La psicologia positiva è un movimento nato nell’ambito delle scienze psicologiche durante gli anni ‘90 partendo da studi e ricerche sul benessere soggettivo. Dagli anni ‘90 ad oggi la psicologia positiva ha fornito rilevanti elementi innovativi nell’ambito della psicologia, sia in termini teorici che applicativi.
Nell’ambito della psicologia positiva si possono identificare due prospettive di base. Da una parte la prospettiva edonica in cui le ricerche e gli studi si focalizzano sull’analisi della dimensione del piacere, inteso come “benessere prettamente personale e legato a sensazioni ed emozioni positive” (Kahneman, Diener, & Schwarz, 1999). Dall’altra, la prospettiva eudaimonica che si focalizza sullo studio dei fattori che promuovono le potenzialità, la realizzazione personale e lo sviluppo dell’individuo. Inoltre, la prospettiva eudaimonica si focalizza anche sulla relazione tra benessere del singolo individuo e sviluppo della collettività.
Origini della psicologia positiva
Tra i principali esponenti responsabili della nascita del movimento della psicologia positiva, è fondamentale citare Martin Seligman.
La psicologia positiva nasce dagli studi di Seligman sull’impotenza appresa (1975), termine che si riferisce“all’abitudine di interpretare sempre in maniera negativa ciò che succede, al punto che pensiamo di non essere abbastanza capaci di affrontare la maggior parte delle cose che accadono nella nostra vita e non tentiamo pertanto nemmeno di affrontarle”. Questa modalità si lega molto al pensiero pessimistico, che è spesso tipico di coloro che attribuiscono le cause dei propri fallimenti a se stessi, e che quindi molto frequentemente incappano in stati depressivi. Seligman perciò si è chiesto se la stessa catena cognitiva di cause non potesse essere ribaltata sul versante positivo .
Quando parla di salute positiva, che ha come paradigma fondante la salute mentale dell’individuo, egli si riferisce non tanto all’assenza di malattia, ma ad una condizione caratterizzata dal provare emozioni positive, dall’avere degli impegni finalizzati al raggiungimento di obiettivi positivi, dall’essere in grado di relazionarsi positivamente con l’alterità (Seligman, 2008). Il benessere provato, frutto della salute mentale sopra delineata, incrementa infatti la longevità degli individui e migliora il loro invecchiamento, migliora la prognosi delle malattie, riduce l’entità delle spese sanitarie affrontate dagli Stati.
Il valore delle risorse e la fiducia nelle potenzialità dell’individuo
A differenza di modelli teorici e contributi empirici in cui si pone al centro la patologia, la deficitarietà e la disfunzionalità nel funzionamento mentale e psicologico, la psicologia positiva sottolinea fortemente il ruolo delle risorse positive e delle potenzialità dell’individuo. Di conseguenza, si assiste a un forte cambiamento di paradigma che a livello applicativo si traduce con la messa a punto di programmi psicologici finalizzati allo sviluppo delle potenzialità, delle risorse, degli aspetti funzionali e delle abilità dell’individuo, più che alla cura degli aspetti deficitari. In tal modo, la psicologia positiva diviene un movimento che entra in contatto sia a livello teorico che a livello applicativo con l’area della psicologia clinica, della psicologia scolastica-educativa, nonché della psicologia sociale e delle organizzazioni.
Alcuni costrutti fondamentali definiti e studiati dalla psicologia positiva sono ad esempio la speranza, l’ottimismo, la felicità, il benessere soggettivo e il concetto di “flow”.
- Speranza e ottimismo
La speranza può essere definita come uno stato di motivazione positiva, basato su tre componenti, ovvero obiettivi da raggiungere, strategie per il raggiungimento degli obiettivi e motivazione a raggiungerli (Snyder e al., 1991). La speranza può essere misurata con la Hope Scale, messa a punto da Snyder e al. (1996). Questa scala è composta da 12 items, costituiti da affermazioni a cui l’intervistato deve rispondere con dei numeri che vanno da 1 (completamente falso) ad 8 (completamente vero). Alti punteggi indicano che la persona ha un alto livello di speranza.
