expand_lessAPRI WIDGET

Psicoanalisi e consenso: libertà e controllo sociale ai tempi del coronavirus

La pandemia Covid-19 e le limitazioni connesse hanno determinato una trasformazione culturale profonda e radicale, qui analizzata in chiave psicoanalitica

Di Paolo Azzone

Pubblicato il 01 Apr. 2021

Le misure di contenimento dell’epidemia di Covid-19 hanno imposto una rarefazione delle relazioni umane che non ha precedenti nella nostra storia.

 

Angoscia e pandemia

La pratica clinica della psichiatria territoriale mi ha spesso portato a contatto con pazienti molto preoccupati per le malattie contagiose. In questi casi il lavaggio delle mani diventa un rituale defatigante, la disinfezione di luoghi od ambienti occupa via via gran parte della giornata, ma la serenità non ritorna, la sicurezza sfugge, le energie profuse si esauriscono senza offrire alcun conforto.

Il partner, i familiari, spesso anche il paziente stesso, avvertono le pratiche di purificazione come ridondanti ed assurde e chiedono aiuto. La società ed il sistema sanitario offrono risorse professionali. Una costellazione emotiva (contagio/infezione/purificazione) viene cioè configurandosi su un piano culturale e scientifico come un comportamento irragionevole, manifestazione di una implicita follia. Le diagnosi formulate dai clinici includono senza dubbio quelle di fobia e di ipocondria.

L’angoscia legata al contatto interumano ha sempre avuto un ruolo rilevante nelle culture umane. Nelle civiltà primitive o semplicemente arcaiche il contatto con determinati oggetti, situazioni o membri della società (il tabù degli antropologi, cfr. Douglas 1966) comportava un pericolo di tipo rituale. Nella cultura indiana il contagio rituale è incardinato alla gerarchie delle caste. Qualsiasi contatto con le caste inferiori produce una inevitabile e pericolosa impurità.

Nel corso della storia europea la rappresentazione culturale dell’impurità si è modificato profondamente. Il cristianesimo medioevale l’ha riformulata prevalentemente nei termini di un contatto sessuale impuro. L’acqua delle antiche purificazioni è stata sostituita dai riti della penitenza, non raramente caratterizzati da altrettanto evidenti componenti magiche e da un carattere di coattività.

Nelle società moderne il pericolo rappresentato dal contatto ha spesso assunto le forme di un pericolo infettivo. La paura del contagio promosso da ipotetici untori si è periodicamente sostituita alla interazione sessuale come paradigma della minaccia. Nel suo capolavoro Manzoni ci ha insegnato come le folle siano sempre pronte a scatenarsi contro minoranze innocenti, ogni qual volta la salute e la sopravvivenza fisica siano in pericolo.

Oggi, appunto, l’umanità si confronta di nuovo, dopo vari decenni, con una malattia contagiosa gravata da significativa morbilità e mortalità, soprattutto nei soggetti anziani. E la paura cresce senza sosta. Epidemiologi, opinione pubblica, media e governo si rincorrono chiedendo provvedimenti sempre più restrittivi della libertà personale.

Cresce l’ostilità tra i cittadini. Anziane pensionate non mancano di apostrofare i rari passanti rispetto al corretto uso della mascherina; agguerrite commesse dettano precise disposizioni igieniche a consumatori attoniti; cittadini zelanti denunciano alle forze dell’ordine ipotetiche violazioni delle prescrizioni governative; i giovani più dotati di competenze informatiche non esitano ad esporre alla gogna mediatica innocenti runner o bambini indisciplinati.

Senza dubbio l’agente della SARS COVID-19 ha determinato una trasformazione culturale profonda e radicale. Le misure di contenimento dell’epidemia hanno imposto una rarefazione delle relazione umane che non ha precedenti nella nostra storia. I problemi sociali ed economici che attanagliano il nostro paese sono pressoché scomparsi dal dibattito politico, mentre la ricchezza pubblica è stata profusa senza risparmio nel tentativo, peraltro non riuscito, di arrestare il progredire della pandemia.

