La psicosi
Essere psicotici può significare vivere un episodio che può durare poche ore e poi sparire senza lasciare residui; può significare vivere per anni in uno stato psicologico quasi del tutto normale, salvo per qualche piccola difficoltà nel rapporto interpersonale e nella consapevolezza di sé; può significare, all’opposto, essere a lungo in una condizione di disgregazione della personalità in cui il rapporto con la realtà è ridotto a brandelli di lucidità in un caos di terrori e di esperienze di sogno. Giovanni Jervis, Manuale Critico di Psichiatria, 1975.
Nonostante i progressi terapeutici nell’ultimo mezzo secolo, le sindromi psicotiche continuano ad essere un disturbo debilitante con profonde menomazioni nel funzionamento sociale e personale.
Gran parte del declino si verifica all’inizio del corso della malattia, mentre l’esito complessivo è direttamente correlato con la capacità funzionale prima dell’inizio della psicosi, ed inversamente correlato con la durata della psicosi non trattata (Woods et al., 2010; Boonstra et al., 2012).
La necessità di rispondere tempestivamente ai bisogni di cura, si accompagna infatti alla constatazione che esiste in media un ritardo tra il comparire dei primi sintomi e l’inizio di un trattamento efficace (Johannessen et al 2001) e che non trattare la psicosi per un lasso di tempo superiore a sei mesi rappresenta un fattore prognostico sfavorevole per esiti a lungo termine, tra i quali:
- sintomi totali;
- funzionamento generale;
- sintomi positivi;
- qualità della vita (Marshall et al. 2005)
- risposta più scarsa al trattamento antipsicotico (Perkins et al. 2005).
È pertanto necessario intervenire all’inizio dello sviluppo della psicosi, nella fase “prodromica” (e.g., McGlashan e Johannessen 1996) con l’identificazione e la presa in carico globale, individualizzata e tempestiva.
È noto sin dall’inizio della formulazione di Kraeplin della dementia praecox, ed in modo più preciso la riformulazione di Bleuer della dementia praecox in schizofrenia, che lo stato di psicosi è preceduto da un periodo più o meno lungo di compromissione socio-funzionale associato a manifestazioni psicopatologiche aspecifiche tra le quali risaltano sintomi di (Sullivan 1927):
- natura affettiva (eccessiva sensibilità interpersonale, aversione emotiva)
- sintomi positivi (pensiero magico, anomalie delle percezioni)
- sintomi negativi (ipo-edonia, tendenza alla procrastinazione apatica, ritiro sociale pseudo autistico)
La disabilità sociale e la manifestazione di sintomi negativi compaiono già 5-6 anni prima dell’esordio psicotico (Hafner et al. 2004), mentre solo successivamente comparirebbero i primi sintomi positivi sotto-soglia.
Psychosis Continuum
Io sono uno che sceglie la solitudine.
E che come artista si fa carico di interpretare il disagio,
rendendolo qualcosa di utile e di bello,
è il mio mestiere.
(Fabrizio de Andrè)
Nel corso dell’ultimo ventennio, il modello tradizionale della malattia psicotica ha ricevuto una revisione teorica sulla onde del filone di ricerca di stampo nordeuropeo basato sui cosiddetti “population based studies”, che avrebbe evidenziato come temporanee psychotic-like experiences possano essere relativamente comuni anche nella popolazione generale (van Os e Linscott 2012 e van Os et al. 2009).
Il modello di malattia dicotomico dei disturbi psicotici è stato quindi sostituito da una concettualizzazione che vede nella psicosi un fenotipo esteso, lungo un continuum compreso tra manifestazioni cliniche e non cliniche/sub-cliniche, dove ad una estremità si collocano i disturbi psicotici, mentre nelle gradazioni intermedie si possono inserire i disturbi mentali non psicotici caratterizzati nel loro decorso da esperienze simil-psicotiche o sintomi psicotici, ed all’estremo opposto di gravità esperienze simil psicotiche osservabili in persone sane che non richiedono assistenza, o durante la manifestazione di altri disturbi di natura psichiatrica.
