem.

A prescindere da questi risultati, siano essi positivi o negativi, riteniamo sia utile che gli adulti riconoscano intuitivamente il disagio negli adolescenti e che sviluppino capacità di dialogo con gli stessi su come la musica influisca sul loro umore. È importante non criticare il genere musicale in sé, rischiando di suscitare una naturale reazione difensiva, ma focalizzarsi su come la musica vada utilizzata. Questo porterebbe a conversazioni più produttive e a relazioni significative, specialmente se il genitore o l’insegnante accettasse di ascoltare la loro musica e si mostrasse interessato.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Coleman, J. S. (1960). “The adolescent subculture and academic achievement.” The American Journal of Sociology 65(4): 337-347.
  • Erikson, E. (1965). Childhood and society. London, Penguin Books.
  • Lacourse, E., M. Claes, et al. (2001). “Heavy metal music and adolescent suicide risk.” Journal of Youth and Adolescence 30(3): 321-332.
  • Lester, D. and M. Whipple (1996). “Music preference, suicide preoccupation, and personality.” Suicide & Life-Threatening Behaviour 26: 68-70.
  • McFerran K., O’Grady L., Grocke D., Sawyer S. M. (2011). “How teenagers use music to manage their mood: An initial investigation.” (in corso di pubblicazione, per gentile concessione tramite corrispondenza della Dr. Katrina McFerran)
  • Roe, K. (1987). The school and music in adolescent socialisation. Pop music and communication. J. Lull. CA, SAGE: 212-230.
  • Saarikallio, S. and J. Erkkila (2007). “The role of music in adolescents’ mood regulation.” Psychology of Music 35(1): 88-109.
  • Scheel, K. R. and J. S. Westefeld (1999). “Heavy metal music and adolescent suicidality: An empirical investigation.” Adolescence 34(134): 253-273.
  • Stack, S. and J. Gundlach (1992). “The effect of country music on suicide.” Social Forces 71(1): 211-218.
  • Took, K. J. and D. S. Weiss (1994). “The relationship between heavy metal and rap music on adolescent turmoil: Real or artifact?” Adolescence 29: 613-621.

 

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150 Amici

Non stupitevi se giocando a tombola sentirete oltre ai soliti “11 – Le gambe delle donne”, 1 – L’Italia” “150 – gli amici che puoi avere!”. Il 31-10-2011 in Bicocca si è tenuto un interessante incontro con il prof. Robin Dunbar, antropologo dell’Università di Oxford, che ci ha svelato il numero di amici che una persona può avere!

150 Amici - Social Network - © TheSupe87 - Fotolia.com - ArticoloQual è stata la grande rivoluzione della società degli ultimi anni? Secondo Robin Dunbar, antropologo all’Università di Oxford, è il fatto che il nostro mondo sociale è stato ridefinito dai social network. Questi siti, oltre ad aver infranto le costrizioni della geografia che limitavano le dinamiche sociali, sembrano anche aver dato avvio ad una strana competizione sul numero di amici che si possono contare sulla propria pagina personale, con cifre che possono raggiungere anche le decine di migliaia (1). Tuttavia la lista degli “amici” andrebbe ampiamente sfoltita. Infatti in base alle ricerche condotte dal Prof. Dunbar il numero massimo di amici che si possono avere è 150 – cifra anche detta il Numero di Dunbar (2).

Ma come è arrivato Dunbar a questa cifra? Ha iniziato a condurre le sue ricerche osservando i primati antropomorfi e ha scoperto che essi hanno un cervello di dimensioni maggiori rispetto a tutti gli altri mammiferi. Ma visto che il cervello consuma il 20% del nostro apporto energetico, come si giustifica in termini evolutivi un organo così “costoso”? Una ipotesi è che il complesso mondo sociale nel quel vivono i primati abbia stimolato la crescita del loro cervello. Si potrebbe quasi dire che le relazioni sociali sono un salasso per il cervello! Questa interpretazione introduce anche il concetto di “intelligenza sociale”. Un tipo di intelligenza che servirebbe ai primati per sopravvivere, riprodursi e gestire le intricate relazioni della “società dei primati”; questi ultimi infatti stabiliscono all’interno del gruppo intensi e strutturati legami fra individui e possono addirittura arrivare a sfruttare le proprie conoscenze per costruire alleanze complesse.

Forse Boulle quando ha scritto “Il pianeta delle scimmie” non è andato poi così lontano dalla realtà (3)!

L’intelligenza sociale sarebbe quindi sostenuta dalla correlazione tra dimensioni del gruppo e dimensioni della neocorteccia. Il risultato di questo rapporto definirebbe il numero massimo di relazioni che un animale di una determinata specie può intrattenere e gestire simultaneamente (2). Dunbar si è quindi domandato: data la dimensione della loro neocorteccia che dimensioni può raggiungere un gruppo di uomini? Sulla base del rapporto che stato definito per i primati si è arrivati all’ormai famoso 150. Ma oltre a complessi calcoli matematici esistono altre prove a favore di questa teoria?

