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La psicoterapia sistemica: origini e sviluppi – Introduzione alla Psicologia

Psicoterapia sistemica: oggi l’impostazione del gruppo di Milano consiste nell'accogliere empaticamente la sofferenza di famiglie ma anche si di singoli

Di Francesca Fiore

Pubblicato il 25 Lug. 2019

La psicoterapia sistemica, definita anche sistemico-relazionale o familiare, nasce intorno agli anni ’50 negli Stati Uniti d’America.

Realizzato in collaborazione con la Sigmund Freud University, Università di Psicologia a Milano

 

Secondo tale approccio l’individuo è considerato come parte di un sistema di relazioni significative, verificatesi durante l’arco di vita.

Quindi un problema psichico è contestualizzato rispetto alle esperienze relazionali passate e attuali dell’individuo. Lo scopo della psicoterapia sistemico relazionale è trovare modalità relazionali alternative e più funzionali con il sistema di appartenenza, sia esso familiare o amicale.

Psicoterapia sistemica: la storia

La psicoterapia sistemica origina dalla più generica teoria dei sistemi, derivante dal pensiero di matematici, fisici e ingegneri e nasce sul finire degli anni ‘40.

Questa teoria è stata rielaborata e ampliata da Ludwing von Bertalanffy e fu considerata comune a tutte le discipline scientifiche, poiché definiva esplicitamente i concetti di apertura e chiusura dei sistemi viventi, di omeostasi, auto-regolazione e di equifinalità, ovvero una serie di concetti che sono alla base della regolazione di ogni sistema. La comunicazione e l’autoregolazione erano considerate le unità operative dei sistemi, grazie alle quali le informazioni del passato sono riportate nel sistema per influire sul futuro. Questo processo definito retroazione autocorrettiva fu denominato da Norbert Wiener “cibernetica” che risulta essere costituita da una serie di meccanismi volti al raggiungimento del comportamento finalizzato.

Più tardi, Gregory Bateson, antropologo, dopo aver studiato la cibernetica pensò che potesse usarla per descrivere le interazioni umane. Egli, partendo da questo presupposto, osservò che la società conteneva due tipi di forze: una centrifuga in cui gli schemi di progressivo antagonismo portano alla rottura all’interno di un gruppo e l’altra centripeta di adattamento, che porta al compromesso e alla coesione sociale.

Ogni parte del sistema rispondeva all’altra, grazie alla messa in atto di forze che portavano all’equilibrio dinamico o omeostatico.

Terapia sistemica: la scuola di Palo Alto

Bateson ottenne dei fondi che gli permisero di portare a termine la ricerca sui processi della comunicazione familiare e fondò la scuola di Palo Alto. Questa scuola ebbe il merito di riuscire a spostare lo studio sui processi psicologici partendo dai contenuti e il sistema famiglia era definito come una totalità, anziché come un agglomerato di individui. In questa ottica la famiglia era equiparata a un sistema cibernetico, che si autogovernava attraverso la retroazione negativa che consentiva di portare il sistema allo stato originario ogni volta che riceveva nuovi input volti allo sbilanciamento del sistema stesso. La famiglia, dunque, è un sistema omeostatico, avente autoregolazione automatica, che riduce qualsiasi deviazione dall’introduzione di nuove informazioni.

Nelle famiglie disfunzionali si ha uno sbilanciamento della comunicazione, che Bateson spiegò con la teoria del doppio legame.

Secondo la teoria del doppio legame si genera una comunicazione in cui si presenta una incongruenza tra il livello verbale e quello non verbale o analogico, che mette in discussione nettamente la comunicazione verbale. Quando questo tipo di comunicazione si genera tra due individui in cui uno si trova in una condizione di dipendenza psicologica dall’altro, come accade tra figli e genitori, e non ha quindi la possibilità di metacomunicare rispetto all’incongruenza comunicativa, si trova intrappolato in un doppio messaggio rispetto al quale ogni risposta è quella sbagliata: rispondere correettamente a uno dei due messaggi significherebbe rispondere in modo errato a quello sull’altro livello comunicativo; il risultato di questa comunicazione quindi è che qualunque risposta venga data è quella sbagliata. La vittima in questo caso si sente intrappolato in questo sistema e non riesce ad andare avanti. Secondo questa teoria il linguaggio dello schizofrenico sarebbe il risultato di un disperato tentativo di sottrarsi a questo tipo di comunicazione paradossale, che nelle famiglie altamente disfunzionali può essere continuo.