Come ha osservato il noto filosofo della politica Giorgio Agamben (2018), l’epidemia da coronavirus ha rapidamente configurato uno stato di eccezione di fronte al quale le stesse garanzie costituzionali sono apparse come assolutamente irrilevanti, preoccupazioni superflue per giuristi perditempo. Libertà, giustizia sociale, esperienza religiosa – i valori guida attorno a cui si è organizzata la nostra collettività e per i quali sono stati versati fiumi di sangue  – hanno perso improvvisamente qualsiasi importanza.

La paura ha assunto una centralità assoluta nell’immaginario collettivo della società contemporanea. Si è rapidamente affermata l’idea che tutta la struttura sociale e l’organizzazione economica debbano essere riformulate esclusivamente in funzione del controllo del contagio.

Come nelle società primitive, contatto, contagio e paura sono ritornati al centro dell’immaginario collettivo. Le angosce ipocondriache sono traboccate dal recesso in cui il pensiero moderno le aveva relegate. Le parti fobiche della personalità hanno preso il controllo della cultura contemporanea.

Così, nelle società avanzate del XXI secolo l’ipocondria diviene pensiero ufficiale, anzi pensiero unico, e inquietanti guardiani della rivoluzione esigono dagli organi della pubblica sicurezza scrupolosi interventi censori contro ogni forma di dissenso.

I dissidenti sono stati oggetto di una feroce campagna mediatica che li associa esplicitamente agli intellettuali di area neonazista. Se questi ultimi si affannano a negare le dimensioni della persecuzione degli ebrei durante il nazismo, anche gli oppositori dello stato di eccezione sanitario sarebbero negazionisti, quindi evidentemente folli o malati.

In questo contesto alcuni settori della psicoanalisi organizzata hanno preso una posizione precisa. Hanno puntato il dito contro i dissidenti. Hanno proposto che la psicoanalisi abbandoni la sua tradizionale posizione di neutralità per assumere un ruolo attivo accanto ai tradizionali dispositivi del potere e della repressione del dissenso.

Gli psicoanalisti – osserva Austin Ratner (Ratner & Gandhi, 2020), consulente esterno della APA – hanno oggi il compito di garantire il consenso delle masse ai provvedimenti sanitari, con buona pace della neutralità analitica.. E in Italia molti psicoanalisti mediaticamente visibile si sono schierati. Massimo Recalcati (“I  paradossi della tirannia sanitaria” La Stampa, martedì 13 ottobre 2020) denuncia il rischio di quella che definisce una “sottovalutazione della dimensione clinico-epidemica del virus”. Gli oppositori del potere sarebbero solo degli  immorali ”libertini” incapace di tollerare i limiti che la saggezza delle istituzioni sa porre ad una sfrenata libertà.

In una intervista per la rete televisiva La7 Umberto Galimberti non esita a chiamare gli oppositori pazzi deliranti. “Coi pazzi non è facile ragionare. Si può persuadere chi nega la realtà che la realtà è differente? Molto difficilmente” – mentre dalle pagine del Sole 24 ore Vittorio Lingiardi e Guido Giovanardi invitano i colleghi psicoanalisti a fare fronte comune contro ogni forma di dissenso rispetto alla gestione della pandemia.

Lingiardi e Giovanardi non hanno dubbi: l’opposizione ai provvedimenti sanitari fa “aumentare il numero di contagi e decessi per coronavirus” ed è espressione di un funzionamento mentale primitivo, dominato dal meccanismo di difesa del diniego. La psicoanalisi dovrebbe pertanto uscire dal suo secolare ritiro e divenire “forza di cambiamento sociale” articolandosi con gli organi della sanità pubblica per rieducare e liberare dalle proprie nevrosi lo sparuto drappello dei dissidenti.