L’ottimismo, invece, può essere indicato come la tendenza a credere che si possano raggiungere dei risultati positivi, piuttosto che negativi (Scheier e Carver, 1985). Perché ci possa essere ottimismo, è necessario avere un’aspettativa positiva nei confronti del futuro (Carver e al., 2010). L’ottimismo determina nell’individuo degli atteggiamenti proattivi finalizzati alla protezione della sua salute, cosa che non si verifica nel soggetto pessimista (Carver e al., 2010).
Nell’ambito dell’ottimismo, gli eventi stressanti e la loro durata rivestono sicuramente un ruolo fondamentale. A questo proposito le ricerche di Cohen e al. (1999) e Segerstrom (2005) hanno dimostrato che quando gli eventi stressanti sono di breve durata (meno di una settimana) l’ottimismo funge da barriera protettiva nei loro confronti; ciò non si verifica, invece, quando i fattori stressanti sono di lunga durata: in questo caso, anche le persone ottimiste diventano immunologicamente più vulnerabili. In generale,gli studi mostrano che chi è pessimista ha una salute fisica più scadente, una tendenza maggiore a soffrire di depressione, un incremento dei fattori di rischio relativi alla mortalità, condizioni che non sembrano riguardare le persone ottimiste, che vivono più a lungo e hanno una migliore qualità della vita (Urcuyo e al., 2005).
L’ottimismo può essere misurato con il Life Orientation Test (LOT), messo a punto da Scheier e Carver nel 1985. Si tratta di un questionario composto da 12 items volti a misurare l’orientamento di vita, ovvero se le persone percepiscono la loro vita in termini positivi o negativi.
Il pensare positivo ma in modo realistico va sotto il nome di ottimismo flessibile (Seligman, 1990) ed è la capacità di scegliere il modo in cui esaminare le avversità, l’essere in grado di sapere in quali circostanze è opportuno avvalersi del pensiero ottimista senza per questo abbracciare la prospettiva di un cieco ottimismo. L’ottimismo flessibile si può quindi considerare una sorta di equivalente positivo del concetto stesso di impotenza appresa, perché anch’esso si può imparare attraverso l’allenamento all’utilizzo di spiegazioni positive dei propri eventi di vita ma, al tempo stesso, realistiche.
Da tempo, diversi studi hanno messo in evidenza l’impatto positivo che la speranza e l’ottimismo, fra i costrutti fondamentali della psicologia positiva, hanno sulla salute fisica dell’individuo (Schiavon, Marchetti, Gurgel, Busnello e Reppold, 2017).
L’ottimismo svolge un ruolo positivo in molte malattie croniche. DuBois e al. (2012) sottolineano che esistono delle evidenze relative all’associazione fra ottimismo e prognosi migliore nelle malattie cardiache. In questo ambito, l’ottimismo è associato ad un miglioramento delle condizioni cardiache (Shepperd e al., 1996), ad una minore probabilità di ricovero per patologie cardiache (Scheier e al., 1999), ad una riduzione del rischio di malattia coronarica nella popolazione anziana (Kubzansky e al., 2001) e ad una diminuzione della mortalità per cause cardiovascolari negli anziani (Giltay e al., 2004). Relativamente al cancro, l’ottimismo aumenta l’aspettativa di vita nei pazienti con tumore cerebrale e con neoplasie localizzate nel distretto del collo (Allison e al, 2003). L’ottimismo, inoltre, svolge un ruolo positivo nei malati di sclerosi multipla, determinando una variazione positiva nel vissuto psicologico e un miglioramento delle condizioni fisiche (Hart e al., 2008). Importante è anche l’impatto positivo che l’ottimismo ha nella colite ulcerosa (Flett, 2011). Nel controllo del peso, le persone ottimiste sono più propense ad adottare i cambiamenti salutari che servono a riportare l’Indice di Massa Corporea (BMI) nella norma (Boehm e al., 2013).