Psicoterapia sistemica: il modello Mental Research Institute

La scuola di Palo Alto, successivamente, sviluppò il modello Mental Research Institute di Terapia breve, costituito da al massimo 10 sedute. Esso si basava su una visione di causalità circolare secondo il quale il sintomo era letto all’interno di un contesto relazionale e uscire dal sintomo costituiva il problema. Di conseguenza l’obiettivo era rompere la rigidità del sistema per creare connessioni nuove e più funzionali. L’intervento era più centrato sul sintomo e sui comportamenti manifesti che sul funzionamento psichico che sottendeva il sintomo stesso. Lo scopo era risolvere il problema del paziente partendo dai tentativi infruttuosi di risolverlo.  Il terapeuta aiuta il paziente a raggiungere lo scopo attraverso una serie di interventi strategici attuati in breve tempo.

La cibernetica di primo e secondo ordine

La cornice teorica da cui derivava l’approccio Strategico-Sistemico del Mental Research Institute (MRI) era quello della cibernetica di primo ordine, basata sull’assunto che fosse possibile dividere quello che si osserva da chi lo osserva. In questo caso entrano in gioco i meccanismi di controllo, la retroazione negativa e i processi di riduzione della deviazione che riportano il sistema a una condizione di omeostasi. Il modello MRI di Palo Alto considerava solo la retroazione negativa e non operava una distinzione fra normalità e patologia, ma solo fra problema e soluzione. Il processo terapeutico era fondato su tecniche e strategie che interferivano con il circuito ricorsivo problema-soluzione, quindi permettevano una soluzione dei problemi presentati in un tempo breve, mentre l’orizzonte temporale era centrato sul tempo presente e sul tempo futuro.

Con il passaggio alla cibernetica di secondo ordine alla retroazione negativa, che mantiene l’omeostasi del sistema e gli conferisce una certa rigidità, viene introdotto il concetto di retroazione positiva grazie al quale i sistemi viventi, soprattutto quelli umani, sono in grado di evolvere grazie a comportamenti dinamici e nuovi, che aumentano la deviazione e sono in grado di superare l’omeostasi del sistema. Inoltre con la seconda cibernetica il soggetto conoscente/osservante diviene esso stesso oggetto di osservazione: il punto di vista di chi osserva è quindi a sua volta passibile di osservazione e per questo “relativo”, personale. La conoscenza non è più oggettiva, ma si realizza attraverso l’autoriflessività.

Terapia sistemica: la scuola di Milano

Il modello di psicoterapia sistemica della scuola di Milano, di Cecchin, Boscolo, Selvini-Palazzoli e Prata, si rifaceva all’approccio strategico-sistemico del MRI. Più tardi questo modello si è arricchito di contributi derivanti dal costruttivismo, della cibernetica di secondo ordine e dell’ermeneutica.

Nella prima fase, questo modello si basava su una visione di casualità circolare, all’interno del quale il sintomo era letto all’interno di un contesto relazionale dove i tentativi di soluzione al problema/sintomo venivano considerati un rinforzo al problema. Lo scopo era di rompere i pattern ripetitivi e rigidi cui il sintomo era connesso, utilizzando diversi comportamenti alternativi. Nella seconda fase, che ebbe inizio nel 1975, il pensiero del gruppo di Milano si modificò attraverso l’applicazione di nuove idee che portarono alla teorizzazione di nuovi assunti teorici. In particolare durante la seduta si formulavano ipotesi semplici basate su una visione lineare e causale del sintomo, che portava alla formulazione più generica di una ipotesi sistemica, ovvero lettura del sintomo nel sistema osservato.

Gli obiettivi della terapia non erano più i sintomi e i pattern comportamentali, ma le premesse epistemologiche e i sistemi di significato. Si procedeva, dunque, dal presente per giungere a una cornice di significato più ampia che comprendeva passato, presente e futuro.

La tecnica terapeutica diventava quella dell’esplorazione, dell’empatia, e dell’ascolto. Lo scopo della terapia era di aiutare i pazienti a riorganizzare i loro sistemi interni e il dialogo terapeutico diveniva una dialettica a tre: terapeuta, paziente e interiorizzazione delle relazioni con le persone più significative sia esse positive sia negative. Le nuove teorie si basavano sulla centralità del linguaggio, sull’ermeneutica e sul costruzionismo sociale, che avevano permesso di connettere l’individuo e il gruppo. Nel 1996 con Boscolo e Bertrando, il lavorare sistemico diventava un lavorare con il singolo e non più solo con la famiglia.