Secondo lo studioso sì. La nostra storia ci ha portato a vivere in città che riuniscono milioni di persone, quindi per avere prove sulle “dimensioni naturali” dei gruppi umani Dunbar ha iniziato studiando le società preindustriali. Nello specifico si è focalizzato su quella dei cacciatori -raccoglitori: società complesse strutturate solitamente in clan nomadi. Dalla ricerca è emerso che ben venti società tribali, per le quali erano disponibili i censimenti, risultavano avere dimensioni medie di 153 individui.

Lo studioso e i suoi colleghi non si sono fermati a questo e hanno cercato “il 150” anche nella società tecnologica scoprendo che riappare anche nel mondo degli affari. Infatti un parametro della teoria dell’organizzazione aziendale consiste proprio nel fatto che le organizzazioni composte da circa di 150 persone lavorano meglio e in modalità diretta uno a uno. Vedere per credere. È noto che il signor Gore, fondatore della GoreTex, abbia insistito perché si creassero più unità industriali separate, ciascuna formata da 150 persone, piuttosto che ingrandire la propria industria.(4)

Provate ora ad indovinare di quanti uomini è costituita una compagnia di un esercito moderno. Facciamo il conto: normalmente è costituita da tre plotoni esecutivi di 30-40 soldati, più il comando maggiore e alcune unità di supporto per un totale di 130-150 soldati!

Lo stesso numero si può ritrovare anche nelle società accademiche, in gruppi religiosi, negli Amish e così via.

Ma quindi sarà proprio vero che se sulla pagina Facebook abbiamo più di 150 amici, forse dobbiamo cancellarne un po’ perché non sono proprio tutti Amici??

Voi che ne pensate?

 

 

BIBLIOGRAFIA:

  1. Pollet TV, Roberts SG, Dunbar RI (2011) Use of social network sites and instant messaging does not lead to increased offline social network size, or to emotionally closer relationships with offline network members Cyberpsychol Behav Soc Netw. 14(4):253-8
  2. Dunbar. R (2011) Di quanti amici abbiamo bisogno? Frivolezze e curiosità evoluzionistiche. Milano, Raffaello Cortina
  3. Boulle P. (2006) La planète des singes. Pocket
  4. Malcolm Gladwell. (2000). The Tipping Point – How little things can make a big difference. Little Brown and Company. New York

 

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A Dangerous Method: una kermesse che vive più di Eros che di Thanatos

A Dangerous Method - Recensione - Movie Poster - Property of Universal PicturesFreud e Jung, i due padri della psicoanalisi, hanno sancito la nascita e l’affermazione della “cura con le parole”. La curiosità mossa da molti nei confronti delle loro vite, delle loro opere, lavori complessi di non facile impatto, ha portato alla realizzazione di numerose rappresentazioni. Ricordiamo ad esempio Prendimi l’anima di Roberto Faenza, del 2002, o il recentissimo A Dangerous Method diretto dal “mastro indagatore” David Cronenberg, tratto dal libro di John Kerr che ha poi ispirato una pièce teatrale su tematiche che scandagliano le pulsioni dell’animo umano.

Il film è ambientato a Zurigo, 1904, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Lo psichiatra ventinovenne Carl Gustav Jung  è all’inizio della sua carriera, e vive con sua moglie Emma, presso il famoso ospedale Burghölzli, diretto da Eugen Bleuler, figura periferica e marginale.

Jung appare come una persona colta, austera e molto abbiente, grazie alle proprietà della giovane moglie, donna totalmente dipendente dal marito, che piange e si dispera per non essere stata capace di dare alla luce un primogenito di sesso maschile. Di rado, Emma partecipa come cavia alle sedute cliniche del marito, situazione inammissibile in un setting terapeutico. Ispirandosi al lavoro di Freud, Jung decise di tentare sulla paziente diciottenne Sabina Spielrein, il trattamento sperimentale noto come psicanalisi o “terapia delle parole”. Sabina è una ragazza russa di cultura elevata, a cui è stata diagnosticata una grave isteria e ha fama di essere pericolosamente aggressiva, malgrado la sua spiccata intelligenza.

 

Oggi diremmo che Sabina era affetta da un grave disturbo borderline di personalità, eccessiva emotività espressa anche tramite lesioni autoinflitte, con tratti istrionici, teatralità e fatuità nel raccontare la sua vita e le sue emozioni. Nei colloqui con Jung rivela un’infanzia segnata da umiliazioni e maltrattamenti da parte del padre, un uomo autoritario e violento che spesse volte la picchiava, sculacciando sia lei che la sorella. La terapia psicanalitica porta alla luce una inquietante componente sessuale del disturbo di Sabina, che conferma le teorie di Freud sul rapporto fra sessualità e disturbi emotivi. Infatti, Sabina mostrava una particolare forma di piacere orgasmico in risposta alle “sculacciate” impartitele dal padre.