In rapporto alla speranza, le persone che nutrono speranza hanno una minore probabilità che possa essere loro diagnosticata un’infezione dell’apparato respiratorio (Richman e al., 2005). Negli individui che sono sottoposti a trattamenti riabilitativi a lungo termine, la speranza permette una buona adesione alla riabilitazione e l’abbandono di abitudini nocive nel campo della salute (Halding e Heggdal, 2012). Altri benefici effetti della speranza sono stati trovati nelle malattie croniche di natura mentale: infatti, Waynor e al. (2012) hanno dimostrato che la speranza è inversamente proporzionale alla ricomparsa di sintomi.
- Il concetto di flow
Il concetto di flow è stato introdotto per la prima volta da Csikszentmihalyi (1975), uno psicologo americano che, a partire dagli anni ’70, ha svolto una serie di ricerche sul “flusso di coscienza” come fenomeno riscontrabile in determinate condizioni di operatività.
L’attenzione per questo fenomeno nasce da uno studio effettuato sulla creatività (Getzels & Csikszentmihalyi, 1976), che ha portato l’autore a rimanere colpito dal fatto che quando l’artista in questione reputava che la creazione del suo quadro stesse andando bene, egli persisteva nel lavoro senza sosta, ignorando fame, fatica e disagio. Da qui l’interesse a capire e spiegare questo aspetto di motivazione intrinseca, o autotelica, dell’attività stessa, dello svolgere lavori che premiano da sé e per sé, a prescindere dal prodotto finale o da eventuali rinforzi estrinseci. In questo studio si sottolineava il godimento quale motivazione principale all’operosità. Csikszentmihalyi (1975) ha così concettualizzato il termine flow come uno stato psicologico soggettivo di massima positività e gratificazione, che può essere vissuto durante lo svolgimento di attività e che corrisponde alla “completa immersione nel compito”. La situazione che rende possibile entrare a contatto con questo stato di essere è caratterizzata dalla percezione, da parte dell’individuo, di sufficienti e appropriate opportunità per l’azione (sfide) da parte dell’ambiente e, corrispettivamente, di personali adeguate capacità di agirvi (abilità). Entrare nel flusso dipende, quindi, dall’equilibrio tra queste due componenti, valutate soggettivamente.
Nel caso il soggetto consideri le sfide al di là delle proprie capacità, entrerà in uno stato dapprima di vigilanza e poi di ansia; nel caso contrario, passerà dal rilassamento alla noia. Quando invece percepirà armonia tra i livelli di sfide e abilità, allora potrà esperire la flow experience, l’esperienza ottimale, sperimentando il pieno assorbimento in un’esperienza che coinvolge l’individuo globalmente, concentrando nel compito aspetti cognitivi, emotivi e comportamentali. La totale armonia con quello che si sta facendo non solo porta al godimento puro, ma offre la possibilità di accrescere le proprie capacità, mettendosi in gioco, testando e imparando nuove competenze, e la propria autostima (Csikszentmihalyi e LeFevre, 1989). L’esperienza ottimale attiva il flusso dinamico di energia mentale che attiva risorse e potenzialità dell’individuo.
Sono stati svolti diversi studi che confermano l’occasione di vivere la flow experience in diversi campi, ad esempio nell’arte e nella scienza (Csikszentmihalyi, 1996), nell’esperienza estetica (Csikszentmihalyi e Robinson, 1990), nello sport (Jackson, 1995) o nella scrittura letteraria (Perry, 1999). È comunque possibile ritrovare esperienze ottimali in altri ambiti comuni e quotidiani, essendo questa relativa a valutazioni soggettive e, quindi, a caratteristiche personali di approccio all’ambiente, dipendenti anche dal contesto culturale in cui si trova la persona. A tal proposito, Csikszentmihalyi (2000) ha ipotizzato l’esistenza di un tipo di personalità autotelica, caratterizzata dalla tendenza a “godersi la vita”, ovvero a fare le cose per se stesse, e da alcune capacità metacognitive, quali ad esempio la curiosità e la disposizione a prestare attenzione a ciò che accade nell’immediato, che portano a ricercare e cogliere le occasioni intrinsecamente appaganti.
