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La cura alla angoscia Covid-19: un percorso possibile?

Come superare questo momento legato al Covid-19? Possiamo trarre delle ipotesi partendo dalla teoria kleiniana e mettere in campo posizioni riparative.

Di Alessia Zoppi

Pubblicato il 12 Mag. 2020

Massimo Recalcati, in un intervento come sempre stimolante, rivolto al programma Atlantide, spiega bene come sia strutturata dentro ognuno di noi quella che potremmo definire una forma nuova di angoscia, l’angoscia Covid-19.

 

Perché una nuova forma di angoscia? Non tanto per i contenuti che porta (malattia, morte) quanto per la difficile possibilità riparativa, dettata dal difficile movimento oscillatorio tra stati psichici interni. Cerchiamo di capire con parole più semplici.

Recalcati cita un’importante teoria di Melanie Klein, che si rifà al concetto di posizioni psichiche evolutive:

Concettualizzando l’angoscia in relazione al dolore mentale ed ai fenomeni legati alla teorizzazione delle “posizioni”, l’autrice distingue l’angoscia persecutoria dall’angoscia depressiva. Il significato dell’angoscia per il soggetto può essere legato prevalentemente a vissuti di minaccia per l’Io (angoscia persecutoria o paranoide) o a vissuti di perdita e minaccia per l’oggetto d’amore (angosce depressive); queste ultime  sono, in un certo senso, comparabili all’angoscia di separazione di Freud, ma la Klein va oltre introducendo i sentimenti di colpa per gli impulsi distruttivi diretti all’oggetto e il desiderio di riparazione che ne deriva. (Giustino, 2013)

La Klein definisce dunque due posizioni: quella schizoparanoidea e quella depressiva, alle quali fanno riferimento due tipi di angoscia appunto “persecutoria” e “depressiva”. Che cos’è l’angoscia?

L’angoscia si distingue dalla paura (ansia) per il fatto di essere meno specifica o legata ad un oggetto che la genera. Può derivare da un conflitto interiore e non è una paura immediatamente individuabile. E’ un terrore senza nome che deriva dall’immaginazione catastrofica dell’individuo. (Giustino, 2013).

Recalcati dice che oggi siamo tutti in gabbia perché in preda a queste due forme di angoscia. La prima viene rappresentata fondamentalmente dalle paure persecutorie, determinate in questo momento da diversi oggetti del mondo esterno ed interno. Nel mondo esterno la materializzazione di questa persecuzione sta nel carabiniere, prima figura protettiva e che oggi ti multa se vai a passeggio, nella trasmissibilità del virus ad opera di persone a cui siamo legati affettivamente o obbligatoriamente come colleghi o amici, nella contaminazione di oggetti “sani” o essenziali che ci servono per sopravvivere come cibo o beni di consumo; ovvero vi è una identificazione del pericolo al di fuori di noi, in ciò che è noto ed era, prima del Covid-19, affidabile e protettivo. Questo meccanismo, supportato anche da oggettive dimensioni restrittive sancite dai decreti ministeriali, porta il soggetto a sentirsi indifeso di fronte a ciò che prima lo faceva sentire protetto e al sicuro, questo determina un senso di persecuzione.

Ma vi è una seconda forma, più potente, di angoscia persecutoria, quella interna: la dimensione più allarmante di angoscia persecutoria internalizzata è palesata nell’immaginario catastrofico di ammalarsi, di diventare “untore”, portatore di un virus la cui evoluzione risulta confusa. La paranoia di portare il virus nel proprio corpo non consente di proiettare all’esterno l’oggetto persecutorio e terrorizza in modo annichilente l’individuo, il quale verrà anche isolato e allontanato dal gruppo sociale. La reazione diretta a queste angosce persecutorie è il passaggio in una posizione difensiva detta depressiva, materializzata nella chiusura nel mondo domestico (voluta o subita come obbligo morale e legale). L’entrare in questo secondo contesto non riduce l’angoscia, semplicemente cambia il rapporto con l’oggetto angoscioso e alimenta un secondo tipo di angoscia detta depressiva; questa è legata al senso di perdita o rottura dell’oggetto di amore (la vita, gli hobby, gli amici, il lavoro, il corpo) sentiti ora come fonti di rischio. Si può alimentare l’assenza di una visione di futuro e di continuità identitaria.

