expand_lessAPRI WIDGET

Stile alimentare in infanzia: prevenire i disturbi alimentari

Il contributo dello stile alimentare appreso in infanzia potrebbe essere un fattore protettivo allo sviluppo dei disturbi alimentari

Di Chiara Ramponi

Pubblicato il 31 Mag. 2022

Aggiornato il 08 Feb. 2024 14:49

Vediamo di seguito quale contributo ha lo stile alimentare appreso durante l’infanzia e come possa diventare un fattore protettivo allo sviluppo di un disturbo alimentare.

 

 In medicina, per “prevenzione” si intende l’insieme di attività, interventi e azioni volti a ridurre la mortalità, la morbilità o gli effetti legati a determinati fattori di rischio o patologie. Dunque, lo scopo è quello di promuovere la salute sia del singolo individuo, sia della collettività. Per far sì che questo accada, vengono coinvolte molteplici figure professionali: non solo medici ma anche altri professionisti in ambito sanitario (es. fisioterapisti, dietisti, psicoterapeuti) e insegnanti, educatori o allenatori.

I livelli di prevenzione

La prevenzione, secondo il suo sistema di classificazione originario, ideato nel 1957 dalla Commission on Chronic Illness, veniva suddivisa in tre differenti livelli in base all’obiettivo da raggiungere:

  • Primario: si prefigge di ridurre l’incidenza, ovvero il numero di nuovi casi di un disturbo o di una malattia;
  • Secondario: si prefigge di ridurre la prevalenza, ovvero il tasso di casi stabiliti di un disturbo o di una malattia;
  • Terziario: si prefigge di ridurre la disabilità di un disturbo o di una malattia già presenti.

Tale divisione ha però, nel corso della storia, determinato molti pareri discordanti. Pertanto, sono stati proposti nuovi sistemi classificativi. Primo tra tutti quello di Gordon nel 1983, la cui prospettiva si basava sul “rischio-beneficio” e sul presupposto che il rischio individuale di ammalarsi debba essere messo a confronto con il costo, il rischio e il disagio dell’intervento stesso.

Tale sistema è stato successivamente rivisto dall’Institute of Medicine ed è tuttora adottato dalla maggior parte di coloro che si occupano di prevenzione. Oggi, dunque, la prevenzione si divide in:

  • Prevenzione universale: rivolta all’intero gruppo di una determinata popolazione, senza che quest’ultima sia stata identificata in base al rischio individuale (es. tutti gli studenti di una classe);
  • Prevenzione selettiva: rivolta a individui o a un sottogruppo di una determinata popolazione il cui rischio di sviluppare una malattia o un disturbo è significativamente al di sopra della media a causa di alcuni fattori di rischio, psicologici o sociali (es. individui con parenti di primo grado affetti da un disturbo dell’alimentazione);
  • Prevenzione indicata: rivolta a individui ad alto rischio, identificati in quanto presentano sintomi, segni o marcatori biologici minimi (prodromi) ma attribuibili a una malattia o disturbo, pur non soddisfacendo i criteri diagnostici (es. individui che seguono una dieta per controllare il peso e modificare la forma del corpo).

La prevenzione dei disturbi alimentari

Per quanto concerne la prevenzione dei disturbi dell’alimentazione, tale classificazione è piuttosto complicata da mantenere; specialmente perché alcuni comportamenti non salutari di controllo del peso possono essere sia fattori di rischio sia prodromi. In ogni caso, negli ultimi anni e in numerosi paesi europei (e non), molto impegno è stato profuso per creare programmi di prevenzione dedicati a queste problematiche. Le campagne sono rivolte principalmente alla scuola, il luogo ideale per raggiungere il maggior numero di adolescenti che sono coloro che, come dimostrato dagli studi, si trovano nella fascia di età maggiormente a rischio. Lo scopo degli interventi, di cui si sta testando l’efficacia, è quello di ridurre i fattori di rischio, i sintomi dei disturbi alimentari e prevenire l’aumento di peso.

Oltre a ciò, per ridurre l’impatto che tali problematiche hanno al giorno d’oggi, si può provare a “giocare di anticipo” e lavorare fin dall’infanzia attraverso l’implementazione di un corretto e protettivo stile alimentare in modo da ridurre i cosiddetti fattori di rischio potenziali; fattori di rischio che, se presenti, aumentano il rischio di sviluppare un disturbo.

