Separazione: quali conseguenze?
La Commissione Scientifica del CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia) ha acceso “un faro importante sulla necessità di non sottovalutare i casi in cui i figli sono coinvolti in dinamiche conflittuali altamente disfunzionali, invitando attraverso una riflessione in diversi campi disciplinari ad orientarsi verso un’integrazione che possa contrastare la tendenza dei genitori altamente conflittuali a muoversi in una sorta di escalation, talvolta alimentata paradossalmente dall’accumulo di interventi giuridici, giudiziari e sociali” (2019).
Le separazioni sono una realtà sempre più diffusa, che si tratti di matrimoni o di convivenze, l’impatto sui figli e sulla loro salute psico-emotiva resta innegabile. E’ accertato che oltre alla rielaborazione di una realtà nuova da affrontare e ricostruire, la separazione è un evento traumatico di per sé, ma superabile a patto che la ex coppia sappia instaurare una nuova relazione basata su un dialogo comunicativo proficuo, funzionale a trasmettere sicurezza e senso di fiducia nell’immaginario cognitivo del bambino.
Il dolore della separazione, il cambiamento, il percepirsi quasi “a metà” rispetto ai propri coetanei, sempre “in viaggio” tra una casa e l’altra sono dimensioni emotive non trascurabili, poiché potenzialmente ad alto tasso additivo di stress per il bambino, soprattutto nei casi di separazioni altamente conflittuali, in cui il minore si ritrova a percepirsi inadeguato, non degno d’amore e paradossalmente in colpa per la realtà vissuta.
In prospettiva lungimirante, fenomeni di strumentalizzazione, triangolazioni, alterazioni della realtà, costituiscono alti indicatori di rischio per l’emergere di problemi comportamentali e relazionali, quali ad esempio ADHD, disturbi alimentari o del sonno, fino al verificarsi di ansia relazionale, isolamento affettivo, incapacità di esprimere i propri bisogni e bassa autostima in età adolescenziale (Koch & Strecker, 2014). Si tratta di un continuum che si sviluppa lungo una linea evolutiva che necessita di essere costantemente attenzionata e monitorata, al fine di agire con le più idonee strategie preventive.
Un aspetto non marginale, sul quale la coppia genitoriale è chiamata a lavorare, riguarda la risoluzione di conflitti personali che riconducono a un background importante connesso al proprio vissuto passato: possibili ferite legate all’abbandono, al rifiuto o al tradimento emotivo esperite da uno dei due genitori e slatentizzate dal processo di separazione in corso, possono costituire un’ulteriore criticità nella ricerca di un nuovo equilibrio e di una comunicazione serena con l’ex partner. Alcuni esempi di strade da intraprendere in tal senso possono essere un percorso di psicoterapia individuale, e in seconda battuta di rinforzo delle competenze genitoriali.
Rispondere ai bisogni di sicurezza del bambino nei casi di separazione
Tutelare l’interesse del minore, nel caso delle separazioni, significa individuare le condizioni più utili affinché il bambino non trovi ostacoli nel suo percorso di crescita, garantendo la costruzione di una nuova e possibile collaborazione della coppia genitoriale, distinguendo il piano del conflitto dal piano del ruolo in sé, favorendo così un ambiente di sviluppo dal quale il minore attinge, seppur in modi e in tempi diversi, risorse resilienti. Ciò richiede la necessità di tenere in vita nella rappresentazione mentale del bambino un sistema relazionale significativo, dove entrambi i modelli genitoriali coesistono e rispondono via, via, in modo differenziato, ai bisogni propri della specifica fase evolutiva in cui lui si trova.
Gli studi compiuti da J. Bowlby (1983) in merito alla strutturazione del legame di attaccamento nei piccoli neonati con il caregiver di riferimento mostrarono non solo l’importanza della relazione madre-bambino con le rispettive implicazioni nelle future relazioni interpersonali adulte, ma anche quanto in cima alla lista dei bisogni da soddisfare per il raggiungimento di un sano equilibrio psichico vi fossero quelli di sicurezza, cura, amore, accudimento espressi dal bambino alla figura di riferimento fin dai primissimi mesi e anni di vita. Tali bisogni si mostrano ancora più forti rispetto a quelli primari come acqua, cibo e cure igieniche.
Durante l’infanzia, l’attaccamento svolge un ruolo cruciale nello sviluppo emotivo e comportamentale del bambino, influenzando le sue capacità di creare relazioni significative e di regolare le sue emozioni.