Il presidente Thanopulos della SPI mostra certo, nel suo recente contributo per l’Huffington Post, una posizione più equilibrata. Immagina una psicoanalisi che rimane in una posizione clinica, pronta a trattare le forme di diniego che impedirebbero di riconoscere la gravità del pericolo incombente ma anche gli eccessi fobici ed ipocondriaci che il clima pandemico potrebbe suscitare in soggetti predisposti.

Salute mentale e controllo sociale

Come è potuto accadere questo scivolamento? Come è possibile che la psicoanalisi si proponga oggi come utile strumento per la gestione del consenso? Per rispondere a questa domanda dobbiamo ripercorrere rapidamente la storia dei rapporti tra professionisti e prassi della salute mentale, da un lato, e controllo della devianza, dall’altro.

Possiamo iniziare il nostro excursus nel 1321. In quell’anno fonti vicine al re di Francia iniziarono a diffondere documenti che attestavano l’esistenza di un pericoloso complotto internazionale, supportato sul piano  finanziario e tecnologico dai grandi stati islamici del mediterraneo e forse dell’ebraismo internazionale. Il progetto era quello di rovesciare i sovrani legittimi dei regni cristiani ed instaurare una nuova forma di governo. Gli inquirenti non avevano dubbi sui protagonisti dell’azione sovversiva: persone ai margini della società, e particolarmente pericolose perché malate e quindi potenzialmente contagiose. Il papa non potè opporsi all’evidenza e diede via libera alle autorità civili. L’eccidio dei lebbrosi cominciò nel giugno dello stesso anno in varie città. La folla indignata partecipava attivamente all’azione repressiva, aderendo con entusiasmo alle sollecitazioni delle autorità, e se queste tardavano la strage aveva inizio senza attendere né giudice né balivo (Ginzburg, 2017, pp. 5-28).

Naturalmente, il massacro rimase incompleto. I lebbrosi superstiti furono però definitivamente reclusi in istituzioni specializzate. Foucault (1961) ci ha insegnato che la follia verrà ad occupare nel XVI secolo proprio quegli spazi di marginalizzazione e controllo che la lebbra recedendo aveva restituito alla società civile.

Come psichiatri sappiamo bene che la follia rappresenta da sempre uno spettro inquietante per la società, che viene percepita da gran parte dei cittadini come un’oscura minaccia a cui occorre porre un qualche rimedio. La narrazione della psichiatria ufficiale usa celebrare Philippe Pinel come il liberatore dei folli perché nel 1795 liberò dalle catene i soggetti affetti da malattia mentale e li sottrasse al controllo ed alla rieducazione dell’Hospital General o delle workhouses, dove era rinchiusa una variegata moltitudine di devianti senza alcun criterio di differenziazione o di trattamento. Tuttavia, l’opera di Franco Basaglia negli anni ‘50 e ‘60 ha mostrato con grande chiarezza come nell’Ospedale Psichiatrico medicalizzato le finalità di controllo sociale e segregazione fossero del tutto prevalenti rispetto alle limitate possibilità della cura.

Non possiamo affrontare in questa sede il problema del rapporto tra prassi psichiatrica e controllo sociale nel mondo contemporaneo, ma è del tutto evidente che in occidente la psichiatria svolge da sempre una funzione di controllo dei comportamento. Oggi, di fronte all’emergenza pandemica viene chiesto qualcosa di più, una sorta normalizzazione ideativa: non solo il rispetto delle norme sociali, ma la piena ed incondizionata adesione ai modelli ed ai valori proposti delle istituzioni.

Del resto, anche questa finalità più ambiziosa non è certo una novità per i servizi di salute mentale, basti pensare al ruolo svolto dalle istituzioni psichiatriche della Russia Sovietica nella repressione del dissenso (Van Voren, 2010). Nel contesto sovietico la risposta al dissenso si muoveva storicamente lungo due binari paralleli: quello giuridico e quello sanitario.