Vediamo di seguito quale contributo ha lo stile alimentare appreso durante l’infanzia e come possa diventare un fattore protettivo allo sviluppo di un disturbo alimentare.

Lo stile alimentare in infanzia come fattore protettivo per i disturbi alimentari

1. Promuovere un corretto stile alimentare. Nel biennio 2017-2018 è stato effettuato l’ultimo monitoraggio Istat, pubblicato poi nell’anno successivo dall’Istituto Nazionale di Statistica. Ciò che è stato evidenziato è che solo il 12% dei bambini e degli adolescenti in Italia consumi ogni giorno le porzioni di frutta e verdura raccomandate dalle Linee Guida. Inoltre, elevato e non trascurabile è il consumo di bevande gasate e zuccherate, merendine e snack salati. Ciò va in netto contrasto con la ricerca, che invece ha più volte dimostrato come la promozione di un corretto e flessibile stile alimentare, fin dall’infanzia, sia un fattore protettivo allo sviluppo di un eventuale  disturbo alimentare.

2. Mantenere un peso e un appetito salutari durante l’infanzia e prevenire il sovrappeso. I dati della ricerca dimostrano come un peso adeguato durante l’infanzia correli con una minore incidenza di anoressia nervosa. Allo stesso modo, sia il basso peso sia la sovralimentazione, e di conseguenza l’eccesso ponderale durante l’infanzia, aumentano la probabilità di sviluppare un disturbo dell’alimentazione. Infatti, diversi studi hanno dimostrato che sovrappeso e obesità sono fattori prognostici predittivi per abbuffate e Binge Eating, insoddisfazione corporea e conseguimento di diete, anche drastiche, per controllare il proprio peso. Per ottenere un buon controllo del peso può essere utile l’implementazione dell’alimentazione regolare, ovvero la ripartizione dell’intake alimentare in cinque pasti giornalieri: colazione e due pasti principali (pranzo-cena) intervallati da due piccole merende. Per attuare ciò, può essere inoltre molto importante farsi aiutare da un professionista specializzato in alimentazione infantile e sensibile alla problematica alimentare. Le diete, infatti, aumentano di ben otto volte il rischio di sviluppare un disturbo alimentare.

3. Essere un buon esempio. Secondo la teoria dell’apprendimento vicario o sociale, ideata da Albert Bandura, i bambini imparano imitando il comportamento degli altri. Ciò accade anche in ambito alimentare, in cui l’educazione a un corretto stile alimentare e di vita può avvenire anche (e soprattutto) per trasmissione indiretta: attraverso l’esempio l’appunto. In tal modo, il momento del pasto e la scelta alimentare non si caricano di giudizio ma acquistano naturalezza e libertà. Dunque, attraverso la condivisione e la convivialità si possono promuovere corrette abitudini alimentari quali, ad esempio, la giusta composizione dei pasti o la frequenza di consumo dei vari alimenti. Per far questo è bene che tutte le figure di riferimento collaborino tra loro trasmettendo le medesime Linee Guida. È però importante che il buon esempio non venga dato unicamente dai genitori, ma anche dai nonni, dalle tate e dall’ambiente scolastico e sportivo; ovvero da tutte le figure significative che ruotano attorno ai bambini.

4. Favorire un clima sereno a tavola. Le discussioni durante il momento del pasto e il mangiare con un’atmosfera poco piacevole possono essere dei predittori per lo sviluppo di disturbi alimentari in età adulta, specialmente di anoressia nervosa. Pertanto, è bene evitare qualsiasi forma di conflitto ed è fondamentale creare un clima sereno e disteso. Inoltre, è importante evitare di discutere di argomenti che possono evocare gli ambiti della dieta e del corpo.

5. Consumare il maggior numero dei pasti in famiglia. La ricerca ha dimostrato una correlazione positiva tra consumo di pasti in famiglia e miglior benessere psicologico, e dunque un ridotto rischio di sviluppare un disturbo alimentare. Pertanto, è bene promuovere la convivialità e la socialità dei pasti. Inoltre, il pasto e la sua fase di preparazione possono diventare importanti momenti di educazione alimentare. Per questo motivo è fondamentale coinvolgere i propri figli sia nella scelta e l’acquisto delle materie prime sia nella loro trasformazione.