Il moderno approccio allo studio del continuum della psicosi deriva da due modelli che differiscono in particolare nelle loro previsioni sulla frequenza di sintomi subclinici nella popolazione generale:
- Il modello quasi-dimensionale, che deriva principalmente dal lavoro di Meehl che suggerì che uno “schizogene autosomico dominante” produceva un’aberrazione a livello delle sinapsi neurali e producendo un difetto neuro integrativo, processi definiti nel complesso come “schizotassia”. La schizotassia dava origine alla schizotipia, “una personalità che mostra ambivalenza, deriva avversiva, dereismo, autismo e slittamento cognitivo” condizione necessaria, ma non sufficiente, e precursore alll’emergere della sintomatologia psicotica. Meehl riteneva che solo ~ 10% della popolazione portasse lo “schizogene”.
- Il modello completamente dimensionale, di Claridge, presuppone invece i sintomi psicotici esistano lungo un continuum attraverso l’intera popolazione. Secondo Claridge, i sintomi della psicosi possono essere adattivi o dannosi a seconda della variazione simultanea lungo qualche altra caratteristica dimensionale, ovvero l’intelligenza. Gli individui altamente creativi hanno mostrato molti sintomi caratteristici della schizofrenia (cioè, isolamento, instabilità emotiva, eccentricità, ecc.); tuttavia, anche se un individuo sano molto creativo potrebbe essere predisposto alla psicosi, “non diventa clinicamente psicotico perché l’intelligenza conferisce una certa immunità sotto forma di un’adeguata personalità intellettuale e di riserve” (Mohr C. and Claridge G., 2015).
La schizotipia
Ho vissuto tante disgrazie nella mia vita.
La maggior parte di queste non è mai accaduta.
(Thomas Mann)
Il concetto di schizotipia deriva dalle osservazioni di Kraepelin e Bleuler, che percepivano la schizofrenia come un disturbo dello sviluppo e descrivevano forme latenti della malattia nei parenti di pazienti schizofrenici.
Successivamente sviluppato da Rado e Meehl, tale costrutto riflette un’espressione fenotipica di vulnerabilità alla schizofrenia, che comporta anomalie sottili ma clinicamente rilevanti nei pensieri, nelle emozioni, nella percezione e nel funzionamento interpersonale.
Il termine è stato coniato da Rado (da schizofrenic phenotype, fenotipo schizofrenico) ed è importante perché, oltre a costituire uno dei criteri di definizione dei soggetti a rischio di psicosi, è fondamentalmente emblematico rispetto il modello diatesi-stress per l’insorgenza dei sintomi psicotici.
Rappresenta una condizione ereditaria, nella cui eziopatogenesi rientrano fattori sia genetici che ambientali (ad esempio, traumi psicologici), e può anche essere concettualizzata come parte di un personalità normale, che può tuttavia costituire un background per lo sviluppo della malattia psicotica.
All’interno della organizzazione schizotipica vi è una “carenza di piacere integrativo, che implica una capacità difettosa di provare gioia, avversione interpersonale e appiattimento affettivo, spesso associata a marcata ansia sociale o ipersensibilità al rifiuto. Una disorganizzazione graduale o stabile che alla fine esita in un esteso disturbo propriocettivo, consapevolezza distorta del sé corporeo e degradazione del pensiero che può regredire ad uno stile di pensiero magico infantile o disorganizzazione progressiva con comparsa di allucinazioni e deliri”. (Tarbox e Pogue-Geile 2011).
Descritta come un costrutto multidimensionale, comprende 3 fattori
- sintomi positivi: cognitivo-percettivo, “strane credenze”, “disturbi percettivi”, “idee di riferimento” e “paranoia / sospettosità”);
- sintomi negativi: interpersonale, “nessun amico intimo”, “ansia sociale”, +/- “affetto limitato”;
- disorganizzazione cognitiva e comportamentale: “discorso / pensiero strano”, “comportamento strano”, “comportamento strano”, “affetto limitato”.