Da un lato i dissidenti erano perseguiti secondo il codice penale: l’art. 70 del Codice Penale Sovietico del 1958 prevedeva il reato di “Disordini e propaganda antisovietica”. Ad esso si aggiunse nel 1967 l’art 190-I “Disseminazione di notizie notoriamente false che diffamano il sistema politico e sociale dell’unione sovietica”.

Tuttavia, accanto ad una massiccia repressione poliziesca, il controllo del dissenso si avvaleva di strumenti sanitari. Una proporzione molto rilevante e numericamente più consistente di dissidenti veniva qualificata come portatrice di disturbi mentali e reclusa nelle istituzioni psichiatriche. Sul piano psicopatologico l’opposizione ideologica al regime veniva qualificata come delirio di riforma, su quello diagnostico veniva utilizzata l’etichetta di schizofrenia latente.

Nella società più perfetta del mondo l’opposizione al potere non poteva che essere una follia. In un discorso pubblicato dalla Pravda il 24 maggio del 1950 Khrushchev dichiarava:

Ci possono essere malattie, malattie mentali in certe persone in una società comunista Evidentemente sì. Se è così […] Di coloro che iniziano a propagandare l’opposizione al comunismo su questa base, possiamo dire chiaramente che il loro stato mentale non è normale

Il parallelismo con la severa posizione propugnata da Galimberti mi sembra davvero innegabile. Nella Russia sovietica violenza e segregazione erano strumenti abituali per garantire il consenso. Ora sono di casa anche tra noi, nella società più sana di sempre.

Qualche chiarimento

La propaganda, non meno della pubblicità, sa fare un uso sapiente del linguaggio. La ricerca psicoanalitica richiede perciò una grande precisione terminologica. Prima di proseguire la nostra esplorazione sul ruolo della psicoanalisi nella nostra contemporaneità pandemica è quindi necessario qualche chiarimento.

Il termine Diniego, traduzione letterale dell’inglese Denial, non consente di differenziare due meccanismi di difesa molto diversi: la Negazione ed il Disconoscimento. Per evitare gravi fraintendimenti è perciò necessario fare ricorso alla terminologia tedesca, così come fu usata da Freud nelle sue opere.

La Negazione (cfr. Die Verneinung, Freud, 1925) è un meccanismo di difesa dell’Io. Sottrae un contenuto alla coscienza negandolo esplicitamente. Freud offre il seguente classico esempio: “Sie fragen, wer diese Person im traum sein kann. Die Mutter ist es nicht” (“Voi chiedete chi possa essere questa persona nel sogno. Non è la mamma”, ibidem, p. 11)

La negazione opera dunque sui contenuti dell’inconscio, non sulle informazioni provenienti dalla realtà. Non sembra in alcun modo associabile al dissenso sanitario.

Il concetto di Disconoscimento o Verleugnung fu introdotto da Freud nel 1923 (Die infantile Genitalorganisation) e precisato nel 1927 (Fetischismus). Implica il rifiuto del soggetto di riconoscere una realtà disturbante od il vero significato di una percezione. Ad esempio, in Fetischismus Freud menziona due pazienti che si rifiutano di riconoscere la morte del padre.

Il Disconoscimento è un meccanismo di difesa molto primitivo che nelle sue forme più conclamate può essere osservato nelle psicosi e nelle perversioni. Il meccanismo del disconoscimento si riferisce a realtà fattuali e universalmente condivise, non a convinzioni politico-ideologiche o religiose. Non può dunque essere invocato per spiegare il dissenso dai trattamenti sanitari o più in generale la sfiducia nelle istituzioni pubbliche.

E’ appena il caso di accennare al Negativismo Schizofrenico, curiosamente chiamato in causa sui social dall’eminente collega Antonello Sciacchitano. Il Negativismo Schizofrenico è un sintomo della schizofrenia. Consiste nel rifiuto di eseguire gli ordini dell’esaminatore. E’ quindi un sintomo della volontà e non del pensiero o della cognizione.

