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Coronavirus: pensare positivo, è possibile?

Il COVID-19 ha stravolto la nostra quotidianità. Sviluppare il pensiero positivo ci permette di vivere meglio e godere di un adeguato equilibrio interiore

Di Federica Liso

Pubblicato il 14 Mag. 2020

Ognuno di noi ha dentro di sé tutte le capacità necessarie per superare qualsiasi situazione della propria vita, non tutti però ne sono consapevoli. Il pensiero positivo è un compagno che ci guida costantemente e ci fornisce un rinforzo quotidiano, facendoci pensare: “ce la posso fare”.

 

Ogni giorno, quando ti svegli pensa: oggi sono fortunato perché mi sono svegliato, sono vivo, ho una preziosa vita umana, non la sprecherò. Userò tutte le mie energie per migliorarmi, per aprire il mio cuore agli altri, avrò per gli altri parole gentili e non pensieri cattivi e non mi arrabbierò, ma cercherò di far più bene che posso. (Dalai Lama)

Introduzione

In questi giorni, in cui siamo costretti a rimanere in casa, molti di noi avranno pensato che ogni qualvolta ci troviamo a dover affrontare un ostacolo, il nostro modo di pensare può portarci alla imminente speranza che questo possa essere affrontato e superato. Questo accade in ogni ambito di vita: familiare, relazionale, lavorativo ed amicale. E’ questo nostro pensare positivo che ci aiuta ad imparare ed a gestire le nostre paure e/o emozioni. Ognuno di noi ha dentro di sé tutte le capacità necessarie per superare qualsiasi situazione della propria vita, non tutti però ne sono consapevoli. Alcune persone hanno convinzioni orientate sul “tanto è inutile”, “tanto non ce la farò comunque”, “tanto le cose andranno male”. Cerchiamo di capire nel dettaglio che cosa si intende. Pensare positivamente non vuol dire credere ciecamente che le cose vadano bene, non vuol dire chiudere gli occhi di fronte alle sfide o alle difficoltà, non vuol dire vivere la propria vita come se le situazioni negative e spiacevoli non esistessero. Il pensiero positivo è un compagno che ci guida costantemente nella nostra vita e ci fornisce il rinforzo quotidiano, facendoci pensare: “ce la posso fare” (Delle Fave, 2010). Ciò non vuol dire che una persona possa riuscirci ad ogni costo. E’ un pensiero che ci orienta rispetto i nostri obiettivi, favorendone il raggiungimento e permettendo il superamento delle difficoltà. Ed anche quando ci troviamo di fronte ad un insuccesso, grazie al pensiero positivo potremmo dirci: “cosa ho imparato da questa situazione?”, “cosa posso fare di diverso la prossima volta per avere successo?”.

Il nostro modo di pensare influisce sui nostri comportamenti

Il nostro modo di pensare va ad influire sui nostri comportamenti più di quanto si possa immaginare. Molti indicano quanto la gestione dei pensieri possa essere la chiave attraverso cui controllare le proprie emozioni e raggiungere gli obiettivi che ci si prefigge nella vita (Beck, 2008). Si soffre di più pensando che qualcosa possa avere effetti negativi e questa sofferenza diventa, così, la spinta per cercare il coraggio sufficiente ad affrontare la situazione spaventosa. Ad esempio, una persona con la paura degli aghi soffrirà molto più per l’ansia legata alla sua fobia che per il piccolo pizzicore che crea la puntura. La potenza del pensiero predittivo risiede nella profezia autoavverante: a furia di pensare negativamente, questi pensieri diventano reali comportamenti. In pratica, secondo la definizione del sociologo statunitense Robert K. Merton (1948), una supposizione o profezia che, per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l’avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità. Non ha nulla a che vedere con il pensiero magico, che, invece, consiste nello stabilire una relazione irrazionale tra i nostri pensieri e gli eventi della nostra vita. I nostri pensieri influenzano correttamente la nostra condotta (Beck, 2008). Ad esempio, se iniziassi un nuovo progetto e pensassi, fin da subito, che non andrà a buon fine, la mia motivazione, energia e chiarezza mentale per cercare soluzioni, idee e risorse, non sarebbero molto efficaci. Oppure, se credessi che il mio partner sia infedele, la mia fiducia, la mia gelosia e il mio elevato livello di dipendenza emozionale sicuramente deturperebbero la relazione. Questo è ciò che si verifica quando una profezia si autoavvera e ricade più o meno consciamente sul comportamento di tutti attraverso l’Effetto Pigmalione riferendosi al potere che hanno le aspettative di un individuo sugli altri (genitori, figli, insegnanti, alunni, dipendenti, ecc…). In particolare, si tratta di una forma di suggestione psicologica: le persone tendono a conformarsi all’immagine che altri individui hanno di loro, sia essa un’immagine positiva sia negativa. Per fare un esempio pratico, basta citare l’esperimento condotto dallo stesso Robert Rosenthal (1968) e dalla sua equipe, i quali sottoposero alcuni bambini di una scuola elementare ad un test d’intelligenza. Dopo il test, in modo casuale, vennero selezionati alcuni bambini ai cui insegnanti fu fatto credere che avessero un’intelligenza sopra la media. La suggestione fu tale che, quando l’anno successivo Rosenthal si recò presso la medesima scuola elementare, dovette constatare che, in effetti, il rendimento dei bambini selezionati era molto migliorato e questo solo perché gli insegnanti li avevano influenzati positivamente con il loro atteggiamento, inconsapevoli del fatto che fosse tutto legato alla suggestione. Dati tali argomentazioni risulta essere importante nei contesti educativi, familiari ed anche lavorativi dire ai figli, alunni o dipendenti che si crede nelle loro potenzialità e nella realizzazione dei loro obiettivi se si vuole orientare questi attori sociali verso il successo.