Quello che non dice Recalcati è che in realtà in Klein il secondo tipo di posizione, quella depressiva, porta in sé anche un passaggio evolutivo.

Il termine «posizione», utilizzato dalla Klein, indica per l’appunto che la conquista dei sentimenti e della consapevolezza depressiva non è stabile ma soggetta a frequenti ritorni alla posizione schizoparanoide, sotto la spinta di angosce non altrimenti tollerabili. Sono proprio le fantasie e le attività riparative che risolvono le angosce della posizione depressiva (Segal 1964), in quanto la riparazione fantasmatica dell’oggetto materno esterno e interno consente all’Io del bambino un’identificazione stabile con l’oggetto buono riparato. (Battaglia, 2017)

Per la Klein l’angoscia depressiva produce un movimento di smacco dall’angoscia stessa, un desiderio di uscita e di riparazione, dunque una evoluzione dell’Io. La riparazione è dunque il nodo di questo processo di cura:

Il concetto di riparazione è, nella teorizzazione kleiniana, un processo che riguarda il mondo interno del soggetto ed è in genere rivolta ad oggetti del mondo esterno, che rappresentano (simboleggiano) l’oggetto danneggiato. Si realizza tramite una azione, reale o in fantasia, che tende a produrre un cambiamento sia nel soggetto  che nell’oggetto. (Battaglia, 2017)

La riparazione nasce dal senso di ambivalenza che è vissuto nella posizione depressiva, in cui da una parte aggrediamo l’oggetto d’amore e lo perdiamo e dall’altra desideriamo recuperarlo per paura di averlo distrutto. Quanti oggi pensano con nostalgia al lavoro, mentre nel momento in cui lo avevano si lamentavano? Quanti oggi pensano con malinconia alle passeggiate, quando magari si affaticavano all’idea di farle prima del Covid? Quanti oggi pensano con desiderio a tornare alle uscite con amici e parenti, quando nel momento in cui potevano non si rendevano conto del loro valore? Sostanzialmente questa situazione sta portando tutti noi a riparare le visioni depressive delle nostre dimensioni esistenziali. E come si ripara la posizione depressiva? Anche qui è molto interessante quello che ci dice Battaglia: identifica due stili di riparazione che possono descrivere anche i modi in cui ci stiamo muovendo per gestire questa forzata quarantena.

  • Stile ossessivo: “consiste nella ripetizione coatta di azioni che mirano, tramite l’annullamento, a placare l’angoscia in modo magico, senza nessun reale elemento di creatività” (Battaglia, 2017). Mi viene in mente a quante modalità stereotipate si stiano mettendo in atto quotidianamente per gestire il surplus di tempo libero che si ha in casa: esercizio fisico, lettura di libri, serie tv, cucinare dolci, pulire etc. Lo stile ossessivo ha una valenza sana solo se integrato ad elementi di creatività, poiché la mera spinta ossessiva è difensiva contro le dimensioni di aggressività costituzionale e di distruttività verso l’oggetto. Sostanzialmente usiamo modalità coatte e ripetute per lenire la rabbia verso il blocco depressivo, ma se mettiamo in queste stesse un margine di creatività esse possono accrescere l’Io e portare ad una reale riparazione dell’oggetto distrutto.
  • Stile maniacale: “ha lo scopo illusorio  di  ripristinare un oggetto integro , “come era prima”, che non porti quindi in sé i segni dell’attacco e della riparazione” (Battaglia, 2017). Questo stile è ancora più pericoloso perché denega la posizione depressiva, sostanzialmente denega il dolore. La posizione maniacale prevede tre rapporti con gli oggetti: dominio, trionfo, disprezzo. “Il dominio è un modo illusorio di negare la dipendenza e contemporaneamente assicurarsela, tramite un controllo onnipotente dell’oggetto; quindi ha anche a che fare con la manipolazione. Il trionfo è un diniego dei sentimenti depressivi ed è anch’esso in relazione all’onnipotenza. Se l’attacco all’oggetto primario era connotato da una forte invidia, il senso di trionfo onnipotente  sperimentato nello sconfiggere l’oggetto allontana, momentaneamente, la nostalgia per la sua mancanza, mentre ne  viene negata l’importanza. Anche il disprezzo nega il valore dell’oggetto che così, impoverito e svalutato, non è degno di suscitare sentimenti di colpa.” (ibidem.) Mi viene in mente, pensando a qualsiasi delle tre relazioni con l’oggetto, a quelle persone che in questi giorni sostengono di stare meglio di prima, o che ironizzano continuamente sulla situazione o che si trincerano in posizioni di negazione totale della gravità della situazione, o che continuano a lavorare come nulla fosse chiedendo ai dipendenti di mantenere la qualità precedente. Queste sono difese contro il dolore, ma sono anche difese che possono essere superate e consentire di accedere alla dimensione depressiva di perdita e dunque di riconoscimento di amore verso l’oggetto perduto.

