Twisties: i demoni della mente
In certi momenti della vita veniamo “totalmente dominati” dalla paura. Il peso di situazioni stressogene ci paralizza, rendendo impossibili l’azione e il ragionamento.
Basta un passo falso per mandare tutto all’aria. Tutto in fumo. Di colpo si ha paura di iniziare e di finire. Ma soprattutto si ha paura di sbagliare, di fallire gli obiettivi per i quali ci siamo impegnati duramente e a lungo. Allora subentra il panico, quell’angoscia incontenibile che spinge a percepirsi fuori da se stessi e dalla realtà. Impotenti e irrimediabilmente fragili. Vulnerabili. In procinto di dissolversi.
Unico canale comunicativo di questo vissuto inesprimibile è il corpo che, nel tentativo di destreggiarsi tra sensazioni tanto destabilizzanti e sconosciute, perde la capacità di collocarsi consapevolmente nella dimensione spaziale – la cosiddetta propriocezione – e ottiene dal Sé feedback falsati, distorti, talvolta allucinatori, che generano pericolose sensazioni di disorientamento psicofisico.
Nella ginnastica artistica simili episodi prendono il nome di twisties: angosce invasive – i cosiddetti “demoni nella mente” – che inducono dubbi e incertezze proprio durante lo svolgimento dell’esercizio, quando il livello di concentrazione dovrebbe essere massimo, a tutela della qualità della prestazione, ma soprattutto della salute del ginnasta.
La conseguenza principale è una sensazione di totale blocco motorio-articolare.
Di colpo ci si sente intrappolati in un diabolico marchingegno che rende ineseguibili esercizi eppure così familiari, ripetuti decine e decine di volte in gara e durante gli allenamenti.
Alla fine l’angoscia prende il sopravvento, rendendo il corpo ostaggio di una fluttuazione pervasiva che debilita la consapevolezza spazio temporale e fa sentire persi nel vuoto.
Nulla di peggiore, in una disciplina ove la capacità di percepire la posizione del proprio corpo nello spazio – la ginnastica artistica parla non a caso di “consapevolezza dell’aria”- risulta fondamentale per orientarsi in volo e atterrare in sicurezza, portando a termine le complicate sequenze di movimento senza incorrere in rovinose cadute.
Cosa succede nel corpo durante i twisties?
Al di là di un coinvolgimento emotivo, la sperimentazione dei twisties sembra ascrivibile ad una serie di condizioni fisiologiche che, in discipline “fisicamente stressanti” come la ginnastica artistica, possono verificarsi di frequente. Tra queste:
- Distonie focali: contrazioni ripetute della muscolatura volontaria a carico di spalle, arti inferiori e superiori, spesso frutto di un’iperstimolazione o di eccessive sollecitazioni motorie (Lim et al, 2015). Questo disturbo rende le posture anomale e disorganizzate, generando uno scarso controllo dei gruppi muscolari coinvolti nei movimenti, che di colpo possono apparire collocati in posizioni diverse rispetto a quelle reali. Ad esempio, a seguito di una distonia cervicale è possibile che la testa venga percepita come “spostata” rispetto all’asse centrale del corpo, restituendo al ginnasta un feedback che compromette la corretta esecuzione dell’esercizio;
- Eccesso di attivazione simpatica: l’angoscia innescata dai twisties si collega a sintomi tipici del sistema attacco-fuga, quali ipervigilanza, battito cardiaco elevato, sudorazione, senso di vertigine diffuso, nausea, sensazioni di vuoto nella testa, e soprattutto una iperproduzione di acido lattico che, causando dolori crampiformi, impedisce una corretta coordinazione muscolare (Gold, J., & Ciorciari, J., 2021);
- Impossibilità di accedere ai modelli acquisiti di movimento: grazie ad un esercizio intenso e continuato, il ginnasta riesce ad assimilare gruppi di movimenti sempre più fini e sofisticati, attraverso i quali esegue esercizi difficilissimi in maniera del tutto inconsapevole. Ciò evidenzia non soltanto un pieno controllo dello strumento scheletrico e muscolare, ma anche un impiego funzionale della memoria procedurale, dove questi modelli di movimento sono stabilmente conservati (Renshaw, I., Davids, K., & Savelsbergh, G. J., 2010). L’automatizzazione operativa è un’esperienza riscontrabile in tutti quei settori nei quali possiamo vantare una certa padronanza. Ce ne accorgiamo nella vita quotidiana: non serve certo un ragionamento consapevole per digitare un numero sulla tastiera di un telefono, per mettersi al volante di una macchina o azionare un frullatore. Sono azioni automatiche. Le compiamo e basta. Ma a causa dei twisties il ginnasta regredisce a livelli di semi incompetenza, mostrando un depauperamento generalizzato della mastery esecutiva. Come se si trovasse alle prime armi, non riesce ad avere accesso a quei modelli di movimento stabilmente assimilati. Terrorizzato dalla possibilità dell’errore, si blocca. Teme di cadere, di farsi male, di perdersi in un vortice di tensione che lo divora dall’interno, impedisce l’automatismo e impedisce la coordinazione sinergica tra mente e corpo.