Il contributo della psicoterapia cognitiva sull’autoefficacia emotiva e interpersonale

La psicoterapia cognitiva e cognitiva-comportamentale è un trattamento indicato per affrontare i disagi psicopatologici, come l’ansia, gli attacchi di panico e le fobie. Questa tipologia d’intervento si basa sul presupposto che esiste una stretta relazione tra pensieri, emozioni e comportamenti. Infatti, i problemi emotivi sono influenzati dalle azioni e dalle esperienze del vissuto. Il piano di trattamento è avviato da uno psicoterapeuta e si pone l’obiettivo di fornire al paziente gli strumenti per sapere gestire l’ansia e per modificare le convinzioni negative. In questo caso, verrà chiesto al paziente di praticare l’esercizio della visualizzazione (Beck, 1971): immaginare noi stessi mentre ci approcciamo all’idea di mettere in atto una nuova sfida, come un esame, un discorso pubblico, una partita di calcio, un appuntamento, un nuovo lavoro e pensare che questa possa ottenere un successo. Per applicare questa tecnica, è necessario seguire uno psicoterapeuta che ci possa allenare a questo tipo di pensieri e alla successiva fase della visualizzazione. E’ utile seguire alcuni consigli pratici: immaginare in maniera vivida ciò che vorremmo si realizzasse, prestare attenzione ai dettagli, ricreare le sensazioni che proveremmo nel caso di un eventuale successo, come le conseguenze positive, le lodi degli altri, la soddisfazione personale. L’importante è “non dimenticarsi di immaginare se stessi sempre in un’ottica di successo”. Non pensare a ciò che potrebbe succedere, ma pensare a ciò che desideriamo che succeda.

Silenziare i pensieri disfunzionali per poter sperimentare un senso di benessere: come si fa?