Il concetto di rischio
Il concetto di stato mentale a rischio di psicosi è poi associato ad un modello multifattoriale di tale disturbo, che integra una predisposizione biologica e genetica a fattori ambientali per lo sviluppo dei sintomi.
Secondo questo modello diatesi-stress, più in un soggetto è presente una suscettibilità innata minore è il livello di stress esterno per portare il soggetto alla soglia di espressione dei sintomi psicotici.
Gli stati mentali a rischio rappresentano un versante della ricerca sul rischio di psicosi importante ai fini della prevenzione perché consente di identificare:
- fattori di rischio statici, scarsamente suscettibili di modifica derivati dall’osservazione di studi di tipo trasversale:
- polimorfismi genetici,
- meccanismi di modifica post-traslazionale o epigenetica,
- eventi traumatici precoci o tardivi,
- fattori socio-demografici.
- fattori ‘’dinamici’’, da studi prospettici, maggiormente suscettibili di intervento quali:
- impatto dello stigma sociale,
- uso e abuso di sostanze psicotrope,
- influenza dei complessi processi di acculturazione che seguono,
- immigrazione in un nuovo paese o stili cognitivo relazionali della persona e del micro ambiente.
- fattori di resilienza, che possono consentire lo sviluppo di strategie di intervento.
I fattori statici con base genetica sono concepiti come una vulnerabilità che può tradursi in danno solo in presenza di fattori aggiuntivi che agiscono come moltiplicatori e mediatori del rischio.
I criteri Ultra High Risk
La ricerca nell’ambito dell’intervento precoce nei disturbi psicotici sviluppatosi a partire dagli anni Novanta dello scorso secolo, ha cercato di identificare modelli longitudinali prospettici formulando profili globalmente definiti come stato mentale ad alto rischio o stati clinici ad alto rischio (ultra high risk state; clinical high risk state).
Il gruppo australiano operante presso la PACE Clinic fu il primo ad elaborare i cosiddetti criteri UHR (Ultra High Risk) per soggetti help seeking di età compresa tra i 15 e i 25 anni, in grado di differenziare tre sottogruppi:
- Il Genetic Group (GRD): caratterizzato da soggetti con familiarità di primo grado per un disturbo dello spettro psicotico o presenza di un disturbo schizotipico di personalità, associati ad un recente declino nel funzionamento globale osservabile nel corso dell’ultimo anno.
- Soggetti con attenuated psychotic symptoms (APS), che manifestano sintomatologia positiva pur non raggiungendo i livelli di severità necessari a porre diagnosi per un primo episodio psicotico. Il quadro clinico si caratterizza per idee di riferimento, credenze bizzarre o pensiero magico, idee di grandiosità, ideazione a contenuto paranoide ed insolite esperienze percettive.
- Soggetti con Brief Limited Intermittent Psychotic Symptoms (BLIPs) che manifestano una sintomatologia psicotica di breve durata ed intermittente nel tempo, che tende ad andare in remissione spontanea entro una settimana, pertanto di durata inferiore rispetto i criteri necessari per un episodio psicotico breve. Il quadro clinico include la presenza di allucinazioni, convinzioni delirante e disturbi del pensiero formale di durata breve ed intermittente.
I sintomi di base
An atmospheric change, envelopes everything with a subtle, pervasive, and strangely uncertain light.
(K. Jaspers)
Un approccio teorico all’identificazione precoce, alternativo a quello del modello UHR, è basato sui sintomi di base, esperienze soggettive caratterizzate da deficit di funzioni elementari cognitive e sensopercettive, presenti nei pazienti nella fase antecedente al primo episodio psicotico, ed evidenti anche nei periodi intercritici della patologia.
Nella fase di manifestazione di tale sintomatologia, l’attività cognitiva perde spontaneità, così come il senso di appartenenza ai propri pensieri.
Tale modello è stato sviluppato dal gruppo di Bonn diretto da Gerd Huber ed offre una interpretazione esperienziale al vissuto di vulnerabilità psicotica (Huber et al., 1989).
Si tratta di disturbi del flusso di coscienza, ridotta tolleranza allo stress, difficoltà ad organizzare il pensiero, deficit attentivi e disturbi della percezione.
