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Le quattro premesse della teoria sterniana dell’esperienza – la distinzione tra forma e contenuto dell’esperienza e l’intersoggettività

Un'attenta analisi delle tesi della teoria sterniana sulla distinzione tra forma e contenuto dell'esperienza e sull'intersoggettività

Di Giovanni Casartelli

Pubblicato il 09 Apr. 2020

Aggiornato il 16 Apr. 2020 10:05

Stern propone una distinzione tra forma e contenuto dell’esperienza. Questa separazione costituisce una delle più importanti novità del suo pensiero e giocherà un ruolo fondamentale nella Teoria del cambiamento.

Il presente contributo è il terzo di una serie di articoli sull’argomento. Nel primo articolo è stata approfondita la Tesi della stratificazione dell’esperienza di Stern, mentre nel secondo si è parlato della Tesi della frattura tra esperienza esplicita ed implicita. Il successivo articolo verrà pubblicato nei prossimi giorni 

Tesi della distinzione tra forma e contenuto dell’esperienza

La terza tesi, che mi accingo ad esporre, è forse quella che caratterizza maggiormente il pensiero di Stern. Si tratta della distinzione tra il contenuto dell’esperienza e la su forma. Per comprendere tale distinzione è necessario partire dal concetto di movimento, uno dei concetti che stanno alla base dell’ultima fase del pensiero di Stern, senza il quale è impossibile comprendere il senso delle sue riflessioni. Il movimento è per Stern ciò che caratterizza la vitalità, proprietà del mondo degli esseri animati. Esso permea sia il mondo fisico, sia la mente. L’intero mondo dei viventi, ma in particolare per Stern, il corpo umano è in continuo movimento, esso non può fare a meno di muoversi anche nei momenti in cui diciamo che è fermo (si pensi per esempio al battito cardiaco). Tale movimento può essere descritto attraverso le su proprietà dinamiche, che Stern riassume nei concetti di “movimento”, “tempo”, “forza”, “spazio”, “intenzione” (o “direzionalità”).

Anche gli stati mentali secondo Stern sono dotati di movimento, essi insorgono, permangono e svaniscono attraverso un profilo dinamico che varia di volta in volta. Possono giungere all’improvviso, svanire lentamente, durare tanto o poco, avere un andamento a salti, essere più o meno intensi e così via. L’insieme di queste proprietà dinamiche è ciò che Stern intende per “forma” della nostra esperienza. Vi sarà una forma dei nostri stati mentali e una forma del nostro comportamento fisico.

Il contenuto del nostro comportamento corrisponde, invece, a “ciò che stiamo facendo”, mentre il contenuto degli stati mentali è chiaramente “ciò che stiamo percependo, immaginando, provando…ecc.”. Vi sono dunque una forma e un contenuto degli stati mentali e una forma e un contenuto del nostro comportamento.

Forma e contenuto sono tra loro indipendenti. Può variare la forma e mantenersi costante il contenuto o viceversa. Per esempio posso provare rabbia in modo improvviso e intenso, oppure in modo lieve e continuo ecc. Oppure, sul piano del comportamento, posso alzare una mano lentamente, a scatti, con forza, debolmente…ecc. In questi esempi abbiamo mantenuto costante il contenuto e fatto variare la forma. Vediamo l’opposto. Posso avere una rabbia che cresce velocemente, oppure una gioia che cresce velocemente; posso alzare una mano lentamente oppure alzare una gamba lentamente.

Tra la forma degli stati interni e la forma del comportamento vi è un rapporto di espressione e in tal senso la dinamica del nostro pensiero si esprime nella dinamica del nostro agire. Tale rapporto di espressione consente anche la lettura della forma degli stati interni altrui attraverso la percezione del movimento del loro corpo, senza la necessità di eseguire inferenze di tipo cognitivo.

Stern ha introdotto il concetto di forma dinamica degli stati interni sin dal 1985 e nel corso degli anni ha variato i termini con i quali vi si è riferito: ne Il mondo interpersonale del bambino (1985) usa il termine “affetti vitali”, ma in altri lavori troviamo anche espressioni come “forme affettive temporali”, “profili affettivi temporali”, “involucri protonarrativi”, “profili vitali”. Nel 2010 egli intitola il suo ultimo lavoro, dedicato proprio alla forma dell’esperienza, Le forme vitali.

