I mezzi di contenzione fisica sono dispositivi che limitano la libertà dei movimenti volontari della persona e che possono essere più o meno invasivi a seconda del grado di costrizione provocato.
In nessun ospedale dove i malati sono legati credo che nessuna terapia, di nessun tipo, possa dare giovamento (F. Basaglia, 1968)
Il rispetto dell’autonomia e della dignità della persona è alla base di una buona relazione terapeutica ed è condizione necessaria per ottenere l’efficacia di un trattamento. Nonostante ciò, l’utilizzo dei mezzi di contenzione è ancora molto diffuso e tale pratica, spesso aggravata dallo stato di fragilità della persona a cui viene applicata, affonda le radici in una cultura assistenziale poco attenta agli aspetti appena citati.
La contenzione fisica
La contenzione è un atto sanitario-assistenziale di natura eccezionale, da prendere in considerazione solo quando tutte le altre misure alternative si sono dimostrate inefficaci (Cester & Gumirato, 1997). L’utilizzo di tale pratica è un tema molto dibattuto, sia dal punto di vista etico che normativo, per la scarsa efficacia clinica dimostrata e per le implicazioni derivanti dalla limitazione della libertà dell’individuo.
I mezzi di contenzione fisica sono, infatti, dispositivi che limitano la libertà dei movimenti volontari della persona e che possono essere più o meno invasivi a seconda del grado di costrizione provocato. Essi, in base alla situazione, possono essere applicati al corpo, a una parte di esso o allo spazio circostante. Esempi di contenzione fisica sono le sponde a letto, il tavolino avvolgente la carrozzina, i divaricatori, le cinture addominali, pelviche e pettorali, il lenzuolo contenitivo, i bracciali e le manopole (Zanetti & Costantini, 2001).
Relativamente al paziente anziano, l’utilizzo dei dispositivi di contenzione viene spesso giustificato dalla presenza di agitazione psico-motoria, di comportamenti aggressivi auto e/o etero lesionistici e dal rischio di caduta (Evans et al., 2002).
Il Comitato Nazionale di Bioetica (CNB, 2015) sottolinea però che per applicare forme di contenzione fisica non è sufficiente la presenza di uno stato di agitazione, ma deve presentarsi un pericolo grave e attuale per il malato o per terzi. Una volta scongiurato, la contenzione deve cessare poiché non più giustificata.
La prescrizione della contenzione è di competenza medica e va riportata in cartella clinica, specificando il tempo di applicazione, le modalità, il motivo e il monitoraggio. Inoltre, la sua applicazione deve essere preceduta da un valido consenso informato da parte della persona assistita o da chi ne ha la tutela giuridica (Casale, 2001).
Tale decisione dovrebbe essere il risultato di una valutazione multidimensionale dello stato psico-fisico della persona, effettuata dall’équipe multidisciplinare, la quale dovrebbe prendere prioritariamente in considerazione le misure alternative possibili o, nel caso in cui esse si dimostrino fallimentari, elaborare un piano d’intervento individualizzato. Quando la contenzione diviene l’unica soluzione possibile, devono essere tenuti in considerazione i principi dello stato di necessità e della proporzionalità (Kramer, 1994; Reuben et al., 1995).
Aspetti normativi
L’utilizzo non giustificato dei mezzi di contenzione espone i responsabili a ipotesi di reato, in quanto una condotta di questo tipo rappresenta una violazione dei diritti fondamentali della persona, limitandone la libertà di movimento e l’autodeterminazione.
Secondo l’art. 54 del Codice Penale, infatti, i diversi dispositivi di contenzione possono essere impiegati solo nei casi in cui si prefiguri uno stato di necessità, ovvero quando il pericolo presenta le seguenti caratteristiche: a) è attuale, cioè deve esistere la possibilità che si verifichi; b) causa un danno alla persona; c) è grave; d) l’agente non deve porsi di propria volontà nel pericolo.
