Perdita di una gravidanza e(è) perdita di un figlio
La perdita di una gravidanza, in qualsiasi forma si presenti (aborto spontaneo, indotto, gravidanza extra-uterina o morte in utero), è una possibilità assai comune. Si stima che l’aborto spontaneo si verifichi dal 20% fino al 50% delle gravidanze clinicamente riconosciute, mentre la morte intrauterina avviene negli USA in 1 gravidanza su 160 (San Lazaro Campillo et al., 2017; Huff, 2024). Tuttavia, se il lutto di un figlio è unanimemente riconosciuto come un’esperienza traumatica unica, profonda, che viola le norme socialmente accettate che associano la morte all’età avanzata, recidendo il legame umano più forte – quello tra madre e figlio – la perdita di una gravidanza non riceve lo stesso riconoscimento a livello sociale, clinico e scientifico (Kark et al., 2022; Huff, 2024). Quando si interrompe una gestazione, a differenza di altri lutti, non vi sono funerali, rituali, parenti e amici non si uniscono nel piangere il defunto. Dopo le dimissioni ospedaliere, di solito la donna torna a casa ed entrambi i genitori in lutto sono coinvolti in un’elaborazione spesso solitaria di emozioni che variano tra dolore, vergogna, senso di colpa (per la convinzione di aver causato in qualche modo l’aborto spontaneo o la morte del feto). L’entourage familiare e amicale, al contempo, potrebbe considerare la perdita di una gravidanza meno significativa di altri tipi di perdite, basandosi sulla concezione che minore è il tempo trascorso con il bambino (ancora in fase di sviluppo intrauterino), minore sarà l’intensità dell’attaccamento percepito verso di lui, e quindi più rapida e indolore la risoluzione del lutto (Huff, 2024). Eppure, una gravidanza può essere il risultato di un sogno iniziato diversi anni prima, addirittura da bambini, e confluito in quello che la psicoterapeuta Janet Jaffe ha definito come “storia riproduttiva” (2017). Si tratta di una storia composta da aspettative, convinzioni profonde e rappresentazioni sull’essere genitori, che elaboriamo sin dall’infanzia nel rapporto con i nostri genitori, e che costituiscono parte integrante della nostra identità.
Una perdita gestazionale rappresenta pertanto una perdita di questa storia riproduttiva, nella donna in particolare; come sostiene l’autrice, si tratta di una perdita del futuro più che del passato, in quanto non si posseggono ricordi o foto del bambino scomparso, ma tutto quello che abbiamo su di lui è “nella nostra testa”. Per di più, un filone di studi suggerisce l’esistenza di un legame di attaccamento molto prima della nascita tra madre e bambino (Rubin, 1975; Muller, 1992; Condon & Corkindale, 1997), un legame che sancisce l’appartenenza tra un genitore e un bambino non ancora nato, correlato alle capacità cognitive ed emozionali di concettualizzare un altro come essere umano (Doan & Zimerman, 2003). Il legame d’attaccamento è descritto come un legame emotivo in via di sviluppo, in cui la madre cerca di sapere del bambino, evitare la separazione o la perdita, identificarne e gratificarne i bisogni (Condon & Corkindale, 1997). Nonostante tale prospettiva di ricerca richieda ulteriori approfondimenti, alcune indagini evidenziano una relazione tra il legame d’attaccamento materno-fetale e comportamenti salutari in gravidanza (come astensione da fumo, sostanze e alcol, dieta equilibrata, esercizio fisico, apprendimento di nozioni su gravidanza, parto e puerperio) e tra intensità dell’attaccamento e migliore salute mentale materna pre e post partum, con sintomi più bassi di ansia e depressione (Priel & Besser, 1999; Brandon et al, 2009).
La perdita di una gravidanza può rappresentare un’esperienza traumatica nella vita di una donna, non un incidente di percorso, e gli effetti traumatici da esso derivanti meritano di essere affrontati, piuttosto che evitati. Minimizzare o ignorare gli effetti legati alla perdita di una gestazione e presumere che il dolore si risolva con una successiva gravidanza sana, significa non solo trascurare le potenziali perdite precoci irrisolte che possono essere risvegliate da un aborto spontaneo, ma negare alla donna strumenti e possibilità di accesso a cure per la sua salute mentale (Markin, 2016).
Reazioni alla perdita di una gravidanza
Subire un’interruzione traumatica di gravidanza per aborto spontaneo o morte in utero aumenta il rischio di sintomi di ansia e depressione negli anni successivi all’evento e nelle gravidanze che verranno (Blackmore et al., 2011). Anche dopo la nascita di un bambino “sano”, le donne che hanno vissuto una pregressa perdita gestazionale presentano un rischio più elevato di depressione post partum (Blackmore et al., 2011) e maggiori difficoltà nella gestione dei bisogni del piccolo. Non solo, una ricerca che ha esaminato un gruppo di madri che aveva partorito entro 19 mesi da una perdita gestazionale, ha evidenziato che il 45% dei neonati aveva un attaccamento disorganizzato alle madri (Heller & Zeanah, 1999). I sintomi dell’umore legati alla perdita di una gravidanza hanno dunque implicazioni psicologiche anche per i futuri bambini.
Uno studio prospettico che ha coinvolto più di 1˙900˙000 donne ha evidenziato che coloro che avevano subito uno o più aborti prima del loro primo parto vivo, avevano circa il 35% in più di probabilità di richiedere un trattamento psichiatrico, rispetto alle donne senza una storia di aborto (Reardon & Craver, 2021). Inoltre, un precedente trattamento di salute mentale, in combinazione con un pregresso aborto, rappresentano fattori di rischio per la necessità di un trattamento psichiatrico post partum (Giannandrea et al., 2013).
Elaborare il lutto per la perdita di una gravidanza
La terapia cognitivo comportamentale rappresenta una delle possibilità per affrontare gli aspetti emotivi associati alla perdita di una gravidanza (Wenzel, 2017). Il lutto di una gravidanza porta con sé un significato profondo che sconvolge le credenze di una donna o della coppia, per questo con la psicoterapia è possibile individuare e riformulare pensieri inutili e “dannosi”, come la paura di non diventare mai genitori o la convinzione che la perdita sia il risultato di “qualcosa di sbagliato” che i partner hanno commesso. Praticare l’accettazione e sviluppare un atteggiamento compassionevole verso le proprie emozioni dolorose, può aiutare le persone ad accogliere e – in un certo senso – familiarizzare con la sofferenza che sperimentano rispetto alla perdita. Lo psicoterapeuta può inoltre aiutare a identificare col paziente attività che restituiscano gioia e senso alla vita, in grado di fornire rinforzi positivi e alleviare i sintomi depressivi.
Infine, progettare momenti di auto-rivelazione con le persone più intime, veri e propri rituali di gratitudine e saluto, possono stimolare reazioni sociali positive e costituire esperienze riparative per integrare il vissuto di lutto per un bambino non nato nella storia di vita e riproduttiva della persona.
Lutto perinatale: un evento per parlarne
n occasione della Giornata mondiale della consapevolezza del lutto perinatale, il 15 Ottobre 2025 si terrà un incontro gratuito in live streaming rivolto al pubblico.