Grazie a questa paziente, Jung forgia un rapporto di amicizia con Freud, e il loro primo incontro è stato un vero e proprio tour de force intellettuale. Si era creato, in questo modo, una reciproca stima e Freud auspicava che il giovane collega potesse diventare il suo erede intellettuale. Il trattamento effettuato da Jung ebbe successo e Sabina intraprese la carriera di psichiatra su incoraggiamento di Jung. Quest’ultimo intanto, violando ogni etica professionale, inizia una relazione con Sabina. I due si incontrano nella casa di lei dilettandosi in estremi rapporti sessuali che riecheggiano le sculacciate paterne. Successivamente, Jung decide di troncare questa famigerata relazione in seguito ad un richiamo scritto effettuato direttamente da Freud, che nel frattempo è stato informato dalla stessa Sabina circa la relazione clandestina intrapresa. Jung messo alle strette nega ogni cosa per apparire “pulito” agli occhi di Freud. Tutto ciò fa esplodere la rabbia di Sabina, che costringe Jung a dire tutta la verità per poter diventare paziente di Freud. La contestata relazione sarà la causa della rottura del rapporto di amicizia tra Freud e Jung. La loro relazione intellettuale era molto ambivalente, da un lato c’era estrema stima, dall’altro estrema competizione non solo da un punto di vista intellettuale, è stato Jung a portare Freud ad un convegno oltre oceano per espandere la psicoanalisi, ma anche economico, Jung era squisitamente ricco e non mancava occasione in cui non facesse notare la differenza all’amico Freud.

Questa è la storia, ma la rinarrazione della vita e del destino incrociato di queste tre leggendarie menti più una, quella dell’altrettanto complessato dott. Otto Gross, paziente inviato da Freud a Jung, appare in alcuni momenti intensa, ma confusa, mista di sesso e poca etica professionale. E’ proprio confuso l’aggettivo che più si addice all’intera storia, narrata con occhio relativamente superficiale e sempre pronta ad imbeccare lo spettatore, indulgendo troppo nelle pulsioni erotiche fini a sé stesse e nelle beghe relazionali più che nella vera psicologia indagata. Il tutto si risolve in un film biografico incentrato su Jung, ma al contempo indeciso sul tempo da dedicare agli altri personaggi e ai loro rapporti. Ne risulta, in finale, una cernita di situazioni e contesti assolutamente arbitraria, che pone in maggior risalto alcune vicende e tratti caratteristici sempre e solo relazionali, centrandosi su scene di sesso e poco su contenuti squisitamente psichici. Il regista sembra incerto sulla direzione da far prendere alla sua storia, rendendola un po’ dozzinale e semplicistica, nonostante il prezioso materiale a disposizione, che tra l’altro ben conosce essendo uno psicoanalista. Nell’indagare le pulsioni più oscure e angosciose di menti come quelle di Freud, Jung, Gross e la Spielrein ci aspettavamo viaggi nella psiche, metafisici e conturbanti. E invece l’autore cede al richiamo del mainstream, lasciando interagire un carnet di stelle hollywoodiane su un canovaccio più teatrale che cinematografico, dove si muovono diligentemente ma senza un apparente scopo. In generale, si ha una kermesse che vive più di Eros che di Thanatos. L’Happy End finale è immancabile: Jung in preda alle sue fantasie grandiose si estranea dal mondo facendosi accompagnare da una giovane amante, mentre la moglie, pardon la madre dei suoi figli, fa da scenario alla sua vita, e Sabina, psicoanalista affermata e felicemente sposata, è incinta del suo primo figlio. Dimenticavo, Freud litiga definitivamente con Jung e continua a vivere nel suo Super Io, mentre Gross scompare in prenda alle sue pulsioni inconsce.

Il film, in realtà, non è da buttar via, in virtù di una buona messa in scena e della sinergia fra gli attori del cast, che rendono comunque piacevole e relativamente appassionante la frammentaria vicenda, ma la semplificazione estrema del tutto, non ce la aspettavamo da uno come Cronenberg, non può che deludere i suoi fan.

Napolitano: la metamorfosi del coniglio bianco

Presidente Giorgio Napolitano Si festeggia la caduta del sovrano Berlusconi, ma comunque si percepisce il bisogno di una guida, se non di un capo. Il problema di Berlusconi non è stato affatto il suo potere, ma la sua anarchia. Come altrimenti spiegare l’ammirazione discreta per Napolitano che serpeggia e cresce nell’opinione pubblica? Ora lui appare il timoniere, se non il vincitore. Destino imprevedibile per Napolitano. Per decenni figura importante eppure in fondo irrilevante nel PCI. Era il leader dei cosiddetti miglioristi, i riformisti del PCI visti con perenne sospetto dai militanti. I miglioristi non erano accettati dall’ortodossia di partito, perfino dopo lo strappo con i sovietici di Berlinguer…CONTINUA su Affaritaliani.

In Terapia: lo Sguardo del Dolore

Il giovane terapeuta si accorge con il tempo di acquisire sempre maggiore sensibilità a ciò che non è detto verbalmente.

Lo sguardo del dolore - © Kelly Young - Fotolia.com Esperienza, fatica, sensibilità, tutte componenti che giocano un ruolo. Io, da giovane psicoterapeuta, mi meta-accorgo di come si evolve la mia sensibilità. Cioè mi accorgo di come avverto diversamente molti dei segnali che si succedono in una seduta di psicoterapia.