La separazione tra forma e contenuto dell’esperienza costituisce una delle più importanti novità del pensiero di Stern e, come vedremo, giocherà un ruolo fondamentale nella Teoria del cambiamento che esporrò nell’ultima parte di questo articolo.

Tesi dell’intersoggettività

La tesi dell’intersoggettività rappresenta la posizione che Stern assume nel panorama delle teorie della cognizione sociale. L’attuale disputa filosofica vede sostanzialmente due principali posizioni opposte: da un lato i sostenitori della “Teoria della teoria della mente” (TT) e dall’altro i sostenitori della “Teoria della simulazione della mente” (ST). Per i primi la lettura degli stati mentali altrui avviene attraverso, appunto, una teoria che consiste in un procedimento inferenziale alla migliore spiegazione che partendo dall’osservazione del comportamento degli altri conclude circa gli stati mentali che lo hanno provocato. Ecco come Gallagher e Zahavi spiegano tale posizione.

In generale, comunque, la TT pensa che comprendere le creature dotate di mente (che si tratti di noi stessi e degli altri) è un’operazione di natura teorica, inferenziale e quasi-scientifica. L’attribuzione di stati mentali è vista come un’inferenza alla migliore spiegazione e predizione dei dati comportamentali, e si sostiene che gli stati mentali sono entità inosservabili e postulate teoricamente. (S. Gallagher e D. Zahavi, La mente fenomenologica, cit. p. 261)

Il presupposto principale di tale teoria è l’idea che i nostri stati mentali e quelli degli altri non siano direttamente accessibili, né a noi né agli altri. A conferma di ciò riporto le parole di Leslie sostenitore della TT.

Poiché gli stati mentali degli altri (e anche i nostri, infatti) sono completamente nascosti ai sensi, possono solo essere inferiti. (A. M. Leslie, Children’s understanding of the mental world. In R. L. Gregory (a cura di), The Oxford Companion to the Mind. Oxford University Press, Oxford 1987, p.139)

Della Teoria della simulazione della mente (ST), invece, esistono due versioni: la teoria della simulazione esplicita e quella implicita. Alla base di entrambe vi è l’idea che la conoscenza degli stati mentali altrui avvenga attraverso una simulazione di essi nella nostra mente. Secondo la versione esplicita il processo di simulazione avviene attraverso l’immaginazione cosciente: è il soggetto che decide consapevolmente di mettersi nei panni dell’altro per poi leggere attraverso l’introspezione i propri stati e attribuirli all’altro. Ecco come Goldman (2005) esprime tale processo:

Prima di tutto, l’attributore crea in se stesso degli stati fittizi con lo scopo di corrispondere a quelli di colui che vuole comprendere. In altre parole, l’attributore tenta di mettersi nei “panni mentali” della persona di riferimento. Il secondo passo è di nutrire di questi stati fittizi iniziali (per esempio credenze) qualche meccanismo della psicologia dell’attributore stesso […] e consentire che tale meccanismo operi sugli stati fittizi così da generare uno o più stati (per esempio, decisioni). Terzo, l’attributore assegna alla persona lo stato generato […]. (A. Goldman, Imitation, mind reading and simulation. In Hurley, S., Chater, N. (a cura di), Perspectives on Imitation II. MIT Press, Cambridge 2005, MA, pp. 80-81)

Il presupposto fondamentale di questa versione della ST è che attraverso l’introspezione il soggetto possa cogliere i propri stati mentali.

La versione implicita della ST, invece, spiega la nostra capacità di leggere gli stati mentali altrui attraverso un meccanismo di simulazione implicito. In particolare, secondo la versione di Gallese, si tratta di un meccanismo subpersonale di rispecchiamento motorio possibile grazie alla presenza dei neuroni specchio: particolari neuroni che si attivano sia quando noi eseguiamo un’azione sia quando vediamo la stessa azione eseguita da un altro. In questo senso percepire il movimento del corpo altrui implica già il simulare dentro di noi le emozioni, le intenzioni e gli altri stati mentali che stanno alla base di quel comportamento. Ecco come Gallese spiega tale meccanismo:

Ogni volta che guardiamo qualcuno compiere un’azione, oltre all’attivazione di alcune aree visive, si assiste alla contemporanea attivazione di quei circuiti motori che entrano in gioco quando siamo noi stessi a compiere l’azione. […] Il nostro sistema motorio diventa attivo come se stessimo eseguendo quella medesima azione che stiamo osservando. […] osservare un’azione comporta simulare quell’azione […] il nostro sistema motorio comincia a simulare l’azione dell’agente osservato. (V. Gallese, The “shared manifold” hypothesis: From mirror neurons to empathy. In Journal of Consciousness Studies, 8 (2001), pp. 37-38)

Tale rispecchiamento avviene a nostra insaputa senza che sia necessario decidere di mettersi coscientemente nei panni dell’altro. L’unica condizione necessaria è che si percepisca in qualche modo il movimento del corpo altrui (anche solo il suono prodotto da una particolare azione può attivare la simulazione motoria). Di seguito le parole con cui Gallese spiega questo aspetto.