Inoltre, il gruppo di Milano comincia a usare la prescrizione, grazie alla quale si possono modificare le regole disfunzionali della famiglia sostituendole con altre regole più funzionali.

Oggi l’impostazione del nuovo gruppo di Milano (Matteo Selvini, Anna Maria Sorrentino, Stefano Cirillo) consiste nel privilegiare l’accoglienza della sofferenza e della richiesta di aiuto da parte della famiglia ma anche del singolo che presenta un disagio.

Psicoterapia sistemica: Andolfi e il trigenerazionale

Il modello sistemico familiare trigenerazionale fa riferimento al modello del ciclo vitale della famiglia. Esso deriva dalla famiglia d’origine, si ripresenta nei figli e poi nel legame di coppia.

Ogni fase richiede precisi compiti evolutivi e ha una certa stabilità strutturale, mentre nei periodi di transizione si verificano profonde trasformazioni psicologiche e strutturali. La riorganizzazione richiesta nel passaggio da una fase evolutiva ad un’altra avviene attraverso modelli trasmessi dalla famiglia d’origine, che consentono di legare ciascuna generazione alla successiva. La coppia è il perno centrale del sistema trigenerazionale. L’ alleanza tra i membri di una coppia si consolida grazie alla formazione di regole, che determinano la complicità di coppia e che dovrebbero sciogliere i vincoli di filiazione di ciascuno con le rispettive famiglie di origine, portando alla delimitazione di un confine di coppia.

Con la nascita dei figli si stabilisce un nuovo vincolo di filiazione che lega la nuova generazione alla precedente. Secondo la psicoterapia sistemico relazionale trigenerazionale la possibilità di separarsi/differenziarsi dalla famiglia d’origine è direttamente proporzionale alla possibilità di appartenere. Quindi, tutto ciò che impedisce l’incontro emozionale e la soddisfazione di bisogni fondamentali all’interno delle relazioni significative mantiene un legame con la generazione precedente e mina sia il senso di appartenenza che le possibilità di differenziazione dalla famiglia di origine.

In quest’ottica anche i problemi della coppia hanno sempre a che fare con difficoltà nei processi di differenziazione intergenerazionale, cioè con i processi incompiuti di appartenenza e separazione del singolo dalle famiglie di origine e di conseguenza con la difficoltà a stabilire un nuovo e funzionale vincolo di alleanza a livello di coppia.

Le relazioni triangolari influenzeranno anche gli altri sottosistemi familiari, amicali e professionali. La non differenziazione dalla famiglia di origine porterà, in un momento successivo del ciclo di vita dell’individuo, a uno spostamento sul partner della richiesta di soddisfacimento dei bisogni rimasti inappagati; quando questa richiesta di appagamento, inevitabilmente, fallirà l’ansia spingerà nuovamente alla ricerca di un’alleanza con i figli (triangolazione). Tutto questo porta alla formazione di sofferenza psichica.

La terapia:

L’approccio sistemico-relazionale può rivelarsi utile per le persone che ritengono avere delle difficoltà in specifici rapporti (di coppia, genitoriale, lavorativo, etc).

In particolare può rivelarsi utile al presentarsi di problematiche evolutive da parte dei bambini, adolescenti e giovani adulti. Il lavoro psicoterapeutico non è dunque prettamente rivolto al trattamento del sintomo presentato ma alle situazioni relazionali che lo hanno generato.

 

Realizzato in collaborazione con la Sigmund Freud University, Università di Psicologia a Milano

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RUBRICA: INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Andolfi, M. La terapia di coppia in una prospettiva trigenerazionale, A.P.F. , 2006
  • Canevaro, A. Nec sine te nec tecum vivere possum, In Andolfi M (a cura di) La crisi della coppia, in una prospettiva sistemico-relazionale, Raffaello Cortina, Milano, 1999
  • La coppia in terapia: la prosettiva trigenerazionale
  • Andolfi M, A Mascellani, Storie di adolescenza, Raffaello Cortina Editore, 2010
  • Bowen M, Dalla famiglia all’individuo, Astrolabio, Roma, 1979
  • Hoffman L, Principi di terapia della famiglia, Astrolabio, 1984
  • Minuchin S, Rosman B L, Baker L, Famiglie psicosomatiche, Astrolabio, 1980
  • La triangolazione all'interno della terapia:Terapia Sistemico-Trigenerazionale
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