Una delle cose che maggiormente colpisce non solo la mia attenzione, ma le mie viscere è lo sguardo del dolore. Intendo per sguardo del dolore quell’esatto momento in cui gli occhi si stringono lasciando trapelare una sofferenza, prima ancora che la coscienza della persona la colga, o senza che la colga. Una sofferenza muta, costretta da qualche parte, come il rumore di una cascata impetuosa che avverti solo da lontano. Hai idea che dev’essere immensa, ma il suono è solo un rumore di fondo.

E allora lì il terapeuta che fa? Certo un minimo di esperienza ti permette di non essere sconvolto, incerto o allo stesso modo di evitare, fare finta che questo sguardo non esista. Ma accettato questo passo, che fare? Qual è la giusta mossa? Potrei dire che ti senti terapeuta quando la smetti di farti questa domanda.

La felicità è negli occhi di chi guarda © Konstantin Sutyagin - Fotolia.com
La felicità è negli occhi di chi guarda - Di Giuseppina di Carlo, Ursula Catenazzi, Sara Della Morte

Terapeuti più esperti di me conosceranno lo sguardo del dolore e meglio di me potranno descrivere come lo si può fronteggiare. Io penso che esistano diverse strade. Se non è il momento o capita fuori dalla tua strategia del momento, puoi decidere di non toccarlo, lasciarlo passare, prenderne nota e recuperare il tema in un secondo tempo. Oppure puoi gettare un colpo di consapevolezza senza approfondire (semplificando: questa cosa mi sembra che peschi un dolore intenso, lo dovremmo toccare, ci dovremmo passare attraverso assieme, ora non è il momento ma voglio che lo sappia). Oppure ancora fermarsi e assumere un atteggiamento di accertamento più vago ed esplorativo (ho notato qualcosa nel suo sguardo, cosa le è venuto in mente? Come si sente in questo momento?) così da iniziare ad entrarci dentro con lui, ma con passi leggeri. Il giovane terapeuta può avere già chiaro il significato di quello sguardo, perché conosce da tempo il paziente.

E allora può tentare di restituirglielo e di provare un’ipotesi di validazione (sarebbe naturale se lei sentisse una forte angoscia a questo pensiero, richiama quelle cose di cui abbiamo già parlato). Infine il giovane terapeuta può anche pensare che quello sia il momento dell’affondo, che il paziente e l’alleanza può reggere, che si può osare e prendere il toro per le corna. Allora il terapeuta entra (qual è la sua paura? Qual è la sofferenza che c’è dietro? Qual è il dolore che leggo) e poi, se l’investimento riesce, allora poi si pensa a capitalizzare, cioè validare, assestarsi, confortare e sollevare dal peso trascinato fuori dalla mente, un po’ come buttarlo nel vuoto e poi scendere di corsa, arrivare prima e tendere la rete.

Quali altre vie? Forse molte, nessuna perfetta. Forse non ha molto senso pensare di strutturare l’ars terapeutica in una serie di azioni specifiche “giuste”. E infatti non è quello lo scopo della scienza o del pensiero critico, come scioccamente credono i suoi detrattori. La scienza rappresenta la base per muoversi con coscienza, per fare scelte sagge, per sentire che non tardiamo per paura, che non affondiamo per imprudenza. La scienza -in questo caso- è il lumicino con cui entriamo a esplorare il malinconico sguardo del dolore.

 

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I “Mode” della Schema Therapy e la Terapia Cognitiva.

Mode - Schema Therapy - Terapia Cognitiva - © Web Buttons IncIl concetto di ‘mode’, un termine difficilmente traducibile nella lingua italiana, rappresenta un costrutto sempre più importante nel trattamento cognitivo dei disturbi di personalità. Il mode è un insieme di schemi e prospettive mentali attive in un individuo in un determinato momento (Young, Klosko & Weishaar, 2003). Si può considerare una modalità di vedere il mondo e gli eventi e di reagire ad essi sintetizzabile in un ruolo più o meno stereotipato (es: il narciso disprezzante, il debole e indifeso, il freddo manipolatore, il libertino disregolato ecc…). Tutte le persone sviluppano diversi mode che prendono il sopravvento in particolari situazioni (es: una persona che se viene criticata entra in modalità contrattacco furioso oppure sottomissione incondizionata). Nelle persone senza disturbi psicologici i vari mode sono integrati sotto un cappello unitario (l’identità personale) e soprattutto volontariamente regolati nella loro espressione.