Nel nostro vivere quotidiano, capita spesso di essere assaliti da migliaia di pensieri “automatici” di cui non siamo consapevoli, ma ce ne rendiamo conto nel momento in cui sperimentiamo gli effetti emotivi in termini di preoccupazione, tristezza, ansia, paura e così via (Beck, 2013). Emozioni che turbano il nostro agire e che ci impediscono di godere a pieno del momento presente. Facciamo un esempio nell’attualità: una famiglia non esce a fare la spesa, a causa della probabile diffusione del “virus cattivo” e della possibilità che vengano contagiati tutti in maniera immediata. I pensieri che iniziano a rincorrersi ad effetto domino saranno “Non ho latte necessario per la colazione”, “Se provassi ad uscire per andare al supermercato, di sicuro ci sarà molta gente come me che non ha sufficiente latte per la colazione”, “Probabilmente mi potrà contagiare”, “E se non sapesse di essere positivo e mi contagia?”. Lo stato emotivo che, inevitabilmente, questa famiglia proverà sarà legato a ansia, tristezza e rabbia che sfoceranno in una conversazione dai toni particolarmente aggressivi e/o ansiosi nel momento in cui metteranno piede dentro un supermercato. Cosa è accaduto? Semplice: dubbi, insicurezze e paure remote hanno generato ed alimentato un dialogo interno negativo, da cui sono scaturiti emozioni e comportamenti disfunzionali, replicando un copione fallimentare che abbiamo già attuato in esperienze precedenti. Quello che accade quando pensiamo negativamente circa la probabilità che un evento si possa verificare è una “fusione pensiero – azione”, ossia si esercita un’equivalenza data per certa tra i contenuti dei nostri pensieri e la realtà che sicuramente ci si proporrà (Caprara, 2007). Qualora si sperimentasse questo errore cognitivo, che cosa si potrebbe fare in termini pratici? I nostri pensieri sono così immediati, il più delle volte quello che avvertiamo sono emozioni negative a cui non riusciamo a dare una spiegazione. E’ proprio in questo caso che dobbiamo fermarci per ascoltare il nostro dialogo interno. Cosa ci stiamo dicendo? “E se i bambini non hanno il latte, come sarà possibile per loro fare colazione?”, “Magari possiamo andare una volta ciascuno e parlare al telefono mentre siamo al supermercato per fare in modo che nessuno si avvicini”, “Possiamo metterci i guanti e la mascherina ed essere protetti dal possibile contagio”. Questi pensieri automatici compaiono all’improvviso e l’unico modo che abbiamo per riconoscerli è sentire ciò che proviamo. E’ importante anche imparare a mettere in discussione ciò che pensiamo, come ad esempio attraverso la tecnica della ristrutturazione cognitiva, ovvero riuscire a modificare il modo in cui si interpretano e si valutano le situazioni che si vivono. Quindi, si deve incoraggiare il paziente a modificare i pensieri automatici e le distorsioni cognitive per sostituirli con altri più realistici e adattivi (Beck, Clark, 2010). Proviamo a creare punti di vista più vicini alla realtà. Alcune domande che potrebbero aiutarci in tal senso sono: “Che prove ho che qualcuno si sia contagiato stando ad una distanza di un metro l’uno dall’altro?”, “Ho la certezza che quello affianco a me sia contagiato?”, “Continuare a credere in un probabile contagio, quali effetti ha?”, “Cosa consiglierei ad un nostro amico che ha le stesse nostre ansie e/o paure di poter essere contagiato?”. Queste domande permettono di formulare una risposta adattiva, al fine di ottenere emozioni positive e comportamenti più funzionali rispetto al passato. Fondamentale è la costanza. La sostituzione di pensieri disadattivi richiede impegno continuo, poiché si cerca, consapevolmente, di destrutturare una modalità di pensiero consolidata nel tempo, per costruirne una più funzionale e resistente agli “attacchi” da parte degli schemi del passato. Nel tempo, il dialogo interno diventerà funzionale e, così, la ristrutturazione sarà essa stessa automatica. La ristrutturazione cognitiva permette di differenziare “ciò che si pensa” da “ciò che è reale”, creando una visione più flessibile, pronta a fronteggiare imprevisti e divenendo fonte inesauribile di resilienza. Una volta che si inizia a essere consapevolmente al legame tra le emozioni spiacevoli e i pensieri disadattivi, il passo successivo è semplice. Il paziente può iniziare a sperare che, modificando le sue idee, possa cambiare anche il suo stato d’animo.

Conclusioni

Queste giornate passano lentamente, dunque, pensare positivo ci permette di vivere meglio e di godere di un adeguato equilibrio interiore. All’improvviso, sentiamo l’esigenza di viaggiare, di scoprire e di accogliere ciò che ci circonda. Ci troviamo a domandarci: quanto apprezziamo ciò che viviamo realmente? Questa quarantena ci ha portato proprio ad una sosta: una pausa forzata dalla nostra vita. Osserviamo ciò che accade all’esterno in modo ovattato, non concependo realmente cosa stia succedendo, un evento simile è difficile da metabolizzare. Questo richiede un profondo lavoro personale. Dobbiamo riconciliarci con il nostro dialogo interno e saperlo ascoltare attentamente, al fine di sentirci degni di qualcosa di meglio. Solo allora il nostro stato emotivo riuscirà a mutare, diventando, così, più forte, più solido e più duraturo nel tempo.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Antonella Delle Fave, La Condivisione del Benessere, Il Contributo della Psicologia Positiva, Milano, Franco Angeli, 2015.
  • DA Clark, e AT Beck, Terapia cognitiva dei disturbi d’ansia: scienza e pratica, New York, NY: Guilford Press, 2010.
  • J. S. Beck, Le sfide della Terapia Cognitiva, Ed. Carlo Amore, 2008.
  • J.S. Beck, La terapia cognitivo – comportamentale, Ed. Astrolabio, 2013.
  • R., K. Merton, La profezia che si autoavvera, in “Teoria e Struttura Sociale”, II, Bologna, Ed. Il Mulino, 1971.
  • Rosenthal, R.& Jacobson, L. Pygmalion in the Classroom, in “The Urban Review”, n. 3 (1), pag. 16 - 20, 1968.
  • Tramontano C., Alessandri G., Caprara G. V., Le determinanti del pensiero positivo e della depressione nei giovani adulti: il contributo delle convinzioni di autoefficacia emotiva e interpersonale, in “Psicologia della Salute”, n. pag. 85 – 101, 2007.
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