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The Social Dilemma: terrorismo mediatico o pericolosa realtà?

'The Social Dilemma' rappresenta lo specchio di una pericolosa realtà oppure trasmette dei messaggi esagerati allo scopo di infondere terrorismo mediatico?

Di Rachele Recanatini

Pubblicato il 18 Dic. 2020

‘Nulla che sia grande entra nella vita dei mortali senza una maledizione’. Inizia con questa citazione del drammaturgo greco Sofocle il documentario dal titolo The Social Dilemma, diretto dal regista Jeff Orlowski e trasmesso su Netflix.

 

The Social Dilemma ci mostra la vita di Ben – l’attore Skyler Gisondo – che vive una dipendenza da Social Network: costretto dalla madre a non utilizzare il telefono cellulare per una settimana, entra in uno stato di profonda crisi trascorsi appena due giorni.

I sintomi correlati ad una dipendenza da Internet riguardano: la tolleranza, ossia l’assuefazione, legata alla necessità di stare sempre più connessi per raggiungere uno stato di temporaneo appagamento; l’astinenza, ovvero la sensazione di intenso disagio psicofisico quando non ci si collega al web per un certo periodo di tempo; il craving, caratterizzato dall’aumento di pensieri fissi e da forti impulsi inerenti il come e quando connettersi. Il protagonista sembra sperimentare ognuno dei sintomi legati ad una condizione di vera e propria dipendenza. Il documentario ci mostra, parallelamente, le vicende di un ipotetico team di esperti che manipola un Avatar corrispondente all’utente: in questo modo, Ben viene continuamente sottoposto a stimoli a cui non riesce a sottrarsi, informazioni personalizzate allo scopo di colpire la sua emotività e di catturare la sua attenzione. Immagini inquietanti se pensiamo a quanto si cela dietro ognuno dei nostri profili social.

The Social Dilemma mostra inoltre numerose interviste, domande poste ad alcuni tra i più noti dipendenti di Google, Facebook, Instagram, Twitter, Pinterest ed altre famose piattaforme, impiegati della Silicon Valley. I professionisti intervistati, tra cui l’inventore del tasto ‘like’ di Facebook, riconoscono ad oggi le importanti implicazioni psicologiche che si celano dietro le loro scoperte, novità che in alcuni casi stanno provocando gravi conseguenze per la salute mentale dei cittadini di tutto il mondo. Molti di essi attualmente hanno addirittura deciso di licenziarsi: riconoscono di aver contribuito alla nascita di strumenti, sicuramente utili e meravigliosi, ma non senza gravi rischi per l’equilibrio psichico dell’essere umano.

Durante la scorsa decade l’avvento dei Social Network ha causato profondi mutamenti nel modo in cui le persone comunicano ed interagiscono tra loro. Non è ancora perfettamente chiaro se e come alcuni di questi cambiamenti possono influenzare determinati aspetti del comportamento umano e causare disturbi psichiatrici o psicologici specifici. Studi scientifici hanno indicato come l’utilizzo prolungato dei ‘Siti di Social Networking’ (SNS) – come Facebook o Instagram – potrebbero essere collegati in maniera diretta con alcuni sintomi della depressione. Inoltre, alcuni autori indicano che determinate attività compiute all’interno dei SNS potrebbero essere correlate con una bassa autostima, specialmente in bambini e adolescenti; altri studi, invece, presentano risultati opposti: i Social Network potrebbero anche avere un impatto positivo sulla stima di sé. La relazione tra l’uso dei SNS ed il disagio mentale ad oggi rimane dunque un aspetto controverso (Pantic, 2014).