Ogni volta che affrontiamo situazioni nelle quali l’esposizione al comportamento altrui ci richiede una risposta, sia essa attiva o semplicemente di tipo attentivo, raramente ci impegniamo in un atto interpretativo esplicito e deliberato. La nostra comprensione della situazione per la maggior parte del tempo è immediata, automatica e quasi come un riflesso. (V. Gallese, “Being like me”: self-other identity, mirror neurons and empathy. In Hurley, S., Chater, N. (a cura di), Perspectives on Imitation I. MIT Press, Cambridge 2005, MA, p. 102)

La versione della ST implicita è proprio la posizione sposata da Stern. Essa pur non esaurendo la sua teoria dell’intersoggettività ne costituisce una fondamentale premessa.

Vediamo ora di ricostruire tale tesi attraverso le parole di Stern.

Noi siamo in grado di “leggere” le intenzioni degli altri e di sentire nel nostro corpo le loro stesse sensazioni ed emozioni. E ciò non in qualche forma mistica, ma osservandone il volto, i movimenti e la postura, ascoltandone il tono della voce, e rilevando il contesto presente del loro comportamento. (D. N. Stern, Il momento presente in psicoterapia e nella vita quotidiana, cit. p. 63)

osservando le espressioni facciali, la postura e movimenti degli altri, possiamo sperimentare all’istante qualcosa di assai simile a ciò che essi stanno provando. […] Le espressioni affettive raccontano i nostri pensieri e le nostre esperienze. Lo stesso vale per i gesti e i movimenti degli altri: possiamo sentire noi stessi muoverci in quel modo. Lo sentiamo nel nostro corpo e lo percepiamo nella nostra mente, insieme. (Ivi, p. 64)

È interessante sottolineare come in questi passaggi si senta fortemente l’influsso delle nuove scoperte neuroscientifiche. Ecco la conferma di ciò in un passo tratto da Stern (2004).

Il nostro sistema nervoso è costruito per “agganciarsi” a quello degli altri esseri umani, in modo che possiamo fare esperienza degli altri come se ci trovassimo nella loro stessa pelle. Disponiamo di una sorta di canale affettivo diretto con i nostri simili, che ci consente di entrare in risonanza con loro, di partecipare alle loro esperienze e di condividere le nostre. (Ibidem)

In questo ultimo passaggio, Stern fa chiaramente riferimento al meccanismo implicito di rispecchiamento neurale che sta alla base della relazione interpersonale, possibile grazie alla presenza dei neuroni specchio.

Nel rifiutare il modello di cognizione sociale di stampo cognitivista (TT), Stern abbraccia ancora una volta alcune tesi del pensiero fenomenologico. Con il noto concetto di “mente incarnata” tale corrente filosofica mina alla base una convinzione che da Cartesio è giunta sino a noi e che ancora echeggia in alcuni ambiti della nostra cultura, mi riferisco alla distinzione sostanziale tra mente e corpo. L’isolamento della mente dal corpo fa degli stati mentali un fatto privato, non visibile dall’esterno e conoscibile solo attraverso un’ipotesi probabilistica effettuata per mezzo di un’inferenza cognitiva. Il concetto di “mente incarnata” invece rende il mentale presente e “visibile” nel corpo e quindi condivisibile a livello implicito e immediato nella relazione interpersonale.

Stern, però, sembra volersi spingere ancora oltre. A suo parere i dati neuroscientifici relativi ai meccanismi di rispecchiamento motorio non sono ancora sufficienti per giustificare un’importante caratteristica dell’intersoggettività: la bidirezionalità.