D’altro canto, sottoporre a contenzione individui in assenza delle suddette condizioni comporta il configurarsi dei seguenti reati previsti dal Codice Penale: Art. 571 – Abusi dei mezzi di correzione e di disciplina; Art. 572 – Maltrattamenti; Art. 582-83 – Lesioni personali volontarie; Art. 589 – Omicidio colposo; Art. 605 – Sequestro di persona; Art. 610 – Violenza privata.
A queste fonti di diritto di rango superiore si aggiunge, inoltre, il codice deontologico di ogni professionista sanitario coinvolto. Relativamente alla professione dello psicologo, è bene ricordare in tale contesto l’articolo 4 –“Lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione e all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni. […] Rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi”– e l’articolo 22 –“Lo psicologo adotta condotte non lesive per le persone di cui si occupa professionalmente”–.
Conseguenze legate all’uso delle contenzioni
Se si permette che mani e piedi vengano legati, in breve si riscontrerà nel paziente un totale processo di regressione e si darà l’avvio a ogni genere di trascuratezza e tirannia, fino a che la repressione diventerà l’abituale sostituto dell’attenzione, della pazienza, della tolleranza e della gestione corretta (Conolly, 1856).
In letteratura sono presenti una serie di evidenze che sottolineano le conseguenze nocive dovute all’utilizzo dei mezzi di contenzione, sia a breve che a lungo termine: tra queste la perdita di autonomia, l’aumento della disabilità e la morte stessa (Mohsenian et al., 2003).
I potenziali danni riscontrati sono di natura fisica, quali arrossamento, abrasioni, ematomi, cianosi, strangolamento, asfissia da compressione della gabbia toracica, incontinenza, infezioni, sarcopenia e lesioni da decubito, e di natura psicologica, come paura, sconforto, agitazione, stress, confusione, rabbia, depressione, perdita di autostima, umiliazione e regressione comportamentale (Evans et al., 2002).
Secondo il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica (2015, pag.3) “Il superamento della contenzione è un tassello fondamentale nell’avanzamento di una cultura della cura – nei servizi psichiatrici e nell’assistenza agli anziani – in linea con i criteri etici generalmente riconosciuti e applicati in ogni altro campo sociosanitario”.
Spesso il ricorso alla contenzione è anche determinato da una scarsa conoscenza delle possibili alternative, motivo per cui è necessario promuovere interventi formativi che favoriscano una cultura dell’assistenza attenta al ruolo dei fattori relazionali e ambientali nel processo di cura e consapevole dei rischi e dei problemi associati al contenimento.
Misure alternative
In letteratura sono state proposte numerose misure alternative alla contenzione volte ad arginare episodi di agitazione psico-motoria e di aggressività, promuovendo al contempo la sicurezza della persona e la sua libertà di movimento (Bryant & Fernald, 1997).
La maggior parte di tali interventi sono principalmente modifiche ambientali o la proposta di stimolazione multisensoriale, come l’innovativa Snoezelen Therapy.
Per quanto riguarda gli interventi ambientali, famosa è l’applicazione dei principi della GentleCare (Jones, 1999). Secondo questa metodologia, risultano particolarmente indicati ambienti privi di rumori di sottofondo, a luci soffuse, con uscite mimetizzate o dotate di sistemi di allarme. Principio alla base di tale intervento è la necessità di adattare l’ambiente alle esigenze della persona invece che pretendere il contrario.
È bene, inoltre, proporre durante la giornata attività occupazionali e di intrattenimento individuali o di gruppo, in modo da stimolare l’individuo e al tempo stesso tenerlo sorvegliato e impegnato. Nel caso sopraggiungano deliri o allucinazioni è necessario mostrare un atteggiamento empatico, evitando qualsiasi tipo di critica, negazione o banalizzazione dello stato emotivo altrui. Circa quest’ultimo punto, è consigliata la pratica della Validation Therapy (Feil, 1991).