Secondo gli autori che hanno sviluppato questo concetto, i pazienti con disturbi di personalità, in particolare chi soffre di Disturbo Borderline di Personalità, presentano una tendenza a passare da un mode all’altro in modo rapido, improvviso e senza rendersene conto. Sono completamente fusi dentro la prospettiva del mode attivo nel momento presente. In un momento sono vittime, un momento più tardi furiosi persecutori, più tardi ancora possono trasformarsi in salvatori. Manca l’integrazione di questi aspetti, la capacità di prendere le distanze dal mode che ci domina, la capacità di gestirne l’espressione. Questi sono gli obiettivi su cui si è concentrata la psicoterapia cognitivo-comportamentale per i disturbi di personalità. Recenti studi hanno mostrato come la psicoterapia cognitivo-comportamentale basata sui mode sia efficace più degli usuali trattamenti psicoterapeutici nella riduzione di sintomi in pazienti con Disturbo Borderline di Personalità in un grande studio a 3 anni di follow-up dall’inizio dell’intervento (Giesen-Bloo et al., 2006)

 

BIBLIOGRAFIA:

Rassegna Stampa: 13-11-2011

rassegna stampaDonne bisessuali a maggior rischio di depressione e abuso alcolico rispetto a uomini bisessuali

Le donne bisessuali sarebbero a maggior rischio di depressione e abuso alcolico rispetto ai maschi bisessuali, secondo quanto emerge da uno studio nazionale condotto presso la George Mason University dalla ricercatrice Lisa Lindley. Lo studio, pubblicato su American Journal of Public Health considera tre diverse dimensioni della sessualità, nello specifico identità, comportamento e attrazione, andando a studiarne il legame con diverse variabili legate al benessere e alla salute.

In particolare, il rischio di sviluppare forme di depressione e abuso alcolico è elevato in misura simile durante l’adolescenza per maschi e femmine bisessuali, mentre nell’età adulta tale rischio sembrerebbe ridursi per i maschi ma non per le femmine di orientamento bisessuale. Interessante punto nello studio è anche il risultato secondo cui le donne bisessuali presenterebbero un tale elevato profilo di rischio non riscontrato invece nelle donne prettamente omosessuali.

 

Dare supporto sociale fa bene sia a chi lo dà che a chi lo riceve.

Un nuovo studio di brain-imaging condotto presso la Univeristy of California Los Angeles da Naomi Eisenberg e colleghi dimostra come il fornire supporto sociale e aiuto agli altri fa bene non solo a chi lo riceve ma anche a chi lo dà. Gli autori hanno coinvolto nella ricerca 20 coppie eterosessuali con buon funzionamento relazionale e hanno sottoposto le 20 donne a risonanza magnetica funzionale per identificare le aree di attivazione a livello cerebrale mentre i loro fidanzati ricevevano brevi ma dolorosi shock elettrici proprio di fianco a loro. Le partners sono state divise in due gruppi sperimentali: un primo gruppo aveva la possibilità di tenere per mano il proprio compagno mentre subiva shock elettrici, mentre un secondo gruppo doveva limitarsi a guardarlo ma senza potergli fornire un minimo supporto. Dai risultati è emerso che le donne che effettivamente fornivano supporto ai loro fidanzati durante l’esperienza dolorosa, mostravano un incremento di attivazione nelle regioni cerebrali relative alla ricompensa, quali lo striato ventrale. In particolare, è stata rilevata una correlazione tra l’intensità del sentimento di vicinanza soggettivamente riportato dalle partners e l’intensità dell’attivazione di tale area cerebrale. Di conseguenza, se il fornire supporto sociale attiva tali aree della ricompensa, attive anche durante l’attività sessuale o guadagni economici, significa che l’attività del dare supporto agli altri viene processata al pari di altre esperienze di piacere e ricompensa. Lo studio è pubblicato nell’attuale numero di Psychosomatic Medicin.

 

Padri depressi e influenze sui figli

Non più solo madri depresse nel mirino. I bambini che vivono vicino ai loro papà depressi avrebbero maggiori probabilità di sviluppare problemi emotivi e comportamentali rispetto ai loro pari. Questo è l’esito di uno studio condotto da Michael Weitzman, professore di pediatria e psichiatria presso la New York University School of Medicine, pubblicato il 7 Novembre sulla rivista Pediatrics. A fronte delle ampie documentazioni degli effetti negativi di disturbi psicologico-psichiatrici materni sul benessere dei figli, per la prima volta viene dimostrato che vivere insieme a padri depressi è correlato con una maggiore frequenza di problemi emotivi e comportamentali nei figli. Lo studio ha coinvolto un campione di ben 22,000 bambini e relativi genitori. “Questi risultati stimolano a porsi questioni di grande rilevanza” scrive Weitzman “riguardo alle modalità di sviluppo e implementazione di strategie volte a facilitare l’identificazione e l’eventuale intervento nei confronti di padri alle prese con disturbi depressivi”.

 

 