Sono stati poi delineati i fattori, in stretta correlazione tra loro, che costituiscono la flow experience (Nakamura e Csikszentmihalyi, 2002):
– bilanciamento tra sfida e abilità: senso che l’individuo si sta impegnando in qualcosa di appropriato per le proprie capacità; – fusione tra azione e consapevolezza;
– senso di controllo, sia delle proprie azioni, sia delle conseguenze di esse
– obiettivi prossimali chiari e feedback immediato che permettono lo svolgersi continuo del processo, momento per momento; – attenzione e concentrazione totale sul compito
– perdita dello stato di autocoscienza ordinario, perdita, cioè, della concezione egocentrica di sé come attore tanto è l’assorbimento nel compito
– distorsione della normale percezione temporale (tipicamente sembra che il tempo passi più in fretta)
– gratificazione legata all’esperienza stessa e profondo senso di piacere (Deci, 1975), tali che spesso la meta finale è solo una scusa per iniziare il compito (esperienza autotelica)
Quando è nel flusso, l’individuo funziona a pieno delle sue capacità. Imparare a cogliere e sfruttare opportunità di esperienze ottimali porta quindi numerosi vantaggi, quali l’attivazione e lo sviluppo di capacità personali e l’assaporare uno stato di benessere collegato a forti emozioni positive e a un senso positivo di autostima e autoefficacia. Aggiungendo, per ultimo ma non meno importante, il peculiare contributo nel dotare di valore l’esperienza momentanea che si sta vivendo.
Psicologia positiva e salute mentale
In termini applicativi, la psicologia positiva è una disciplina basata su emozioni positive e sulla capacità di rivalutare positivamente i propri vissuti. Non va confusa con il pensiero positivo, che invece è una visione sempre e comunque ottimistica di tutto ciò che ci circonda.
Gli interventi di psicologia positiva sono basati su esercizi e attività mirate alla valorizzazione degli aspetti positivi dell’esistenza e della propria persona, attraverso quelli che vengono chiamati punti di forza. Sono diverse le strategie terapeutiche che vengono proposte dalle teorie e ricerche della psicologia positiva, tra cui il far nascere e alimentare speranze (Snyder, Iliardi, Michael, Cheavans, 2000) o l’investimento sui punti di forza della persona, quali coraggio, abilità interpersonali, insight, ottimismo, autenticità, perseveranza, realismo, capacità di provare piacere, di riconoscere le responsabilità personali, le inclinazioni e le intenzioni future (Seligman, 2002).
In riferimento alla depressione, Seligman e collaboratori (2006) spiegano che la psicoterapia positiva si distingue dagli interventi standard per la depressione perché è volta ad aumentare le emozioni positive, coinvolgere i punti di forza individuali nelle proprie esperienze di vita e attribuire significato alla propria vita considerando se stessi come riflesso della società in cui si vive.
I ricercatori hanno riscontrato che, con persone affette da depressioni gravi, gli effetti degli esercizi di psicologia positiva possono portare a risultati straordinari. In particolare, nel primo di due studi preliminari è emerso che la psicoterapia positiva praticata su gruppi ha ridotto significatamente i livelli di depressione, da profonda a moderata, dopo 1 anno di follow up. Nel secondo studio la psicoterapia postiva su singoli pazienti con disturbo depressivo maggiore ha prodotto una remissione molto maggiore rispetto al risultato ottenuto da trattamenti che seguono i protocolli standard o che prevedono anche l’assunzione di farmaci (Seligman et al., 2009).
Anche Sin e Lyubomirsky (2009) hanno condotto una meta-analisi attraverso gli studi sugli interventi positivi: i risultati combinati di 49 studi hanno rivelato che gli interventi positivi aumentano significativamente il benessere e i risultati combinati di 25 studi mostrano che gli interventi positivi sono anche efficaci per trattare i sintomi depressivi.