Sono generalmente sintomi soggettivi, raramente osservabili dagli altri, sebbene le strategie di coping adottate dal paziente come condotte di evitamento e ritiro sociale siano clinicamente riconoscibili.
I sintomi di base si manifesterebbero attraverso 3 livelli evolutivi
- i sintomi di base non caratteristici, che influenzano la pulsione, la volizione, l’affetto, la concentrazione e la memoria.
- i sintomi di base caratteristici, qualitativamente peculiari sotto il profilo cognitivo percettivo e motorio.
- i sintomi psicotici di per sé.
In alcuni casi nel livello 1 e 2 possono andare incontro a remissione prima di divenire sintomi psicotici, e queste fasi sintomatiche senza conversione in franco episodio psicotico sono chiamate sindromi da avamposto “out post syndrome”.
L’emergere del livello 2 e la conversione in sintomi di tipo 3 può essere favorita da sovraccarico di informazioni da elaborare in una persona vulnerabile, mentre in condizioni ambientali ed individuali favorevoli, come rete di supporto, abilità sociali e di problem solving, possono essere gestiti (Bang, Minji, et al. 2019).
Sarebbe la reazione del soggetto ai sintomi di base a costruire, progressivamente, le manifestazioni cardinali della psicosi schizofrenica indicate da K. Schneider come sintomi di primo rango (Schneider, 1937).
Si riconoscono i seguenti sintomi di base più caratteristici:
- Interferenza di pensieri emotivamente neutri: esperienza soggettiva legata alla presenza di pensieri intrusivi, infiltranti, che appaiono al giovane come privi di senso ed ostacolano la concentrazione o i processi di pensiero
- Perseverazione di contenuti di coscienza emotivamente neutri: ripetizione ossessiva di pensieri insignificanti o immagini mentali (“devo sempre rimuginare su ciò che ho appena detto. Non posso smettere di pensare a quello che potrei aver detto di sbagliato o che avrei potuto aggiungere, anche se non penso davvero che ci fosse qualcosa di sbagliato”)
- Affollamento dei pensieri, fuga del pensiero: un “caos” riferito di pensieri non correlati tra loro (“se sono stressato, la mia mente diventa caotica e ho forti difficoltà a pensare in modo continuo. Troppi pensieri si presentano in poco tempo”)
- Blocco del flusso del pensiero: un’improvvisa perdita del filo o del treno dei pensieri (“a volte i miei pensieri si fermano, sono improvvisamente spariti come se fossero tagliati”)
- Disturbo del linguaggio ricettivo: paralisi nella comprensione immediata di parole/frasi semplici, lette o ascoltate, che possono risultare nell’abbandono della lettura o nell’evitare conversazioni
- Disturbo del linguaggio espressivo: problemi nel produrre parole appropriate, a volte esperienza soggettiva di perdita del vocabolario attivo (“a volte mi sento come se l’italiano fosse la mia seconda lingua, come non lo conoscessi molto bene”)
- Disturbi del pensiero astratto: un sintomo di base insolito quando si chiede al paziente di spiegare detti o idiomi, difficoltà a concepire metafore
- Difficoltà di attenzione distribuita: difficoltà nel dividere l’attenzione tra compiti non impartiti simultaneamente che attingono principalmente a un senso diverso e che di solito non richiedono un passaggio di attenzione
- Ridotta capacità di discriminare tra immaginazione e percezioni, ricordi e fantasie: “ho pensato ai miei nonni, poi è successa una cosa strana: non ricordavo se conoscevo bene i miei nonni, se erano reali o se erano solo nella mia immaginazione. Li conoscevo o li avevo inventati?”
- Derealizzazione: diminuzione della connessione emotiva con l’ambiente
- Alterazione o disturbo della percezione visiva o acustica con insight perservato: a differenza delle allucinazioni o delle distorsioni percettive, le esperienze percettive dei sintomi di base non sono considerate reali ma sono riconosciute come un problema sensoriale o soggettivo
- Idee di riferimento
Le idee di riferimento e la salienza aberrante
Piera sembra sicura ma sicura non é
Piera ha paura ma la tiene per sé
e sta cercando un mondo che non ha.