Veniamo infine al Negazionismo della Shoah a cui con sorprendente superficialità diversi alfieri della psicoanalisi rieducativa riconducono qualsiasi opposizione ai provvedimenti sanitari. Il Negazionismo della Shoah è un’ideologia propugnata da intellettuali neonazisti. Si propone di negare le dimensioni dello stermino degli ebrei perpetrato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.

Dal punto di vista psicoanalitico si tratta di una strategia interpersonale con importanti componenti sadiche, che mira a ferire gli avversari politici ed ideologici nei loro valori più sacri. Non può esser considerata un meccanismo di difesa.

Come possiamo descrivere in modo realistico i movimenti che si oppongono all’ideologia securitaria? Quale terminologia può apparire appropriata? Il nocciolo dell’opposizione sanitaria è senza dubbio il Dissenso rispetto alla rappresentazione prevalente del fenomeno epidemico e alle soluzioni imposte dai media e dalle istituzioni politiche e sociali. Il Dissenso è l’atteggiamento di chi dissente dall’ideologia dominante di una determinata società.

In ogni epoca storica i cittadini tendono ad aggregarsi attorno a poli opposti: luterani e cattolici, fascisti e antifascisti, patrioti e reazionari clericali, stalinisti e dissidenti democratici, e, oggi, libertari e allineati con l’ideologia sanitaria. Tali polarizzazioni sociali possono essere spiegate in termini psicoanalitici come espressione di meccanismi di scissione e proiezione delle proprie angosce sull’avversario.

Per quanto riguarda in particolare gli oppositori, i dissidenti rispetto alle politiche governative e all’organizzazione sociale prevalente, non si può escludere un’identificazione masochistica. Questo è ben evidente nelle forme più estreme del dissenso: i cristiani che affrontavano il martirio, gli eroi del risorgimento, Solzhenitsyn nel Gulag o Catone che sceglie la morte piuttosto che rinunciare alla libertà.

Nel prossimo paragrafo cercheremo di formulare un modello più articolato che ci aiuti a comprendere la specifica spaccatura che si è creata nella nostra società e la violenza per ora solo verbale con cui si confrontano i due schieramenti.

Virus biologici e virus emotivi

Cosa è successo all’uomo contemporaneo? Come può un’intera società ammalarsi di paura? Può la psicoanalisi contribuire a comprendere i cambiamenti che la pandemia ha determinato nella nostra vita e lo straordinario consenso che l’ideologia del distanziamento sociale ha incontrato in gran parte dell’ecumene?

Gli studi e le esperienze di Wilfred Bion (1961) durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale hanno illuminato in modo straordinariamente originale i comportamenti regressivi nei gruppi. Quando un gruppo attraversa un momento di difficoltà ed impotenza regredisce a modalità di funzionamento primitive in cui lo scambio emotivo e la ricerca della verità sono sostituti da pregiudizi e imperativi categorici. Bion chiama questa configurazione assunto di base. Sotto questo punto di vista l’invasione dello spazio sociale da parte di un irresistibile sentimento di paura può essere associato nella terminologia di Bion all’assunto di base di attacco e fuga, in cui le fantasie inconsce condivise nel gruppo sono annichilite da un generale sentimento di minaccia.

Nelle viscere della società contemporanea si cela dunque un pericolo enigmatico ed inquietante. Cosa terrorizza l’uomo moderno? Perché minacce socialmente altrettanto o forse ancor più gravi, come il terrorismo, l’inquinamento atmosferico od il cancro non hanno un impatto sulla vita emotiva delle collettività minimamente paragonabile a quello di una malattia infettiva? Quale oscura risonanza può evocare un virus respiratorio nell’immaginario occidentale?

Per rispondere a queste domande occorre anzitutto ricordare che il moderno si è costituito attorno ad una ben precisa opzione epistemologica: l’adozione ormai plebiscitaria di un materialismo estremo. Ciò ha inevitabilmente comportato una marcata sottovalutazione delle esperienze emotive e del loro ruolo nelle società umane e nella vita degli individui. In particolare, il dolore connesso con le esperienze di separazione è stato ed è oggetto di una negazione particolarmente accanita.