Relativamente alla stimolazione sensoriale, in alcune strutture per anziani è possibile trovare la stanza Snoezelen, un ambiente caratterizzato dalla presenza di più stimoli sensoriali diversificati, come musica rilassante, materasso ad acqua, aromaterapia, fasci di fibre ottiche e proiettori. Secondo Kitwood uno dei bisogni principali della persona con demenza è quello di essere occupata (Kitwood, 1997), ed infatti è proprio nei momenti in cui le persone sono inoccupate e sperimentano la noia che sono maggiormente inclini ad agitarsi (Cohen-Mansfield et al., 1992). La stanza Snoezelen ha, dunque, lo scopo di rilassare la persona e al tempo stesso coinvolgerla e stimolarla per prevenire l’agitazione, proponendo stimoli in maniera graduale in modo da evitare un sovraccarico sensoriale.
Il rischio di caduta
Nelle strutture per anziani la principale causa per cui viene prescritto un mezzo contenitivo è spesso il “rischio di caduta”, ma al momento nessuno studio in letteratura dimostra una riduzione di tale rischio nei soggetti sottoposti a contenzione (Zanetti et al., 2012; Sze et al., 2013).
Come è noto, la persona anziana, per le caratteristiche fisiologiche correlate all’età, eventuali comorbidità e farmaci assunti, è altamente suscettibile ai danni da caduta (WHO, 2008).
È bene precisare che la caduta, però, può essere determinata, oltre che dalla presenza di deficit motori e sensoriali, anche da una serie di fattori ambientali che possono essere facilmente individuati ed eliminati, quali scarsa illuminazione, superficie irregolare e presenza di ostacoli lungo il percorso (Quigley et al., 2010).
Risulta, dunque, fondamentale prevenire e ridurre il rischio di caduta attraverso un’attenta valutazione delle caratteristiche del singolo individuo oltre che delle caratteristiche ambientali (Ministero della Salute, 2011).
A tal proposito, esiste uno strumento di valutazione del rischio di caduta, ovvero la Morse Fall Scale (Morse, 1997), un rapido questionario a risposta dicotomica che individua tre tipologie di caduta (accidentale, fisiologica prevedibile, fisiologica non prevedibile) e che prende in considerazione una serie di indicatori utili per l’intercettazione delle persone a rischio, come ad esempio la diagnosi, la storia di cadute, lo stato mentale, l’andatura, il grado di mobilità e la terapia endovenosa.
La condotta aggressiva
Un pericolo configurabile come motivo di contenzione all’interno degli ambienti di cura è sicuramente la manifestazione di aggressività.
Anche in questo caso è fondamentale individuare ed eliminare il fattore scatenante. Secondo la letteratura, infatti, solo il 2% degli episodi violenti accade senza un antecedente (Katz, 2000), mentre più del 70% è dovuto al contatto col personale (Ryden et al., 1991). Rispetto a quest’ultimo dato, emerge la necessità di una grande attenzione e sensibilità da parte del personale di cura verso gli aspetti comunicativi e relazionali.
Per quanto riguarda la comunicazione, è ormai nota la sua relazione con l’aggressività, infatti negli ambienti di cura sono spesso consigliate le tecniche di de-escalation (Anderson & Clarke, 1996), un insieme di raccomandazioni per il personale sanitario su come modulare la comunicazione verbale (voce bassa, toni pacati, non sovrapporsi, non rimproverare ecc.) e non verbale (mantenere il contatto visivo, non tenere le mani in tasca, evitare il contatto fisico, attenzione alle espressioni facciali), al fine di ridurre gli agiti aggressivi dei pazienti.
Dal punto di vista relazionale, infine, è essenziale riconoscere che, come sottolineato da Tom Kitwood (1997), spesso i caregivers utilizzano inconsapevolmente nei confronti dell’anziano delle modalità di interazione svalutanti, che possono minare i bisogni psicologici della persona, aumentando l’agitazione. L’autore, ad esempio, individua 17 approcci negativi, tra cui l’invalidazione, l’infantilizzazione, l’imposizione e la derisione.