Razionalità vs. irrazionalità nel decidere di questioni economiche

Razionalità nelle decisioni economiche. - Licenza d'uso: Creative Commons - Proprietario: http://www.flickr.com/photos/45378259@N05/Un recentissimo studio pubblicato mercoledi 9 Novembre su PloS ONE ha dimostrato che solo un ristretto numero di persone si comporta in modo più razionale rispetto alla maggioranza quando ha a che fare con questioni di soldi. La maggior parte delle persone si comporterebbe invece in modo irrazionale. L’autore leader dello studio Wim De Neys ricercatore del National Center for Scientific Research (CNRS) in Francia, insieme al proprio gruppo di ricerca, ha analizzato il comportamento dei partecipanti coinvolti in un gioco in cui i concorrenti devono negoziare, proporre e accettare offerte di denaro. La best practice “razionale” prevista dai modelli economici, prevede che il primo giocatore offra una somma modesta di denaro al secondo giocatore, il quale, secondo una logica razionale dovrebbe accettare l’offerta sulla base del principio “sempre meglio di niente”. Tuttavia la maggior parte delle persone agisce in modo differente: il primo giocatore offre spesso una divisione equa della somma; d’altro canto il secondo giocatore generalmente rifiuta l’offerta di una divisione non equa. Soltanto un ristretto numero di persone si comportano in accordo con le previsioni razionali dei modelli economici, accettando quindi anche l’offerta di somme esigue di denaro. Ulteriori indagini su questo ristretto gruppi di “razionali” hanno dimostrato che tali individui presentano un elevato “controllo cognitivo” valutato mediante il compito comportamentale (Go/No-Go performance) e mediante specifici indici di attivazione neurale rispetto agli individui meno razionali. Di conseguenza i decision-makers che presentano maggiori indici di controllo cognitivo e razionalità hanno più probabilità di massimizzare i loro guadagni monetari rispetto ai decision-makers con scarsi punteggi di controllo cognitivo.

Leggi anche: Cognitivismo ed Economia

L’interpretazione dei sogni

CHE COSA FANNO GLI ANALISTI PER ESSERE COSI’ BRAVI?

Psicoanalisi analisi dei sogni - © rolffimages - Fotolia.com - Poiché notoriamente “chi di spada ferisce, di spada perisce” come suggerì Gesù al focoso Pietro, confuso evidentemente dal fatto che lui stesso aveva precedentemente detto di essere venuto a portare la spada (Cristo,mettiamoci d’accordo una buona volta!). prima o poi doveva toccarmi questa sorta di abiura galileiana. Non c’è momento migliore per riparare al mio peccato che il ritiro nel ricovero per i poveri infermi costruito da Bernardino da Siena in quel di Barga, enclave fiorentina nella lucchesia, nel 1456, esattamente 400 anni prima della nascita di Sigmund Freud.

Dopo aver per anni criticato e ironizzato sulla ascientificità dell’interpretazione dei sogni e quasi facendone il simbolo di una psicoterapia stregonesca da abbattere ed estirpare, devo tornare sulle mie posizioni.

Il motivo del pentimento è dovuto all’aver sperimentato personalmente il metodo dalla parte del lettino. L’ironia ha dovuto lasciare il posto ad un meravigliato “però ci prendono davvero!”

L’espiazione che mi impongo è di cercare di analizzarne il funzionamento in termini a me più comprensibili. Per argomentare sulla sincerità del mio pentimento iniziò con il confessare che ciò che mi spinse, giovane liceale, a scegliere questa professione fu proprio la lettura di Freud. Quattro furono le cose che mi affascinarono allora:

  1. Il pansessualismo traboccante che occhieggiava alla mia montata ormonale adolescenziale.
  2. Il fatto che la psicoanalisi spiegasse in maniera definitiva e assoluta ambiti molto diversi che andavano dalle opere d’arte ai motti di spirito, dai lapsus alla guerra, dalla religione alla nevrosi. Provavo quella meravigliosa totalizzante esperienza cognitiva per cui “tutto torna, tutto combacia come con l’ultima tessera di un puzzle, tutto si spiega. Più avanti capii che questa è una caratteristica propria del delirio e credo dunque anche una mia innata tendenza.
  3. I casi clinici scritti con un piglio da romanziere esperto che gli ho sempre invidiato.
  4. E, infine, proprio la strada maestra per l’inconscio, quella interpretazione dei sogni alla quale mi dedicai per un paio di anni in una sorta di autoanalisi in cui trovavo nei sogni le conferme a ciò che pensavo o desideravo da sveglio.

 

Analisi dei sogni: Non solo psicoanalisi. Di Federica Vannozzi --- Fotografia: © Vladimir Melnikov - Fotolia.com
Analisi dei sogni: non solo psicoanalisi – Di Federica Vannozzi

La differenza con l’analisi vera e propria sta tutta qui. L’interpretazione del sogno che fa l’analista è in genere molto diversa da quella che riesco a fare in proprio e soprattutto mi dice cose effettivamente nuove: sarà forse davvero l’inconscio che per fede nel razionalismo e nella coscienza ho sempre rinnegato dopo la prima adolescenziale passione?

 

Allora proviamo a ragionare su come diavolo facciano.

Un sogno è una storiellina piuttosto insensata e incomprensibile, talvolta bizzarra. Cosa se ne può tirar fuori di buono?

Ipotesi:

  • Immaginiamo che il sogno sia una “pars pro toto” dove la “pars” è la storiellina, e il “toto” uno schema cognitivo pervasivo che in quel momento ci aiuta a fronteggiare gli eventi che stiamo vivendo e guida i nostri scopi, la nostra percezione e la memoria. Ad esempio: se sono immobilizzato in un letto o piuttosto in attesa di un matrimonio che non ho scelto forse uno schema del tipo “costrizione – libertà” guida il mio pensiero ed il mio comportamento diurno e mi aiuta a trovare soluzioni efficaci.