Ora, il ciclo della vita comporta un inevitabile carico di dolore emotivo. La crescita implica più o meno traumatiche separazioni. L’invecchiamento compromette i ruoli familiari e sociali degli adulti. Anche nella società ipermedicalizzata degli antibiotici, dei vaccini e dei trapianti, la malattia e la morte restano implicite nella condizione umana e lasciano una inevitabile scia di sofferenza nella famiglia e nella comunità.

Proprio attorno a queste esperienze di lutto e separazione la cultura contemporanea ha tentato di costruire un muro impenetrabile, ricorrendo a massicci meccanismi di negazione. Ha isolato e sterilizzato la morte dentro contenitori ospedalieri. Ha nascosto i cadaveri in remoti forni crematori.

Sappiamo tutti quale impatto abbiano avuto queste strutture culturali sulle misure di contenimento del coronavirus. Del resto il distanziamento tra le generazioni, ma anche all’interno della coppia, che caratterizza in modo così evidente la società contemporanea, è iniziato molto prima che i virologi evocassero lo spettro del contagio intrafamiliare.

La progressiva e ormai definitiva affermazione della famiglia nucleare e il diffondersi del modello celibatario permanente riflettono la paura e il disagio nei confronti delle relazioni interpersonali intense, e rappresentano una risposta estrema ai conflitti interpersonali e coniugali.

Eppure non è possibile alcuna interazione umana senza un significativo scambio di emozioni: gioie ma soprattutto dolori. I contatti che avvengono nella coppia e nella famiglia, non trasmettono solo virus, ma anche un inevitabile carico di ansia, dolore, conflitti e paure. Ecco il contagio che atterrisce veramente l’uomo contemporaneo: le emozioni che si generano nell’interazione interpersonale.

Ma da questo contagio non può difenderci nessuna, per quanto accurata, misura di sicurezza, nessuna mascherina chirurgica con o senza valvola. Dalla fatica delle relazioni interpersonali può liberarci definitivamente solo l’autismo più assoluto. O la morte.

Lo psicoanalista e la libertà

La psicoanalisi nasce in aperta contrapposizione al moralismo ipocrita dell’Europa puritana. Freud fu sempre convinto che l’energica opposizione incontrata dalla psicoanalisi nella cultura a lui contemporanea dipendesse proprio dalla libertà con cui aveva saputo esplorare la sessualità umana. Anche oggi la psicoanalisi è la disciplina ed il luogo dove ha voce chi non ha voce, dove l’inconscio acquisisce un insperato diritto di parola. La psicoanalisi è disciplina eversiva.

Al di là delle posizioni di ciascuno nella realtà tragica in cui siamo immersi credo sia fondamentale ricordare sempre che il lavoro psicoanalitico necessita una rigorosa posizione di neutralità rispetto alle vicende sia cliniche che sociali. In Tatbestabdsdiagnostik und Psychoanalyse (1906) Freud spiegò come la psicoanalisi sia una scienza sui generis del mondo interno, cioè dei desideri e delle rappresentazioni che popolano l’inconscio del paziente. La psicoanalisi non ha alcuna competenza rispetto alla verifica della realtà fattuale. Non può dare ragione o torto ad alcuna posizione politica o ideologica.

Freud osservava che la psicoanalisi è mossa dall’amore per la verità (1937, p. 94). Tuttavia la verità psicoanalitica non è mai quella oggettiva, quella con la V maiuscola, è sempre e solo una verità soggettiva, o meglio diadica, che ciascuna coppia analista-paziente costruisce in un faticoso percorso. E per raggiungere questa verità lo psicoanalista è chiamato a non abbandonare mai una posizione di rigorosa neutralità rispetto all’oggetto della propria indagine. Non c’è dubbio: lo psicoanalista non potrà mai mettere le proprie competenze professionali al servizio di alcuna ideologia o modello sociale, per quanto prezioso per la collettività, senza tradire la propria etica professionale.