I Modelli Operativi Interni
Secondo Bowlby le esperienze ripetute che il bambino vive con le figure di attaccamento risultano intrinsecamente significative poiché in grado di definire una vera e propria mappa nella quale convergono la rappresentazione e la codifica della realtà esterna, l’immagine di se stessi (Sé) e come funzionano le relazioni interpersonali: i cosiddetti MOI, modelli operativi interni.
I modelli operativi interni risultato delle esperienze di attaccamento interiorizzate dal bambino, strutturano lo stile di attaccamento del soggetto divenendo un bagaglio prezioso nella sua vita, in quanto intrisi di ricordi significativi che concorrono a formare aspettative e valutazioni future nell’arco delle relazioni interpersonali, tuttavia tendenti a ripetere la relazione precoce tra il bambino e il genitore.
E’ opportuno sottolineare che tali strutture, pur richiamando i primissimi anni di vita, non rimangono immodificabili, ma possono ridefinirsi grazie a nuove esperienze e stimoli provenienti dall’ambiente e da contesti di vita adulti .
Secondo Bowlby (1973),
nel modello operativo del mondo che ciascuno si costruisce, una caratteristica fondamentale è il concetto di chi siano le figure di attaccamento e di come ci si può aspettare che reagiscano. Analogamente, nel modello operativo del Sé che ciascuno si costruisce, una caratteristica fondamentale è il concetto di quanto si sia accettabili o inaccettabili agli occhi delle figure di attaccamento. Sulla struttura di questi modelli complementari l’individuo basa le sue previsioni di quanto le sue figure di attaccamento potranno essere accessibili e responsive se egli si rivolgerà a loro per aiuto. E (…) dalla struttura di quei modelli dipendono inoltre la sua fiducia che le sue figure di attaccamento siano in genere facilmente disponibili e la sua paura più o meno grande, che non lo siano.
Un bambino, pertanto, desidera sentirsi rispecchiato nella mente dei genitori e da loro legittimato nelle proprie percezioni e nei propri sentimenti.
Uno dei rischi più ricorrenti nelle separazioni altamente conflittuali è la possibilità di innescare processi di strumentalizzazione dei figli: può accadere che uno dei due genitori presenti l’altro come una persona “cattiva”, costringendo il minore quasi a rifiutare contemporaneamente l’altro, in nome di un’alleanza da sancire con uno dei due. Questa richiesta di patto implicito, e relativa triangolazione del minore, risulta fortemente pervasiva in quanto mina non solo il genitore reale, ma anche il modello operativo interno e la bontà della rappresentazione mentale interiorizzata.
E’ fondamentale perciò, nel pieno rispetto del diritto alla bigenitorialità e nell’obiettivo di sviluppare nel minore un equilibrio psico fisico, garantire un rapporto sano con entrambe le figure genitoriali, al fine di attivare e consolidare i modelli operativi interni corrispondenti che guideranno il bambino nella gestione delle sue relazioni future, nella costruzione della propria autostima e autonomia. La relazione con entrambe le figure di attaccamento potrà restituire al piccolo quel senso di sicurezza e amore che, a prescindere dal nuovo assetto dell’ex nucleo familiare, lo accompagnerà nel tempo in modo costante.
I bambini testimoni di violenza: la separazione conflittuale e la violenza assistita
Un discorso a parte merita il fenomeno della violenza assistita, che necessita di altre forme di intervento e protezione che coinvolgano reti interistituzionali capaci di tutelare i diritti dei minori.
La differenza tra alta conflittualità e violenza (fisica, psicologica, economica, sessuale) è sostanziale: se nella prima, entrambe le parti in gioco condividono un livello di “potere” (decisionale e comunicativo) equivalente, nel secondo caso lo squilibrio di potere delinea due posizioni contrapposte l’una a scapito dell’altra, il classico “up and down”.
La cosiddetta violenza assistita, a cui sono esposti i bambini, testimoni (silenti) della violenza intrafamiliare, reca in sé i danni importanti per effetto delle ripetute traumatizzazioni (un esempio, Disturbo da Stress Post Traumatico) su più dimensioni: cognitiva, affettiva, relazionale.
La Convenzione di Istanbul (2011), recita testualmente: “i bambini sono vittime di violenza domestica anche in quanto testimoni di violenze all’interno della famiglia”, essa è la forma di violenza forse ancora più subdola, con meno barriere protettive per la vittima, poiché subita nella parte più profonda della nostra personalità.