(Il mondo di Piera, Prozac)
Le idee di riferimento (IR) sono un tipo di elaborazione autoreferenziale definita come auto-attribuzioni su ciò che accade nell’ambiente sociale. Sono considerati una delle esperienze psicotiche subcliniche raggruppate sotto l’ombrello concettuale della schizotipia, relativamente frequenti anche nella popolazione generale e caratterizzate da un continuum di gravità fino all’intensità delirante.
Le idee di riferimento sono state considerate nelle proposte di valutazione clinica ad alto rischio un sintomo di base (Schultze-Lutter et al., 2010), un sintomo psicotico attenuato (Yung et al., 2005) ed alterazioni nell’esperienza di sé (Parnas et al., 2005), su un continuum che porta all’attività delirante, come idee deliranti di riferimento (Wong et al., 2012) e idee deliranti di persecuzione.
Secondo van Os (2009), la salienza aberrante o anomala (AS) è stata proposta come indicatore caratteristico dell’insorgenza di disturbi psicotici, in particolare della schizofrenia ed alla base dell’insorgenza delle idee di riferimento.
Kapur (2003), ha suggerito che la salienza anomala consista in un cambiamento motivazionale e attenzionale o alterazione verso stimoli dal setting, in modo tale che gli stimoli neutri e irrilevanti diventino anormalmente salienti. La salienza anomala sarebbe quindi l’alterazione del naturale processo motivazionale verso la novità/ricompensa attribuita tradizionalmente alla disregolazione dopaminergica.
L’ipotesi della “salienza aberrante” propone che la disregolazione della dopamina striatale causi un’errata attribuzione della salienza a stimoli irrilevanti che contribuiscono all’insorgenza di psicosi.
Sotto una spinta ippocampale anormalmente elevata dell’attività della popolazione di neuroni dopaminergici, il sistema dopaminergico sarebbe reso iper-reattivo, e sotto un tale stato, tutti gli stimoli, siano essi minacciosi, gratificanti o benigni, causerebbero un massima attivazione fasica del sistema dopaminergico (Katzel et al, 2010) e sarebbero trattati come richiedenti la massima attenzione e reazione.
Da questa prospettiva potremmo chiederci se la presenza di idee di riferimento, come processo cognitivo sociale, possa essere correlata al successivo aumento dell’ambiguità contestuale, della perplessità, dei cambiamenti ancora incerti nei significati, che identificano la salienza aberrante, e sono stati classicamente chiamati stadio trema (Conrad, 1958).
Pertanto, la salienza aberrante può essere una condizione che media la comparsa della prima idea di riferimento e il successivo significato anormale lo stadio apofenia (Conrad, 1958), che porta alla cristallizzazione del delirio (Stanghellini et al., 2020).
I sintomi negativi
L’autoreclusione rigorosa è preceduta da un progressivo processo di rifiuto delle proposte provenienti dagli altri, fino al completo isolamento come forma di allontanamento, da tutto ciò che provoca ansia e dolore.
(Matteo Lancini, Il ritiro sociale negli adolescenti)
La sintomatologia negativa, sebbene rientri nei criteri definitivi della schizofrenia del DSM 5, non viene considerata per la valutazione dei pazienti a rischio pur essendo spesso prima motivazione della richiesta di aiuto, manifestandosi 4-6 anni prima del primo esordio e 2 anni prima dei sintomi positivi (Corcoran et al. 2011). Ha una prevalenza dell’80% nei soggetti UHR.
Viene definita come una riduzione delle normali funzioni legate:
- alla motivazione (avolizione, anedonia e asocialità)
- alle funzioni espressive (ad esempio affetto appiattito e alogia)
La gravità dei sintomi negativi è associata a diversi esiti negativi quali più scarso funzionamento sociale ed anedonia sociale ed una maggiore compromissione neurocognitiva (Piskulic et al. 2012).