I dati emersi fin qui sembrano applicarsi a un’intersoggettività di tipo unidirezionale (“Io so che cosa stai provando”), ma che dire dell’intersoggettività vera e propria, bidirezionale? Ci troviamo di fronte a un’evidente ridondanza (“Io so che tu sai che io so che cosa stai provando”, e viceversa), che richiede un passo ulteriore. Forse i meccanismi di cui abbiamo parlato finora non sono sufficienti in questo caso. (Ivi, p. 68)

Non solo noi siamo in grado di “leggere” le menti degli altri attraverso un processo di simulazione implicito, ma avvertiamo anche e contemporaneamente che l’altro colga questa nostra lettura su di lui.

Perché vi sia piena intersoggettività bidirezionale, occorrono almeno due “letture” dell’altro. La prima consiste nel conoscere l’oggetto dell’esperienza dell’altro; la seconda, nel conoscere il modo in cui l’altro sta facendo esperienza della nostra esperienza di lui. (Ibidem)

Percepire l’altro di fronte a noi è già, immediatamente, simulare in noi i suoi stati mentali avendo contemporaneamente la conferma implicita che egli avverta questa condivisione. Questo è quello che Stern chiama bidirezionalità dell’intersoggettività.

La teoria dell’intersoggettività sterniana, tuttavia, non è ancora completa. Stern infatti non solo ammette la possibilità di una condivisione diretta, implicita e bidirezionale degli stati mentali, ma vuole giungere persino a mettere in discussione la “proprietà” stessa di questi stati.

Da queste considerazioni emerge un modo intersoggettivo, nel quale le nostre menti non sono più così indipendenti, separate e isolate, in cui non siamo più i signori e custodi della nostra soggettività. (Ivi, p. 64)

Un conto è ammettere che i miei stati mentali siano condivisibili con i tuoi e un conto è affermare che gli stati mentali non siano né miei né tuoi, ma originariamente nostri. Secondo Stern, infatti, non vi sono stati mentali che inizialmente appartengono ad un soggetto e che in un secondo tempo condividerà con gli altri, ma vi è una vera e propria co-creazione degli stati mentali.

[…] la differenza tra ciò che è nostro e ciò che appartiene agli altri non sempre è così netta. Tutto quanto pensiamo, sentiamo e desideriamo è influenzato dai pensieri, dai sentimenti e dalle intenzioni che percepiamo negli altri, in un dialogo incessante (reale o virtuale). (Ivi, p. 65)

In breve la nostra vita mentale è frutto di una co-creazione, di un dialogo continuo con le menti degli altri, che io chiamo matrice intersoggettiva. (Ivi, p. 64)

Tale convinzione, che potremmo definire del “primato dell’intersoggettività sulla soggettività”, costituisce un’inversione di ciò che sostiene il senso comune. Al modello di pensiero secondo il quale un individuo forma dei propri stati mentali e in un secondo tempo, eventualmente, li esprime, condividendoli con gli altri, Stern oppone l’idea che l’intersoggettività preceda la soggettività e ne costituisca una condizione necessaria. In questa prospettiva, la soggettività dell’individuo si forma grazie alla co-creazione di una mente condivisa ed in seguito ad essa.

In passato, eravamo soliti pensare all’intersoggettività come a una sorta di epifenomeno che si manifesta occasionalmente quando due menti separate e indipendenti interagiscono. Ora è giunto il momento di considerare la matrice intersoggettiva, nella nostra visione della cultura e della psicoterapia, come il crogiolo imprescindibile da cui evolve la mente dell’individuo.

Le due menti creano l’intersoggettività e l’intersoggettività modella le due menti. Il centro di gravità si è spostato dall’intrapsichico all’intersoggettivo. (Ivi, p. 66)

L’idea di una mente senza confini, quasi collocata in un luogo neutrale rispetto ai soggetti implicati, in Stern, può reggere solo se accostata alla tesi di una precoce e definitiva differenziazione che si gioca a livello nucleare. Secondo Stern, infatti, il bambino dopo i due mesi percepisce già sé stesso e la madre come due entità fisiche distinte e questo traguardo segna la comparsa del senso del Sé nucleare che non abbandonerà più il bambino per tutta la sua vita. Tale tesi sullo sviluppo contraddice una convinzione del modello psicoanalitico di Mahler e colleghi (Mahler, Pine, Bergman, 1975) secondo la quale il bambino vivrebbe gran parte dell’infanzia sprofondato prima in uno stato di indifferenziazione, detto di autismo normale, e poi in un rapporto simbiotico con la madre. Sempre secondo questo modello egli uscirà da tale stato di simbiosi attraverso un processo di differenziazione e ricerca di un’autonomia. Secondo la teoria di Stern invece la percezione del bambino di una differenziazione fisica con la madre inizia proprio nei primissimi mesi di vita. Solo sulla base di tale separazione fisica può innestarsi la condivisione mentale descritta sopra. Le due prospettive, quella psicoanalitica e quella sterniana, vedono il bambino, nello stesso periodo dello sviluppo, impegnato in due compiti opposti: per la psicoanalisi egli è in una fase di separazione e differenziazione, per Stern è invece in una fase di fusione mentale che avviene attraverso una condivisione intersoggettiva degli stati mentali.

