La Cognitive Remediation Therapy ha l’obiettivo di innescare consapevolezza nel paziente circa le proprie strategie cognitive, senza mai attingere al contenuto del pensiero: questa prospettiva paradigmatica pone il paziente in una posizione di distacco verso il sintomo, che in questa sede non sarà in alcun modo oggetto d’analisi
La Cognitive Remediation Therapy è una terapia di matrice neuropsicologica/riabilitativa di terza ondata, la cui unità d’analisi risiede, dunque, nell’ aspetto processualistico, piuttosto che in quello contenutistico (Hayes & Hofmann, 2017). La finalità primaria consiste, infatti, nell’implementare la flessibilità cognitiva all’interno della psicopatologia clinica in cui risulta deficitaria, attivando nuovi circuiti neurali e potenziando aree cerebrali meno utilizzate (Tchanturia, Davies, Reeder & Wykes, 2010). L’obiettivo di questo trattamento consiste nell’innescare consapevolezza nel paziente circa le proprie strategie cognitive, senza mai attingere al contenuto del pensiero: questa prospettiva paradigmatica pone il paziente in una posizione di distacco verso il sintomo, che in questa sede non sarà in alcun modo oggetto d’analisi (Tchanturia, Davies & Campbell, 2007). Una metafora calzante, che risulta particolarmente esplicativa, per spiegare il paradigma teorico alla base di questo trattamento è il binomio dualistico hardware/software (contenitore/contenuto). La domanda chiave a cui la terapia risponde non è, dunque, “what?” (sintomo che innesca sofferenza, verso cui spesso il paziente attua un evitamento emotivo), ma “how?” (modalità di processamento cognitiva).
La CRT è stata testata e applicata per la prima volta, in fase preliminare, nei primi anni ’90 allo spettro dei disturbi psicotici (Wykes & Huddy, 2009); in questi primi studi pilota anche i dati qualitativi, tratti dai feedback positivi dei pazienti stessi post-trattamento, hanno contributo a proseguire la ricerca in tale direzione. A partire da queste prime ricerche, l’applicazione della Cognitive Remediation Therapy si è estesa cospicuamente a svariate aree della psicopatologia clinica, molto eterogene tra di loro; tale diffusione non sorprende, considerato il razionale alla base della terapia che trascende integralmente il sintomo, focalizzandosi unicamente sui processi cognitivi.
Nel 2002 il trattamento viene applicato ai disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e al disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD); anche questi studi preliminari suggeriscono dei livelli di miglioramento affidabili: evidenziando quanto l’implementazione della flessibilità cognitiva possa ridurre l’impatto dei i sintomi di attenzione deficitaria/iperattività sul funzionamento sociale e lavorativo dell’individuo; oltre a incrementare la dimensione dell’autostima e a ridurre il comportamento dirompente, specialmente la gestione della rabbia (Stevenson, Whitmont, Bornholt, Livesey & Stevenson, 2002). Nel medesimo anno il campo d’applicazione della Cognitive Remediation Therapy si estende anche al trattamento delle lesioni cerebrali e alla riabilitazione cognitiva nel processo di invecchiamento; con altrettanti risultati promettenti (Goldberg, 2002). Nel 2006 la CRT viene sperimentata nel trattamento dei disturbi ossessivi-compulsivi, dimostrandosi altrettanto efficace anche in questo ambito; in quanto la rispettiva popolazione clinica presenta una rigidità cognitiva notevole, evidente anche dalla sintomatologia manifesta (Buhlmann et al., 2006). Nel 2012 la Cognitive Remediation Therapy si estende anche ai disturbi da addiction, specialmente alla dipendenza alcolica: le relative ricerche hanno dimostrato che la CRT si è rivelata un’ottima terapia integrativa, applicata in maniera congiunta a quelle tradizionali, per il trattamento delle dipendenze; come ad esempio la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) o la terapia metacognitiva (MCT). Rispetto ai pazienti che hanno ricevuto unicamente la psicoterapia, i pazienti che hanno partecipato anche ai protocolli di CRT hanno riportato considerevoli miglioramenti nelle funzioni esecutive e nei domini mnestici; oltre ad un conseguente miglioramento della qualità di vita: i proficui outcome cognitivi hanno implicato dei miglioramenti notevoli anche sul piano clinico, in termini di riduzione del sintomo e del relativo impatto sul funzionamento psico-sociale (Rupp, 2012). Successivamente la Cognitive Remediation Therapy viene applicata anche ai disturbi dell’umore, come coadiuvante alternativo rispetto alla terapia farmacologica; nei casi in cui quest’ultima non risulta indispensabile per regolamentare la deflessione timica. Anche in questo ambito clinico l’integrazione tra terapie che agiscono sul sintomo e quelle focalizzate sul processo, come la CRT, fornisce evidenze scientifiche che permettono di proseguire su questo filone di ricerca; trascendendo i limiti metodologici che caratterizzavano i primi studi pilota a riguardo (Bowie, Gupta, & Holshausen, 2013). Per concludere questa sezione di revisione della letteratura, sulla CRT applicata a svariate aree della psicopatologia clinica nel corso dei decenni; è stato selezionato uno studio naturalistico con pubblicazione recente, datata 2020: Cognitive Remediation Therapy per pazienti con diagnosi di anoressia nervosa e tratti dello spettro autistico (ASD), considerata l’elevata comorbilità (Dandil, Smith, Adamson, & Tchanturia, 2020) e la similarità dei profili neuropsicologici in AN e ASD (Westwood, Stahl, Mandy & Tchanturia, 2016). Nonostante si tratti di uno studio preliminare, emergono delle evidenze empiriche circa i benefici indotti dalla CRT sulla flessibilità cognitiva in pazienti con diagnosi di disturbo dello spettro autistico; sia ad alto, che a basso funzionamento: si tratta di dati confortanti che spingono la ricerca verso la continua esplorazione di questa frontiera clinica. A prescindere dall’ambito clinico di applicazione specifica, la CRT si rapporta alle terapie basate sul contenuto/sintomo, di seconda generazione, sempre in un’ottica di complementarità e mai di sostituzione: un esempio concreto è il rapporto con la terapia cognitivo-comportamentale. Trattandosi di due terapie che operano su unità d’analisi diametralmente opposte, ma complementari, ovvero processo e contenuto; la loro interazione conduce ad una sinergia supplementare, nella direzione di auspicabili e potenziali effetti additivi, come testimoniato da numerose evidenze scientifiche (Darcy, Fitzpatrick, & Lock, 2016; Drake et al., 2014).