Sintomi negativi o sintomi depressivi?
Esiste una correlazione tra sintomi depressivi, spesso in comorbidità, e sintomi negativi, e nella valutazione dei pazienti in uno stato prodromico rappresenta una sfida porre diagnosi differenziale tra sintomi propriamente depressivi e sintomi invece negativi, indicativi di un forte disagio esperito.
Utili caratteristiche nel porre una diagnosi differenziale sono le seguenti (de Pablo et al., 2023):
- la depressione: tende ad essere episodica e rappresenta un’alterazione del funzionamento per un periodo di tempo; sono indicatori più specifici per la depressione l’umore depresso, la disperazione ed il suicidio.
- i sintomi negativi: tendono ad essere simili a tratti e duraturi; alogia, ottundimento affettivo e ritiro sociale sono più caratteristici.
Azar e collaboratori (Azar et al. 2018) hanno poi sottolineato la necessità di una distinzione dei sintomi negativi primari, in assenza di sintomi depressivi in comorbidità e maggiormente stabili nel tempo, da quelli invece secondari associati a depressione, ansia, o sindrome amotivazionale associata all’uso di terapia antipsicotica, essendo tra loro differenti in termini prognostici e differentemente responsivi alla terapia.
Trattamenti supportivi, psicoterapici, interventi sociali ed alcune nuove prospettive terapeutiche possono essere importanti spunti di trattamento, pur non avendo ancora identificato una linea guida comune di trattamento e pienamente efficace.
Funzionamento sociale
Il funzionamento psicosociale è compromesso nelle prime fasi del disturbo ed è difficile da invertire dopo l’insorgenza del disturbo psicotico.
Spesso associato ad anedonia sociale, ridotta capacità di provare piacere dall’attività sociale, considerata una caratteristica fondamentale nei pazienti schizofrenici e nei loro familiari e marcatore di vulnerabilità.
L’anedonia sociale è stata associata a (Pelizza et al., 2020):
- risultati funzionali complessivamente più poveri,
- tassi più elevati di disoccupazione,
- minori successi educativi rispetto ai controlli,
- costi economici significativi per gli individui, le loro famiglie e la società.
Importante un aumento di sei volte dell’ospedalizzazione psichiatrica e un aumento di due volte del trattamento ambulatoriale di salute mentale (Masillo et al. 2016)
La maggiore sensibilità agli stimoli ambientali e allo stress unitamente alla presenza di importanti sintomi negativi nei pazienti a rischio di psicosi, sono potenti fattori di suscettibilità al mantenimento del ritiro sociale e sono fattori co dipendenti tra loro.
È un fattore comune nella fase prodromica, e numerosi studi hanno dimostrato essere un comportamento tipico delle minoranze etniche, dove lo stigma gioca un ruolo fondamentale.
La presa in carico di giovani con ritiro e disagio sociale è complessa e prevede un approccio integrato e multi componenziale. È una problematica molto complessa, da tenere in considerazione nel trattamento dei giovani a rischio di sviluppare le psicosi o altre patologie mentali gravi.
Il trattamento
Le linee guida sono concordi nell’indicare strategie possibili con una enfasi crescente sulla presa in carico globale, individualizzata e continua.
Le linee guida NICE 2013, ed EPA 2015 raccomandano un intervento comprensivo:
- Interventi psicoterapeutici evidence based sono la prima linea di trattamento, come la CBT individuale. Si è dimostrato lo strumento più potente di protezione, cambiamento e prevenzione, in sinergia con gli interventi di integrazione sociale e quelli rivolti all’ambiente di riferimento (Addington, 2012). L’intervento utilizzato dal gruppo di van der Gaag e collaboratori in un recente studio si è basato sull’applicazione del protocollo di French e Morrison, arricchito con:
- psicoeducazione sulla disregolazione dopaminergica, al fine di illustrare come questa influenzi la percezione (salienza aberrante per stimoli neutri) e il pensiero (maggiori intrusioni, forti pregiudizi nella raccolta dei dati..);
- esercizi per sperimentare i bias cognitivi incrementando sia la consapevolezza che la capacità di sviluppo di valutazioni secondarie corrette.