Ma come mai i Social Network, con il passare del tempo, sono diventati così importanti per noi? Numerosi studi scientifici hanno indagato le motivazioni psicologiche che spingono ad utilizzarli in maniera massiccia, in differenti stadi della vita quali l’adolescenza, l’età adulta e l’anzianità. I cambiamenti sociali, infatti, hanno in generale un’importante influenza rispetto alla salute individuale di ognuno di noi e, in particolare, l’avvento dei Social Media può essere considerato significativo rispetto al benessere psicologico in ciascuno dei diversi stadi della vita. Nello specifico, è stato scientificamente riscontrato come per gli adolescenti l’aspetto di maggior impatto nell’uso dei social riguarda l’isolamento sociale, seguito dalla percezione di essere connessi agli altri e dalla fiducia interpersonale. Per gli adulti, così come nella vecchiaia, tra questi tre differenti fattori implicati nell’utilizzo dei Social resta comunque l’emarginazione ad avere maggiore importanza (Levula et al., 2016). L’isolamento sociale gioca dunque il ruolo più significativo in tutte le fasi della vita nell’uso dei Social Network: tale scoperta dovrebbe avere importanti implicazioni pratiche, soprattutto nella progettazione di interventi sulla salute mentale dei giovani e dei meno giovani. Ma come mai la percezione di essere emarginati è così temuta, in ognuna delle fasi della vita? Il timore di essere esclusi, tagliati fuori, di non vivere la vita a pieno così come fanno gli altri, in inglese denominato Fear of Missing Out, è una delle maggiori cause che si celano dietro un utilizzo disfunzionale dei Social Network: chi sperimenta la Fomo è infatti spinto a partecipare in maniera attiva e costante alla vita sociale altrui, attraverso l’accesso continuo ai canali Social.

Un recente studio ha indagato la correlazione tra i tratti personologici, le variabili implicate nella salute mentale e l’utilizzo dei Social Media, in alcuni giovani studenti (Brailovskaia et al., 2018). I risultati indicano una importante associazione tra l’uso generico di Internet e l’accesso ai Social Network ed importanti fattori psicologici quali: l’autostima, l’estroversione, il narcisismo, la soddisfazione in merito alla propria vita, il supporto sociale e la resilienza. Lo studio ipotizza che l’utilizzo di piattaforme Internet incentrate maggiormente sull’interazione di tipo scritto, come Twitter, possa essere associato negativamente a variabili implicate nella salute mentale, in quanto legate a sintomi quali depressione, ansia e stress. Al contrario, l’uso di Social Network come Instagram, che si concentra maggiormente sulla condivisione di foto e immagini, sarebbe collegato a variabili positive come l’autostima. Tale ipotesi rimane ancora un aspetto controverso. Studi recenti dimostrano come in America sintomi quali depressione e ansia sono aumentati in maniera esponenziale tra il 2011 e il 2013: il numero dei ricoveri in ospedale per disagi di tipo psicologico è salito del 62% nei giovani adulti e del 189% nei pre-adolescenti. Aumentati inoltre i gesti autolesivi e il numero dei suicidi tra i più giovani proprio dal 2009, anno dell’avvento dei Social Network; nello specifico, il tasso di suicidio è aumentato del 70% tra 15 e 19 anni e del 151% tra i 10 e i 14. Dati spaventosi per quella che viene definita la ‘generazione Z’, che approda sui Social Network già a partire dalle scuole medie: un’intera fascia di età più ansiosa e depressa.

Fenomeno recentissimo quello di Jonathan Galindo, un utente misterioso, simboleggiato da un viso mascherato, che contatta i giovani e li spinge ad uccidersi attraverso la partecipazione ad un ‘gioco’ online, in cui si è obbligati a superare step sempre più difficili, fino a togliersi la vita. Tra i più giovani in aumento anche gli interventi di chirurgia plastica, allo scopo di assomigliare ai filtri utilizzati nei Social Network, al punto da ipotizzare una ‘dismorfia da Snapchat’: il dismorfismo corporeo è una condizione psicologica in cui ci si fissa su una caratteristica o su più caratteristiche del proprio aspetto esteriore, notando imperfezioni o difetti che per altre persone appaiono minimi o inesistenti; tale disagio è legato ad una continua ricerca di approvazione sociale, per avvicinarsi ad una utopica idea di perfezione. I Social Network quindi cambiano il comportamento, manipolano in maniera subdola la psiche attraverso l’inconscio di chi li utilizza, agendo su pilastri dell’identità e della autostima.