 

Si parla di:
Categorie
SCRITTO DA
Paolo Azzone
Paolo Azzone

Psichiatra, Psicoterapeuta, Psicoanalista

Tutti gli articoli
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Letture consigliate:
  • Agamben G. (2018) Homo sacer (1995-2015). Edizione integrale. Quodlibet, Macerata.
  • Bion W.R. (1961) Experiences in Groups and Other Papers. Tavistock, Londra. Tr. it. (1971) Esperienze nei gruppi. Armando, Roma.
  • Douglas M. (1966) Purity and Danger: An Analysis of Concepts of Pollution and Taboo. Routledge and Kegan Paul, Abingdon-on-Thames. Tr. it. (1975) Purezza e pericolo. Un'analisi dei concetti di contaminazione e tabù. Il Mulino, Bologna.
  • Foucault M. (1961) Folie et déraison: Histoire de la folie à l'âge classique. Plon, Paris.
  • Freud S. (1906) Tatbestandsdiagnostik und Psychoanalyse. Archiv für Kriminalanthropologie und Kriminalistik, Bd. 26. Also in (1941) Gesammelte Werke, VII. Band. Ed. E. Bibring, W. Hoffer, E. Kris, O. Isakower. Imago Publishing, London, pp. 3-15.
  • Freud S. (1927) Die infantile Genitalorganisation. Internationaler Zeitschrift für Psychoanalyse, Bd. IX. Also in (1940) Gesammelte Werke, XIII. Band. Ed. E. Bibring, W. Hoffer, E. Kris, O. Isakower. Imago Publishing, London, pp. 291-298.
  • Freud S. (1925) De Verneinung. Imago, Bd. XI. Also in (1948) Gesammelte Werke, XIV. Band. Ed. E. Bibring, W. Hoffer, E. Kris, O. Isakower. Imago Publishing, London, pp. 11-15.
  • Freud S. (1927) Fetischismus. Internationaler Zeitschrift für Psychoanalyse, Bd. XIII. Also in (1948) Gesammelte Werke, XIV. Band. Ed. E. Bibring, W. Hoffer, E. Kris, O. Isakower. Imago Publishing, London, pp. 311-317.
  • Freud S. (1937) Die endliche und die unendliche Analyse. Internationaler Zeitschrift für Psychoanalyse, Bd. XXIII. Also in (1950) Gesammelte Werke, XVI. Band. Ed. E. Bibring, W. Hoffer, E. Kris, O. Isakower. Imago Publishing, London, pp. 59-99.
  • Ginzburg C. (2017) Storia notturna: Una decifrazione del sabba. Adelphi Edizioni, Milano.
  • Ratner A. & Ghandi N. (2020) Psychoanalysis in combatting mass non-adherence to medical advice. Lancet, 396(10264), p. 1730.
  • Van Voren R. (2010) Political Abuse of Psychiatry—An Historical Overview. Schizophrenia Bulletin, 36(1): 33–35
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Covid19 come superare l angoscia mettendo in campo posizioni riparative
La cura alla angoscia Covid-19: un percorso possibile?

Come superare questo momento legato al Covid-19? Possiamo trarre delle ipotesi partendo dalla teoria kleiniana e mettere in campo posizioni riparative.

ARTICOLI CORRELATI
Si può vivere senza ansia?

Eliminare l'ansia non è possibile, ma imparare a conviverci sì. Per riuscirci è d'aiuto fare riferimento ad alcune tecniche di psicoterapia

Dipendenza affettiva e ansia da relazione
Ansia da relazione e dipendenza affettiva

Nelle relazioni sentimentali sono diversi i meccanismi disfunzionali che possono instaurarsi, tra questi la dipendenza affettiva e l'ansia da relazione

WordPress Ads
cancel