Cosa succede nella psiche?
Nel tentativo di salvare il salvabile, non è infrequente che il ginnasta intraprenda una serie di tentate soluzioni, talvolta più dannose del disturbo stesso: ad esempio può affidarsi all’uso di sostanze stupefacenti o psicofarmaci, che rischiano di degenerare in condotte di dipendenza; può intraprendere atteggiamenti di minimizzazione del disturbo, nella speranza che passi da solo e nessuno se ne accorga; può rifugiarsi in un evitamento fobico dell’attrezzo e dell’esercizio che, ove non trattato adeguatamente, può comportare la compromissione dell’attività agonistica.
I twisties sono meno infrequenti di quanto si possa immaginare: momenti di intensa richiesta agonistica, associati ad elevati livelli di stress, ansia da prestazione, intolleranza dell’errore e perfezionismo esasperato, possono di colpo invadere la sfera motivazionale ed esecutiva, aprendo il varco a queste pericolose angosce senza nome. Una sorta di elementi beta-termine psicoanalitico con cui Bion (1962) definiva stati d’animo tormentosi e letteralmente incontrollabili, frutto di emozioni primarie, “non digerite né metabolizzate” in quanto non accessibili alla coscienza e per questo non verbalizzabili.
Molti ginnasti hanno dichiarato di esserne stati vittime, lungo il corso della propria carriera. Tra i più recenti citiamo Simone Biles, campionessa di ginnastica artistica -targata USA- pluripremiata e plurimedagliata. Una macchina perfetta, apparentemente condannata a non sbagliare, eppure costretta a ritirarsi durante le Olimpiadi del 2021, a seguito dell’insorgenza di ingestibili “momenti di angoscia” che iniziarono a compromettere le sue prestazioni.
Giravo su me stessa e non avevo più la sensazione di dove fossi. Era orribile, una sensazione di vuoto. Ritrovavo un riferimento solo quando impattavo a terra. Non hai assolutamente alcun controllo sul tuo corpo e su ciò che fa nello spazio. La sensazione più strana è sentirsi pietrificati. È difficile provare a fare un’abilità ma non avere la tua mente e il tuo corpo in sincronia. (Bastoni, 2021)
Quella misteriosa paura di volare l’ha bloccata, lasciandola per la prima volta a terra. Lo stress era arrivato al culmine. E il corpo si è reso veicolo espressivo di un logoramento troppo a lungo inascoltato.
La metafora emotiva: il significato inconscio dei twisties
L’angoscia di non riuscire a raggiungere stabilmente il suolo dopo rischiose fluttuazioni nell’aria, testimonia la perdita di fiducia in sicurezze ormai acquisite; egualmente la paura della caduta può nascondere la metafora di un’insicurezza nelle proprie possibilità di individuo, oltre che di atleta.
Il ginnasta avverte un senso di diffidenza di fronte a tutto ciò che prima lo rassicurava, e che di colpo giudica minaccioso. Non è più sicuro di sé, né di quanto sta facendo. Non è in grado di gestire le proprie risorse psicofisiche perché ne ha perduto la lucida consapevolezza.
È possibile che l’insorgere dei twisties rappresenti l’inconscia difesa da richieste prestazionali eccessive, stimoli stressogeni non controllabili che mandano in tilt l’assertività, l’autocontrollo, talvolta la stessa consapevolezza del Sé.
Stanca di mille richieste, attraverso il corpo la psiche implora uno stop. Un momento di pausa.