E’ possibile allora che faccia un sogno in cui non riesco a fuggire da una galleria franata oppure un semaforo bloccato sul rosso mi immobilizza in una strada senza vie d’uscita. Il bravo analista sale di astrazione e mi chiede: cos’è che le toglie la libertà? identificando lo schema cognitivo attivo nel sogno e nella vita. Poi se è ancora più bravo mi chiede perchè questo schema è attivo in questo momento dell’esistenza.

Mi chiede ancora se lo è stato in passato e se ha funzionato (quello che io chiamerei il contesto di apprendimento) ed infine se è attivo anche nella relazione terapeutica.

Questi sono i tre binari in cui lo schema può declinarsi: il presente, il passato, la relazione.

In sintesi a parole mie direi che:

  1. Il sogno è una produzione “parte” di uno schema cognitivo attivo.
  2. Gli schemi cognitivi prevalenti si sviluppano nella prima infanzia e sono selezionati darwinianamente dall’ambiente familiare che rinforza quelli adattivi.
  3. Gli schemi organizzano la propria costruzione di sé e del mondo.
  4. Influenzano la percezione e la memoria e determinano le emozioni.

Certo partire dai sogni non è sicuramente l’unico modo per evidenziare questi schemi ma gli analisti lo sanno fare così e spesso molto bene. I cognitivisti lo fanno attraverso gli AC e l’analisi di costrutti, scopi e credenze.

La funzione del sogno potrebbe essere duplice:

  1. da un lato far lavorare lo schema senza l’impellenza di un problem solving sul reale e quindi con meno vincoli. Un pensiero più lasso che può produrre soluzioni più creative, eventualmente da utilizzare in seguito
  2. dall’altro quello di portare alla consapevolezza lo schema, richiamando dunque l’attenzione della coscienza sul problema che ci troviamo a fronteggiare.

Problemi aperti:

Non si ha garanzia, tranne l’esperienza e la formazione dell’analista che il “toto” a cui la “pars” sogno rimanda non sia uno schema prevalente dell’analista stesso.

Il semaforo potrebbe essere per lui una costrizione e per il sognatore invece rappresentare l’ordine e la regola versus il caos.

L’analista prudente per evitare questo rischio deve;

  1. chiedere conferma al sognatore se quello schema lo sente suo.
  2. piuttosto che tirare fuori l’interpretazione d’effetto come un coniglio dal cilindro, procedere con le associazioni del sognatore che certamente sono dettate dagli schemi del sognatore stesso e che quindi riportano necessariamente alle cose per lui importanti.

In questo senso si potrebbe partire anche da un sogno non proprio o da materiale non onirico. Per ciascuno di noi i salmi finiscono sempre in gloria, nella stessa gloria. Quella che ci sta a cuore.

Tanto era dovuto a titolo di espiazione.

Bellezza, Stress e Mal di Testa

Emicrania - donne - cause - © fred goldstein - Fotolia.comIn una recente ricerca della Società Italiana per lo Studio delle Cefalee,tra le cause scatenanti dell’emicrania troviamo i tacchi a spillo e le frequenti visite dal parrucchiere per la messa in piega! Il mal di testa è un vero problema per le donne italiane tra i 30 e i 40 anni, provocato da fattori ben precisi: poche ore di sonno, ciclo mestruale, posture scorrette, tensione muscolare, stress, odori e sesso.

Dai dati emersi dallo studio, nel 75% dei casi l’anticamera del mal di testa è lo stress quotidiano; nella stessa percentuale, quando la cefalea è di origine tensiva, la causa è una postura scorretta: troppe ore al pc, tacchi a spillo e borse troppo pesanti. A seguire, tra le cause principali, le poche ore di sonno e il ciclo mestruale. Nel 10% dei casi sono i profumi molto dolci o quelli di aglio, cipolla, noce moscata e spezie a provocare il mal di testa. Tra gli altri fattori che possono innescare attacchi di cefalea, nello studio sono riportati: condizioni atmosferiche (vento, troppo caldo o i cambiamenti repentini di pressione atmosferica), l’alimentazione (il saltare i pasti o l’esagerare con il cibo e la qualità di quest’ultimo). Infine, anche l’attività sessuale può causare crisi di mal di testa… sia prima che dopo!

Ancora sul mal di testa, in uno studio interessante dei ricercatori del Centro Montefiore sulle Emicranie di New York si evince che a volte pazienti con cefalee ricorrenti immaginano, prima di un attacco, di sentire odore di bruciato, di marcio, di fumo di sigaretta o perfino di foie gras. Certo, questa è un’allucinazione sensoriale che fa parte del momento che precede il dolore piuttosto rara rispetto ad altre: visive (luci e flash) o fisiche (formicolii e torpori).

E allora che fare? Come combattere l’emicrania che spesso diventa una fedele compagna della vita quotidiana di molti? Oltre ad un preventivo cambiamento dello stile di vita, ponendo maggior attenzione ai fattori scatenanti, oltre agli analgesici, FANS e antidolorifici, una buona risposta possono essere esercizi di rilassamento muscolare e di meditazione.