Dunque come superare questo momento? Possiamo trarre delle ipotesi partendo dalla teoria kleiniana: in primo luogo prendendo consapevolezza del dolore che ci arreca l’aver perso l’oggetto d’amore (metafora delle cose che amiamo) prendendo anche dolorosa coscienza di come spesso siamo stati noi stessi a svilirle e aggredirle prima dell’emergenza Covid. Il fatto che ora ci manchino può consentire di cogliere il loro valore, dunque di accettare la malinconia per la loro assenza e di mettere in campo posizioni riparative.

Veniamo a quelle che sono le posizioni riparative. Il segreto è nella possibilità di usare la creatività. In questo momento l’ambiente non sostiene le dimensioni riparative, non fa holding direbbe Winnicott, e dunque sembra non consentire la riparazione. Possiamo però accedere a forme di creatività personale, anche appoggiandoci parzialmente a dimensioni difensive di tipo ossessivo o maniacale. Possiamo per esempio riparare il rapporto con il nostro corpo, prendendoci più cura di questo e aumentando la consapevolezza di ogni sua singola parte; possiamo riparare il legame che abbiamo con gli oggetti di casa, notando ad esempio un loro disuso, accumulo, o mancanza e cercando di ridare ordine agli stessi; possiamo riparare alla assenza di relazioni fisiche, con forme di relazione a distanza; possiamo consentirci di giocare con le cose, creare, ad esempio coltivare un terrazzo, sperimentarci in cucina o provare ad avvicinarci a una qualche forma di arte; possiamo accedere a una dimensione personale spirituale. Possiamo provare a sperimentarci laddove pensavamo di non avere possibilità riparativa con gli oggetti, dunque sentiti inconsciamente perduti o rotti, ed entrare in rapporto profondo con loro accettandone la caducità. E’ necessario “presentificare” la relazione riparativa: stare nel rapporto che ho oggi con le cose non nega il senso storico del passato o la spinta motivazionale al futuro, ma consente di percepire quel legame riparativo godendone nel momento presente.

In ultimo dobbiamo inevitabilmente fare i conti con la noia. Su questo tema hanno scritto molti psicoanalisti, i quali hanno spesso descritto la faticosa relazione uomo-noia. Correale (2006) sostiene che la noia sia uno stato psichico importante, difficile da vivere e spesso confuso con il vuoto; la noia non è infatti vuoto, che necessita un riempirsi e svuotarsi in modo maniacale allo scopo di evitare e anticipare la frustrazione che l’oggetto porta con sé. Bensì è uno stato che consente di produrre creativamente, è uno stato importante per lo sviluppo psichico, e potremmo dire, in termini kleiniani, ci consente di entrare in contatto con una dimensione depressiva e spinge alla riparazione.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Battaglia, D. (2017) Riparazione. SpiWeb
  • Correale, A. (2006). Area traumatica e campo istituzionale.
  • Giustino, G. (2013) Ansia/Angoscia. SpiWeb.
  • Klein, M.( 1946). Note su alcuni meccanismi schizoidi. In “Scritti 1921 1958”) Bollati Boringhieri Torino 1978.
  • Klein, M.(1928). I primi stadi del conflitto edipico. In “Scritti 1921 1958”) Bollati Boringhieri Torino 1978
  • Klein, M.(1935). Contributo alla psicogenesi degli stati maniacodepressivi. In “Scritti 1921 1958”) Bollati Boringhieri Torino 1978.
  • Recalcati M. (2020). Coronavirus: La Paura e il Coraggio. Atlantide La7.
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