Per quanto la volontà del ginnasta risulti quella di eseguire alla perfezione il proprio dovere, è presumibile che inconsciamente si rifiuti di farlo, in risposta ad una stanchezza psicofisica che si tramuta in demotivazione, talvolta persino in inconscia avversione, verso la pratica agonistica.
Per quale motivo?
Di fronte ad una pressione prestazionale eccessiva e mal gestita, lo sport cessa di essere un’attività piacevole e gratificante, per trasformarsi in un’imposizione intransigente che chiede molto più di quanto restituisce. Da qui lo sviluppo di un’intolleranza verso l’allenamento e la rigida disciplina imposta dai ritmi di gara. L’atleta scopre di possedere un Sé individuale al di là di quello agonistico, e intende tornare ad esprimerlo. Quasi volesse dire a se stesso e agli altri di non essere soltanto un ginnasta.
È l’inizio di una crisi, che richiede un momento di riflessione e impegno. Stavolta non per roteare in aria con evoluzioni acrobatiche, ma per tornare con i piedi per terra. Per ritrovare l’equilibrio psicofisico e ristabilire un’integrazione funzionale tra identità agonistica e individuale.
Che fare? Possibili soluzioni nello sport e nella vita
Inutile minimizzare o fare pressioni. In un simile contesto di disagio è necessario sospendere temporaneamente gli allenamenti, per intraprendere un percorso di riabilitazione personale che parta prima di tutto dalla rieducazione del rapporto con il Sé, in una prospettiva multidirezionale:
- sotto un punto di vista somatico, è necessario ripristinare un buon contatto con il Sé corporeo. Per allontanare l’ansia invasiva ed evitare di tramutarla in panico, il ginnasta deve liberare il corpo da ogni contaminazione psichica, praticando esercizi di respirazione e tecniche di rilassamento specifico- ad esempio training autogeno e Yoga -grazie alla quale i muscoli e la struttura tendinea, oltremodo sollecitati dallo sforzo fisico, potranno ripristinare uno stato di tonicità e distensione;
- sotto un punto di vista emotivo, è importante che l’atleta sia in grado di regolare il flusso delle emozioni prima, durante e dopo la gara. Soprattutto dovrà apprendere a gestire il contenuto del pensiero persecutorio generato dai twisties, e a dominarlo adeguatamente affinché non si tramuti in panico. In questo senso, sedute di Mindfulness possono favorire un più consapevole contatto propriocettivo, distogliendo l’attenzione dai triggers stressogeni che impediscono la concentrazione sul “qui e ora”. Molto utili anche le visualizzazioni, esperienze mentali in cui l’atleta, in via prospettica, immagina se stesso che esegue correttamente l’esercizio, e al contempo prende in considerazione soluzioni preventive con cui fronteggiare le difficoltà (Richardson, 1969); sotto questo punto di vista, anticipare senza catastrofismi l’eventualità dell’errore aumenta il senso di autoefficacia, potenzia l’autostima, favorisce la regolazione emotiva e il problem solving (Nolen- Hoeksma, 1998);
- Stop al perfezionismo: non è produttivo fossilizzarsi passivamente su un fallimento, maturando la convinzione che, quanto è avvenuto una volta, si ripeterà all’infinito. In una dimensione psichica assertiva l’errore può e deve diventare una fonte di esperienza formativa, grazie alla quale sarà possibile crescere come atleta e come individuo;
- Fare per il piacere di fare, e non soltanto di vincere: un investimento saturante nella motivazione estrinseca rischia di indebolire le risorse necessarie a sostenere l’impegno agonistico, non sempre “lieve”. Meglio puntare sulla motivazione intrinseca, che porti a riscoprire l’amore per la disciplina sportiva in se stessa. Quello che, in fondo, ha spinto l’atleta ad allenarsi per anni, con impegno, sacrificio e devozione, noncurante di rinunce e sacrifici.
L’amore per lo sport è il solo in grado di rendere lo sforzo accettabile e gratificante. A questo devono unirsi la cura ed il rispetto per il Sé -quello agonistico come quello individuale- espressi attraverso richieste più indulgenti, maggiore autostima, perfezionismo leale ma non persecutorio, grazie ai quali sarà possibile neutralizzare il dominio di quei demoni così temibili, dietro i quali si cela soltanto una disperata richiesta di aiuto.
Solo con i piedi per terra si può tornare a volare.
E anche se si cade, ci si rialza.
Il ginnasta, più di chiunque altro, deve tenerlo a mente.