 

 


Musica e Didattica Metacognitiva

Musica didattica metacognitiva - © Tommi - Fotolia.com Un bambino può apprendere a parlare bene senza conoscere, esplicitamente, le regole grammaticali ma non può parlare bene senza applicare corettamente queste regole. Un alunno può imparare senza che gli sia stato spiegato cos’è la metacognizione, però non può essere davvero efficace nel proprio apprendimento se non lavora metacognitivamente: se non conosce le differenza tra sapere e non sapere, tra memorizzazione e comprensione, se non “impara ad imparare”.

Sin dagli anni ’90 la pratica metacognitiva ha trovato una sua applicazione nel programma “Bright Start” di Carl Haywood, dedicato alla scuola dell’infanzia ed elementare. Bright Start è basato sulla mediazione degli strumenti del pensiero logico applicati ad esperienze scolastiche e quotidiane. Questo programma viene utilizzato dagli insegnanti come base per promuovere una migliore autoregolazione cognitiva, che sta alla base degli apprendimenti fondamentali come la scrittura, il calcolo, la comprensione di un testo, ma anche per aumentare la motivazione, la capacità di risolvere i conflitti, l’autonomia.

Per i bambini di età superiore, invece, è diffuso in tutto il mondo il metodo Feuerstein (Programma di Arricchimento Strumentale). Questa proposta pedagogica ha dato un contributo fondamentale e fortemente innovativo sul come si può lavorare sul potenziale di apprendimento sia di soggetti disabili sia di soggetti “normali”, appartenenti anche a culture diverse, e si caratterizza come uno dei primi approcci metacognitivi in ambito educativo e riabilitativo. È un programma di intervento cognitivo e metacognitivo utilizzato a partire dagli 8/10 anni, che ha lo scopo di accrescere la modificabilità dell’individuo attraverso l’attivazione e lo sviluppo di quelle che la teoria della cognizione ha indicato come “prerequisiti del pensiero”: le funzioni cognitive.

Ho deciso di dedicarmi alla didattica metacognitiva sfruttandola attraverso altri mezzi, potenti almeno quanto la comunicazione verbale: i suoni e i rumori.

La musica (e tutto ciò che la compone), in quanto esperienza multisensoriale emotivamente coinvolgente, può essere un ottimo strumento per stimolare la riflessività; a partire da percezioni più profonde, che non si limitino a indurre una risposta istintiva su qualcosa che “tocca” al primo impatto (guardando un quadro, ad esempio, ne distinguiamo subito i colori), ma che obblighi a riflettere sull’esperienza appena vissuta, a valutarla ed analizzarla, al fine di trarne degli insegnamenti, trasferibili anche ad altri contesti della vita.

Il modo in cui lavoro con i bambini è quello di sostenerli attraverso una riflessione accurata sull’esperienza musicale in tutti i suoi aspetti, da quello sensoriale, a quello emotivo, riflessivo, logico ecc, e mira allo sviluppo delle capacità cognitive della fascia d’età alla quale il laboratorio si rivolge (4-5 anni). In particolare allo sviluppo, grazie a esperienze concrete, delle capacità di astrazione, di classificazione e seriazione; allo sviluppo della capacità di tradurre in parole vissuti e ragionamenti; e allo sviluppo della capacità di assumere prospettive nuove e diverse.

Con la mediazione dell’animatore, i bambini vengono indotti a partecipare attivamente a un certo numero di giochi sonori e musicali, per scoprirne le regole e gli aspetti specificamente legati al suono (a seconda dell’età: volume, ritmo, velocità, timbro, durata, intensità, altezza…); vengono inoltre guidati, attraverso un costante stimolo a verbalizzare, al confronto dei propri vissuti con le attività del laboratorio, per trovare insieme le parole per definirli.

Ogni incontro contiene in se stesso, nell’interazione tra mediatore e bambini, la possibilità di verificare l’evolversi del percorso educativo che è caratterizzato dagli obiettivi esposti sopra. E’ anche evidente che non sarebbe possibile né significativa una verifica in forma di esibizione finale di fronte a un pubblico.

In sintesi, un atteggiamento metacognitivo si fonda sulla riflessività, sulla capacità di moderare l’impulsività e di farsi domande che riguardano il proprio “fare” e “pensare” riguardo all’esperienza quotidiana sia di studio che di lavoro, focalizzando l’attenzione più che sul “che cosa”, sul “come”, più che sul risultato, sui processi che vi conducono. Uno dei frutti di questo atteggiamento è sicuramente una migliore conoscenza di sé.

Lo studio della competenza metacognitiva, intesa come capacità di valutare e controllare in modo esecutivo il proprio funzionamento cognitivo, ha coinciso con una visione nuova dell’architettura della mente e dello sviluppo intellettivo in generale. L’idea alla quale la ricerca in questo ambito è giunta è che l’intelligenza è flessibile, educabile e rieducabile.

Purtroppo questa pratica non è tanto diffusa quanto ci si aspetterebbe, forse a causa di un troppo scarso investimento nei confronti di una serie di strumenti che vuole uscire dai canoni didattici con cui abbiamo sempre vissuto, forse per mancanza di insegnanti formati secondo questo metodo. Probabilmente questi due dati sono strettamente collegati.

 

 

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