Un’altra importante riflessione che The Social Dilemma ci invita a fare riguarda l’ascolto di notizie provenienti dal web: usare Internet in maniera disfunzionale significa anche non sottoporre ad un vaglio critico la continua sovrapproduzione di informazioni con cui veniamo a contatto, con forti implicazioni a livello etico e sociale. Le quotidiane fake news, infatti, hanno negli ultimi anni contribuito ad una cultura della disinformazione, con cambiamenti nelle ideologie di milioni di persone spesso basati su dati non scientifici e provenienti da fonti non attendibili.

Il documentario spinge ad una doverosa riflessione sui Social Media e su come questi manipolano la mente dei cittadini per trarre profitto economico. Essere continuamente monitorati da software che sono programmati da esperti di psicologia umana, essere esposti a professionisti che sembrano conoscere ogni aspetto della nostra personalità, è questa la sensazione che traspare dopo aver visto il documentario Netflix, in cui risuona lo slogan: ‘Il prodotto sei tu’. Un esempio altamente significativo riguarda il tempo di attesa per ricevere una risposta su Facebook – latenza in cui appaiono nello schermo tre puntini di sospensione – che coincide con l’essere bersagli di pubblicità mirate ad ottenere la maggiore attenzione possibile da parte dell’utente che è in attesa e, di conseguenza, molto attento. Le tecniche utilizzate dai professionisti che programmano i Social Network si basano sui principi delle neuroscienze: ogni informazione prodotta viene tracciata e di seguito utilizzata per spostare l’attenzione di quel determinato utente in direzioni scelte dall’esperto, con lo scopo di modificare le sue opinioni, introdurre nuove teorie… controllare la sua mente. ‘Pensi di essere libero e di poter trovare qualsiasi informazione, in realtà stai perdendo la tua libertà’: navigando sul web assistiamo dunque inermi ad un graduale e subdolo cambiamento interiore, rispetto alla nostra identità, ai nostri pensieri e alle nostre emozioni. Sembra venir meno il concetto di libero arbitrio! I programmatori utilizzano il principio psicologico del ‘rinforzo positivo intermittente’: come nel gioco delle slot machines, si innesta nella mente dell’utente una abitudine – inconscia – che lo spinge a continuare determinate attività. Il modello è quello dell’apprendimento automatico, basato su specifici algoritmi, che permettono alle aziende di proporre pubblicità strettamente collegate agli interessi dell’utente, riconosciuti tramite l’analisi delle ricerche effettuate da lui stesso e a cui non ci si può sottrarre, come in una trappola. Dal documentario traspare come attraverso l’illusione di poter conoscere qualsiasi informazione semplicemente chiedendola a Google, in una condizione di apparente libertà totale di scelta, non abbiamo affatto la possibilità di cogliere la vera realtà che ci circonda, ma soltanto ciò che vogliono farci sapere.

The Social Dilemma rappresenta lo specchio di una pericolosa realtà oppure trasmette dei messaggi esagerati allo scopo di infondere terrorismo mediatico?