La co-creazione di una mente condivisa che precede la soggettività del singolo è chiamata da Stern “matrice intersoggettiva”. Ecco le parole di Stern.

Viviamo circondati dalle intenzioni, dai sentimenti e dai pensieri degli altri, che interagiscono con i nostri, al punto che la differenza tra ciò che è nostro e ciò che appartiene agli altri non sempre è così netta. […] In breve, la nostra vita mentale è frutto di una co-creazione, di un dialogo continuo con le menti degli altri, che io chiamo matrice intersoggettiva. (Ivi, p. 65)

Infine, per completare la tesi dell’intersoggettività sterniana è necessario soffermarsi su un ultimo aspetto. L’intersoggettività secondo Stern non è solamente una condizione necessaria allo sviluppo dell’umanità di un individuo, ma costituisce propriamente un sistema di motivazione fondamentale, al pari del sesso e dell’attaccamento.

L’intersoggettività è condizione di umanità. La tesi […] è che sia inoltre un sistema motivazionale innato ed essenziale alla sopravvivenza della specie, con uno status comparabile al sesso o all’attaccamento. (Ivi, p. 81)

Perché si possa parlare di sistema motivazionale di base è necessario che si tratti di una tendenza innata e universale degli individui di una specie che ne favorisca la sopravvivenza e che abbia un canale preferenziale per l’organismo. Deve essere inoltre possibile una regolazione di essa in base alle necessità. L’intersoggettività contribuisce alla sopravvivenza della specie attraverso la formazione di gruppi, il loro funzionamento e la loro coesione. Quello di un riscontro intersoggettivo che consenta una condivisione dei propri stati mentali è un bisogno fondamentale che ogni uomo cerca di soddisfare sin dai primi giorni di vita. La prima forma di intersoggettività, detta “intersoggettività primaria” (Trevarthen, 1974, 1979, 1980, 1988, 1993, 1999; Trevarthen, Hubley, 1978) compare già nel primo mese di vita, mentre una seconda forma, detta “intersoggettività secondaria” comparirà dopo i nove mesi. Questo fa pensare che si tratti di un’esigenza innata. Circa la sua universalità, Stern si limita ad osservare quanto segue:

[…] non riesco ad immaginare una società in cui questa capacità non venga usata, in qualche modo, a fini adattivi. (Ibidem)

Infine, l’intersoggettività è regolabile ai fini di evitare due pericolosi estremi: la solitudine cosmica e la fusione che implica il disfacimento del sé.

Il sistema motivazionale intersoggettivo regola la zona di benessere intersoggettivo compresa tra i due poli. (Ibidem)

In conclusione riporto le parole di Stern che indicano in modo chiaro il ruolo che egli attribuisce al fenomeno dell’intersoggettività ed in generale alla relazione interpersonale nell’economia dell’esistenza di un individuo.

In un certo senso, abbiamo bisogno di incontrare lo sguardo dei nostri simili per formarci come individui e mantenerci tali. (Ibidem)

 

Leggi gli altri articoli sull’argomento:

  1. Le quattro premesse della teoria sterniana dell’esperienza e la teoria del cambiamento come diretto corollario – Pubblicato su State of Mind il 26 Marzo 2020
  2. Le quattro premesse della teoria sterniana dell’esperienza – la frattura tra esperienza esplicita ed implicita – Pubblicato su State of Mind il 02 Aprile 2020
  3. Le quattro premesse della teoria sterniana dell’esperienza – la distinzione tra forma e contenuto dell’esperienza e l’intersoggettività – Pubblicato su State of Mind il 09 Aprile 2020
  4. Le quattro premesse della teoria sterniana dell’esperienza – la teoria del cambiamento come diretto corollario – Pubblicato su State of Mind il 16 Aprile 2020

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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