6. Non utilizzare il cibo come punizione, premio o ricompensa. Sia la demonizzazione di alcuni alimenti additati come dannosi sia l’uso di cibi a mo’ di premio sono due comportamenti, tra di loro opposti, che andrebbero evitati. Tali atteggiamenti possono infatti condurre a un’alimentazione selettiva o all’impiego del cibo per gestire stati emotivi. Definire un alimento “cattivo” e “nocivo” porta infatti alla sua stigmatizzazione e all’erronea credenza che gli alimenti si suddividono in buoni (da consumare) e cattivi (da evitare), interiorizzando in questo modo regole dietetiche rigide.

7. Riconoscere e trattare l’alimentazione schizzinosa e i problemi digestivi. Attraverso studi retrospettivi su persone affette da anoressia nervosa (AN), è emerso che le problematiche digestive in infanzia sono due volte maggiori tra soggetti con AN rispetto al gruppo di controllo. Dall’altra parte, la selettività alimentare può generare stress e nervosismo all’interno della famiglia che a volte si traduce in una maggior pressione a mangiare. Tale comportamento, secondo la ricerca, può però sfociare in una maggiore pressione al controllo del peso e delle forme corporee e al digiuno: considerati campanelli d’allarme della presenza di un disturbo alimentare. Pertanto, anche in questo caso, può essere utile ed essenziale rivolgersi a un professionista che tratti la selettività coinvolgendo le figure significative e donando loro strategie funzionali di gestione.

8. Evitare le diete drastiche. Frequentemente le diete sono fattori di rischio e/o fattori scatenanti l’esordio di un disturbo alimentare e spesso sono intraprese in infanzia e in giovane età a seguito dei cambiamenti fisici che, biologicamente, avvengono con la pubertà. Ad oggi, la ricerca ha dimostrato che tali regimi dietetici possono portare a un recupero ulteriore di peso (con conseguente insoddisfazione corporea), all’aumento degli episodi di perdita di controllo, ad alterazioni metaboliche e a restrizione cognitiva. Pertanto, è sempre bene scoraggiare l’inizio di diete drastiche volte alla perdita del peso, specie se il soggetto è normopeso e se attuate senza il supporto di uno specialista attento alla problematica alimentare.

9. Non stigmatizzare l’obesità. Nella società attuale, lo stigma nei confronti delle persone in sovrappeso o in stato di obesità è purtroppo ancora molto forte. Non di rado capita che i soggetti in eccesso ponderale vengano derisi; questo si verifica in qualsiasi ambiente, dalla scuola al lavoro e persino nelle strutture sanitarie. Tale stigma ha purtroppo effetti negativi sulla persona che lo subisce. Esperienze stigmatizzanti danneggiano il benessere psicologico delle persone che lo subiscono aumentando il rischio, per esempio, di depressione e ansia. Inoltre, chi interiorizza lo stigma nei confronti del peso e dell’obesità, tende a peggiorare la propria condizione di salute generale adottando comportamenti non salutari e consolidando le problematiche alimentari. Per questo motivo, sarebbe opportuno evitare qualsiasi commento su peso e obesità, anche se riferito in buona fede.

Considerazioni conclusive

Come riportato in precedenza e come dimostrato dalla ricerca, le cause dei disturbi alimentari non sono ancora note e i fattori di rischio individuati sono unicamente di tipo potenziale. Non esistono infatti fattori di rischio causali, la cui assenza sarebbe in grado di diminuire il rischio di sviluppo della problematica. Dunque, ciò che è possibile fare, in attesa di avere altri dati, è lavorare sulla prevenzione e sulla creazione di un ambiente il più possibile protettivo.

 

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Selettivita alimentare in eta pediatrica - Podcast State of Mind
Selettività alimentare in età pediatrica – Podcast State of Mind

È online l'episodio 'Mio figlio non mangia niente! Selettività alimentare in età pediatrica', realizzato con Cliniche Italiane di Psicoterapia

ARTICOLI CORRELATI
Disturbo Evitante Restrittivo dell’Assunzione di Cibo (ARFID) e Disturbi dell’Immagine Corporea: quali connessioni?

Vi è una comorbidità o shift tra ARFID e disturbi dell’alimentazione con eccessiva valutazione di peso, forma del corpo e alimentazione?

Fondi ai Disturbi alimentari: sì o no? Il mancato rinnovo del fondo, le proteste di chi soffre e la risposta del Ministero della Salute

I disturbi alimentari sono tra i disturbi mentali con il più alto tasso di mortalità. Quali misure sono state adottate dal governo?

cancel