Dopo aver riflettuto per qualche settimana sulle idee emerse durante il workshop sulla Schema Therapy (ST) tenutosi a Roma, l’obiettivo è provare a dare forma e sostanza ad alcuni miei dubbi attraverso una breve analisi.
L’argomento è interessante rappresentando una strada, quella intrapresa da Young, che propone un’integrazione tra cognitivismo standard e teoria dell’attaccamento. La natura stessa del concetto di mode, inteso come insieme di schemi e relativi comportamenti di coping attivi nel soggetto in un determinato momento (Young, Klosko e Weishaar, 2003) ha il grande vantaggio della chiarezza comunicativa di un elemento centrale nella psicopatologia che viene colto con semplicità dal paziente aiutandolo a mettere i primi mattoni della metacognizione, aspetto nucleare nei disturbi di asse II. Il mio personale dubbio nasce dalla sua applicazione in terapia.
Young infatti attribuisce estrema importanza al piano esperenziale, in cui si stimola il paziente a dialogare attivamente con i propri mode. Identificare propri“mode” e riflettere su di essi implica un enorme sforzo di autoriflessività, che per un paziente di asse II rappresenta un obiettivo a lungo termine per le sue difficoltà in questa area (Semerari e Dimaggio, 2003). Nella ST tutto questo avviene da subito lasciandoci con l’interrogativo di capire cosa sia successo all’interno della terapia affinché il paziente abbia saputo colmare questo deficit.Lo stesso dubbio riguarda la modalità relazionale iper-accudente del terapeuta nei confronti del paziente e dei suoi bisogni non soddisfatti nell’infanzia.
Essendo presente, per esempio nel disturbo borderline, una difficoltà a regolare le emozioni collegate con il sistema d’attaccamento, che può venir attivato dall’atteggiamento accudente del terapeuta sin dalle primissime sedute, rimane il dubbio di come queste possano venir gestite in terapia. Evocare sempre in fase di assessment, attraverso le tecniche immaginative, esperienze d’attaccamento potrebbe diventare quindi molto rischioso non essendosi ancora costruita una relazione terapeutica e non avendo ancora il paziente gli strumenti per regolare le emozioni che tali esperienze traumatiche attivano.
I pazienti borderline con cui possiamo lavorare con questo approccio terapeutico sono forse coloro che hanno una scarsa impulsività ed un buon funzionamento metacognitivo. Le tecniche immaginative sono molto interessanti, anche se alcuni limiti come scritto precedentemente potrebbero essere legati alla difficoltà di proporle ad un paziente in asse II sin dalle primissime sedute. Viceversa, potrebbero diventare uno strumento estremamente efficace quando la terapia ha aiutato il paziente a gestire l’attivazione di emozioni per lui estremamente dolorose.
BIBLIOGRAFIA:
- “Schema Therapy. La terapia cognitivo-comportamentale integrata per i disturbi della personalità” di J.E.Young, J.S.Klosko e M.E.Weishaar. Edizione italiana a cura di A.Carrozza, N.Marsigli e G. Melli. Ed. Eclipsi, Firenze, (2007)
- “I disturbi di personalità. Modelli e trattamento” a cura di A.Semerari e G. Dimaggio. Ed. Laterza, Roma ,(2003).
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