Lo studio ha dimostrato che un intervento CBT che prenda in considerazioni tali vulnerabilità, può ridurre del 50% il numero di transizione a psicosi nei soggetti a rischio, e limitare il disagio esperito da sintomi depressivi ed ansiosi in comorbidità (van der Gaag et al. 2012).
- Intervento familiare, il cui razionale prevede:
- l’educazione alla gestione dei quadri problematici;
- la prevenzione di risposte disadattive da parte dei familiari (HEE Alta Emotività Espressa);
- l’aumento di fattori di protezione dallo stress per il paziente;
- l’individuazione di fattori che potrebbero incidere sul decorso del disturbo.
Fondamentali sono l’educazione alla gestione della crisi dei giovani pazienti, la psicoeducazione sul disturbo e la facilitazione del processo di recovery, il mantenimento e consolidamento del benessere o il fronteggiamento dell’eventuale transizione alla psicosi.
- Un assessment ed intervento multicomponenziale con sostegno al ruolo sociale. E’ fondamentale valutare il funzionamento pre-morboso e alcuni bisogni specifici con questionari indicati (GAF, SOFAS e WHO/DAS-II). Una attenzione particolare deve essere posta a migranti e figli di migranti, devianza e antisocialità, dipendenza con o senza sostanza, con la necessità di lavoro con equipe di etnopsichiatria, consultori e servizi sociali, forze dell’ordine. Risulta cruciale fornire un sostegno al ruolo lavorativo e scolastico, un aiuto nel collocamento lavorativo, ed un programma rivolto allo svolgimento di attività di svago e di social skills training.
- Riguardo gli interventi psicofarmacologici le risposte non sono univoche, ma vanno valutate caso per caso; il razionale nell’impiego di una terapia psicofarmacologica deve essere individualizzato e deve prendere in considerazione la possibilità di ridurre la transizione verso un esordio psicotico, il trattamento dei sintomi prodromici stessi e le frequenti comorbilità associate. Sono stati studiati soprattutto antipsicotici di seconda generazione (risperidone, olanzapina), ma anche aloperidolo, amisulpride, che si sono visti complessivamente ritardare ma non prevenire l’esordio psicotico ed il cui impiego, stante i potenziali effetti collaterali, sarebbe da riservare a casi specifici e a manifestanti una sintomatologia più grave. Versanti nuovi e potenzialmente promettenti riguardano l’impiego di una integrazione con miscele di omega-3, con nota azione nella plasticità sinaptica, capacità antiossidante, antiapoptotica ed antinfiammatoria unitamente ad un basso costo e basso profilo in termini di effetti collaterali; glicina e d-serina, rappresentano un versante interessante, avendo dimostrato un ruolo nella riduzione di sintomi positivi, negativi, e nel migliorare la funzionalità cognitiva dei pazienti UHR.
I sintomi psicotici sono un versante fondamentale dal punto di vista della patologia psicologica e psichiatrica, poiché rappresentano un disturbo fortemente debilitante per la persona nel suo ruolo sociale e di individuo. Manifestazioni simil-psicotiche possono manifestarsi nella popolazione generale, soprattutto in soggetti con familiarità positiva per patologie di questo spettro, ed assumono differenti connotazioni lungo un esteso fenotipo alla cui più grave estremità risiede il versante dei disturbi di natura psicopatologica necessari di intervento clinico. Definire gli stati mentali a rischio è fondamentale ai fini della prevenzione del disagio giovanile e degli outcomes a breve e lungo termine dei disturbi psicotici, fornendo un modello di intervento precoce e di presa in carico globale.
È necessario in tal senso fornire un assessment rigoroso e puntuale, garantendo un intervento globale ed una presa in carico tempestiva dei giovani in un tale delicato stato psicopatologico, che tenga conto non soltanto della presentazione di sintomi positivi, ma anche del disagio esperito correlato alla sfera cognitiva, ai sintomi negativi, ed allo scarso funzionamento sociale manifestato.