A mio avviso le conseguenze dell’utilizzo dei Social Network non colpiscono tutti gli utenti allo stesso modo, ma esistono delle categorie maggiormente a rischio. Le vulnerabilità personologiche di ognuno, infatti, hanno un ruolo determinante nell’impatto che l’utilizzo dei canali Social provoca nella psiche e vanno riconosciute. Coloro che vivono stati emotivi interni legati a temi quali inadeguatezza ed insicurezza, in cui si teme l’abbandono più di ogni altra cosa, si tende a voler evitare l’esclusione, ci si sente profondamente emarginati, deboli e fragili, sono le vittime più comuni di disagio psichico provocato dai Social. ‘Usare ciò che sei contro di te’. Le vulnerabilità individuali, attraverso il continuo accesso ai SSN, vengono esposte ad un elevato rischio di sofferenza emotiva, aumentando la percezione interna di vuoto, ovvero una delle sensazioni maggiormente temute dall’essere umano, che spinge paradossalmente a connettersi di nuovo in un circolo vizioso altamente disfunzionale. Il rischio è quello di creare nei più giovani l’idea che in condizioni di isolamento sociale non esisterebbe più la loro intera identità: lontani da Internet i giovani non si percepiscono in un ruolo definito e non si identificano con null’altro ad eccezione del proprio profilo, nell’unica alternativa di vivere una vita social. ‘Stiamo addestrando e condizionando un’intera generazione a pensare che quando siamo a disagio, o ci sentiamo soli, incerti o spaventati abbiamo a disposizione un ciuccio digitale e questo sta atrofizzando la nostra capacità di affrontare le cose’, si ascolta nel documentario.

Non è la tecnologia quindi ad essere una minaccia esistenziale di per sé, ma è come essa viene utilizzata. La ricerca scientifica può fornire anche un aiuto prezioso nello studio del disagio psichico. La malattia mentale è diventata negli anni il più grave problema per la salute pubblica mondiale e i Social Network – piattaforme dove gli utenti esprimono emozioni, sensazioni e pensieri – sono una fonte inesauribile di dati per la ricerca sulla salute mentale, seppur emergono numerosi limiti: assemblare un quantitativo enorme di dati sugli utenti dei Social Media affetti da disturbi mentali è difficile, non solo a causa di pregiudizi associati ai metodi di raccolta, ma anche per quanto riguarda la gestione del consenso e la selezione di tecniche di analisi appropriate (Wongkoblap et al., 2017). La tecnologia digitale può dunque essere destinata a trasformare anche la fornitura di assistenza sanitaria. La rivoluzione digitale sta evolvendo ad un ritmo inarrestabile e, accanto all’esplosione senza precedenti della tecnologia, l’attenzione verso il benessere psicologico sta aumentando. Considerando l’impatto della comunicazione digitale nelle interazioni umane e, di conseguenza, l’influenza di essa negli stati mentali, come l’umore e il benessere, si può trasformare il modo di aiutare le persone affette da disagio psichico attraverso la tecnologia (Bucci et al., 2019); ciò si vede già negli interventi psicoterapeutici ormai sperimentati anche attraverso modalità online e quindi accessibili potenzialmente a moltissime persone. Un nuovo modo di utilizzare il progresso tecnologico per fini benefici.

Esistono dunque modi per contrastare i rischi che emergono dal documentario The Social Dilemma. Sarebbe fondamentale promuovere una educazione sociale all’interno delle scuole, nell’ottica di prevenzione: formare i cittadini più giovani sui potenziali rischi psicologici derivati dall’abuso di Internet, renderli capaci di uno sguardo critico nell’utilizzo degli importantissimi strumenti che il web ci fornisce. Comprendere in maniera precoce quando può nascere una dipendenza, percependo il bisogno di trascorrere sempre più tempo online, rinunciando alla vita reale per restare connessi o perdendo relazioni importanti per la necessità di stare al telefono: nei casi in cui ciò dovesse verificarsi, è fondamentale poter stabilire un tempo preciso per restare connessi, riabituarsi a stare senza tecnologia per qualche ora e prendere contatto con sensazioni reali e piacevoli. Fine ultimo, usare i Social Network in modo produttivo e costruttivo, per trarne i benefici ormai divenuti imprescindibili nella nostra quotidianità, ma lontani dai potenziali rischi per il benessere e l’equilibrio mentale dei cittadini.

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The Social Dilemma (2020) – Recensione del film

The Social Dilemma fa riferimento alle implicazioni etiche e sociali dell’utilizzo della tecnologia e a come i social media manipolino l'individuo

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