J. Herman (1992) nel suo libro “Trauma and Recovery” ha definito il trauma derivante da maltrattamento con un’espressione di forte impatto emotivo, “il dolore degli impotenti”:
Il bambino intrappolato in un ambiente prevaricante, si trova a dover affrontare un compito di adattamento di grave complessità. Dovrà trovare una strada per conservare un senso di fiducia in gente inaffidabile, sicurezza in un ambiente insidioso, controllo in una situazione di assoluta imprevedibilità, senso di potere in una condizione di mancanza di potere.
I figli che vivono per anni all’interno di un contesto di accudimento caratterizzato da rabbia, dinamiche di dominio/sottomissione (Cummings, Davies, 2013), non possono concentrarsi sui propri compiti di sviluppo senza il supporto di risorse nell’ambiente esterno, poiché le proprie energie interne che dovrebbero essere attivate in termini di resilienza sono impegnate a fronteggiare situazioni percepite come pericolo e minaccia costanti.
Emozioni intense come paura, dolore, vergogna, senso di colpa e angoscia vengono evitate con la messa in campo di rigidi meccanismi di difesa.
Esiste inoltre una forte connessione tra vittimizzazione vissuta e/o assistita da piccoli e comportamento violento e il rischio maggiore è quello della riproducibilità dei comportamenti violenti: i figli che assistono alla violenza del padre nei confronti della madre hanno una probabilità maggiore di essere autori di violenza nei confronti delle proprie compagne e le figlie di esserne vittime.
Considerata la complessità del quadro di riferimento bisognerà valutare ai fini della prosecuzione del rapporto con entrambe le figure di riferimento, in special modo con la figura che ha esercitato violenza nel nucleo familiare, un’osservazione monitorata e condotta in uno spazio neutro da professionisti del settore, spazio in cui il bambino possa esprimere se stesso e i propri vissuti, valutando nel modo più oggettivo possibile l’eventuale prosecuzione del rapporto.
Come procedere nei casi di separazione? Indicazioni utili
L’idea di risparmiare sofferenze ai piccoli evitando di dare spiegazioni realistiche e veritiere è in realtà frutto di un pregiudizio sociale molto diffuso. L’esperienza clinica mostra invece che la possibilità di elaborare i traumi, o più in generale le esperienze più sfavorevoli, è strettamente connessa al parlare di ciò che turba i bambini e trovare sostegno e accompagnamento nei propri caregiver.
Può accadere che i bambini cerchino di difendersi dalla sofferenza attraverso il silenzio e l’evitamento: sarà sempre cura dei genitori guidarli con delicatezza e sensibilità nel processo di verbalizzazione delle loro paure e angosce, rassicurandoli che nonostante la realtà sia stata modificata permane un elemento centrale, l’amore verso il piccolo e la sicurezza di una presenza emotiva che non cesserà mai il suo ruolo genitoriale.
E’ necessario supportare il bambino in un processo di ricostruzione e di ri-significazione che garantisca stabilità, sicurezza e comprensione del suo mondo interiore, agendo tempestivamente su possibili sensi di colpa o assunzioni di responsabilità improprie attivate dal minore in risposta all’evento della separazione.
Risignificare il mondo del piccolo e il suo universo emotivo in fieri vuol dire utilizzare una lente di lettura flessibile alle diverse reazioni del bambino in relazione alla separazione, alleggerendolo da ogni paura e ansia che l’adulto può trasferire impropriamente su di lui, offrendogli la possibilità di una lettura diversa (“mamma e papà non si separano per colpa tua”) di un evento che inevitabilmente segnerà la sua esistenza, e che dovrà essere inserito, in modo riparativo, all’interno di un nuovo equilibrio.
Ciò comporta tenere alto il focus sul minore, rispettare i suoi tempi di elaborazione e la sua capacità di adattamento all’evento stressante. Osservare le strategie di coping attivate (silenzio, evitamento, verbalizzazione del dolore, irrequietezza, pianto, rabbia, ricerca ora dell’una, ora dell’altra figura genitoriale) accogliendo i bisogni a esse annessi e contenendone l’onda emotiva; ancorare il sistema di riferimento del bambino ai suoi cambiamenti fisiologici e alla sua capacità di comprensione, evitando di anticipare tempi che richiamano invece le necessità degli adulti o i loro bisogni frustrati, e che nulla hanno a che vedere con l’universo interiore del bambino. Lasciarlo libero di sperimentare un dolore purtroppo ineludibile, accompagnarlo in un viaggio che potrà comunque offrirgli la possibilità di diventare un individuo resiliente, dotato di uno sguardo e di una sensibilità diversa sul mondo e sulle sue future relazioni.