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Patrick Melrose (2018): c’è vita oltre il sarcasmo

La storia di Patrick Melrose è una preziosa sintesi di come il trauma irrompe nella vita e nella mente di un bambino cambiandone la storia e le opportunità di crescita. L’alternanza narrativa tra presente e passato costituisce un breve compendio di psicotraumatologia che tutti i clinici dovrebbero conoscere.

Di Camilla Marzocchi

Pubblicato il 14 Nov. 2018

Ultima e incredibile interpretazione di Benedict Cumberbatch, Patrick Melrose (2018) è una miniserie britannica di 5 episodi, ispirata dal ciclo di racconti dello scrittore Edward St Aubyn, I Melrose.

 

Lo scenario dipinto è quello di una ricca famiglia inglese, rappresentante perfetta di una borghesia compita, elegante e dedita all’educazione umana e culturale dei figli, ma disturbata e segretamente tollerante verso gli abusi di un padre violento, le mancanze di una madre alcolista e depressa, le derisioni di un entourage affascinato dal potere, colluso con i carnefici e dedito al sarcasmo. Protagonista è Patrick, unico figlio ed erede diseredato, vittima delle torture psicologiche e della trascuratezza affettiva dei suoi genitori.

La doppia vita della famiglia Melrose, tra l’intellettuale messa in scena e il teatro orribile delle quinte domestiche, genera una costante emozione di sconcerto, incredulità, disgusto. Il muro della negazione è spiazzante, sminuisce ogni normale e umana reazione emotiva, ed è lo stesso muro che lascia sfumare la speranza e la fiducia nel mondo di Patrick, il bambino che in quello scenario deve lottare per la sua sopravvivenza. La morte del padre apre il racconto e lancia Patrick Melrose in un turbine di ricordi, emozioni e fantasmi che da solo non riesce ad affrontare.

Patrick Melrose: una preziosa sintesi umana e clinica di come il trauma irrompe nella vita

La traiettoria evolutiva di Patrick Melrose è una preziosa sintesi – umana e clinica – di come il trauma irrompe nella vita e nella mente di un bambino, cambiandone la storia e le opportunità di crescita in modo significativo. L’alternanza narrativa tra presente e passato costituisce un breve compendio di psicotraumatologia che tutti i clinici impegnati in questo campo dovrebbero conoscere e tenere ben in mente nel lavoro clinico quotidiano, poiché ogni elemento patologico del presente rivela una sua precisa ragione d’essere che solo alla fine – e solo resistendo all’umana repulsione per quello che si vede – può essere compresa.

Il presente del Patrick adulto è interpretato maestralmente da Benedict Cumberbatch, la sua mente è colonizzata da orribili flash back, allucinazioni, droghe, relazioni instabili, estrema frammentazione dell’identità e del senso del sé; il racconto del passato è affidato invece al giovanissimo Sebastian Maltz, che con il suo aspetto esile e inerme riesce a trasmettere la vita di bambino traumatizzato, vissuta in punta di piedi, nascosto negli angoli della casa, nell’impotenza dei silenzi, nella paura e nell’impossibilità di decifrare la realtà della sua famiglia.

Per ogni clinico esperto di trauma, tutta la sofferenza del Patrick adulto ha una chiara definizione diagnostica: Disturbo Post traumatico Cronico o Trauma complesso, con sintomi dissociativi. Per chiunque guardi il film è evidente come la sua sofferenza venga dal passato doloroso e dai traumi dell’infanzia, così come risulta chiaro che le sue uniche strategie di sopravvivenza siano state cucite negli anni sui modelli disfunzionali della sua infanzia, sua madre e suo padre: alcol, droghe, seduzione, disprezzo, prevaricazione, sarcasmo.

La complessità degli effetti del trauma sulla mente, già ampiamente discussi in precedenti contributi sul tema del trauma complesso e della dissociazione, è tuttavia solo una parte della storia. Quello che la storia racconta e denuncia con forza è tutto quello che ruota intorno al trauma e che ne impedisce una risoluzione, alla fine forse più semplice di quello che si pensi: riconoscere il vissuto di Patrick, offrirgli protezione, comprendere il suo dolore e permettergli di cambiare e diventare un adulto resiliente e forte, capace di essere un padre migliore del suo e di andare oltre le ferite del passato.

Nulla è possibile finché la barriera della negazione ostacola questo cambiamento. Tutto diventa possibile quando a Patrick è offerta una possibilità sicura di mettersi in salvo.

L’ARTICOLO CONTINUA DOPO IL VIDEO:

https://www.youtube.com/watch?v=JQh36eStMqk

Cosa ci insegna la storia di Patrick Melrose

La storia di Patrick Melrose non è dunque solo il racconto del suo malessere, ma è il racconto dei meccanismi più subdoli e inaccettabili della violenza domestica intrafamiliare, in cui il comportamento violento è solo la superfice di molte mancanze e inadeguatezze che ne facilitano la messa in atto da parte dei carnefici.

La segretezza è la prima: negare gli eventi, restare in silenzio, chiedere ai bambini abusati di mantenere la segretezza per avere salva la vita è la garanzia dei perpetratori per continuare ad esercitare il loro potere. Da adulti appare facile urlare, scappare via, chiedere aiuto, ma da piccoli la minaccia di un adulto stralcia ogni istinto di difesa. In ogni famiglia violenta il riconoscimento di quello che accade è l’unica via per interrompere la violenza, ma allo stesso tempo è l’elemento più grave di minaccia per la vita di tutti. Chiedere ad un bambino se è in pericolo potrebbe non ricevere la risposta utile a proteggerlo, osservarne invece i comportamenti incerti, lo sguardo spaventato, le abitudini bizzarre o la tendenza ad isolarsi può offrire le risposte che gli adulti hanno la responsabilità di accertare per comprendere cosa succede davvero nella sua famiglia.

La mancanza di protezione, e la conseguente collusione con il carnefice, è il secondo ostacolo all’interruzione della violenza. Eleanor, madre di Patrick – interpretata da una bravissima Jennifer Jason Leigh – non è abusante e risulta anzi spesso sensibile e consapevole della gravità della situazione, ma tuttavia l’alcol e la depressione la rendono cieca verso quello che accade e incapace di sintonizzarsi sui bisogni di Patrick, di difenderlo e men che mai di riconoscere i suoi segnali di stress. Il malessere della madre alimenta il senso di isolamento e abbandono, che lasciano in Patrick i segni di una profonda trascuratezza emotiva.

Questo elemento, spesso messo in secondo piano rispetto alla violenza attiva, crea in realtà il terreno più fertile per i carnefici: un bambino non protetto dagli adulti che ha intorno, è un bambino più vulnerabile e più incline a non chiedere aiuto in caso di bisogno. La responsabilità della non-protezione è cruciale, poiché toglie la speranza di essere ascoltati dall’unica fonte di sicurezza disponibile e questo distrugge la fiducia verso gli altri nel presente, così come nel futuro.

I segnali di malessere degli adulti, uomini o donne che siano, vittime di violenza domestica vanno colti e ascoltati, per aiutare tutte le vittime a restare adulti capaci di proteggere se stessi, i loro figli e di interrompere il circolo vizioso della violenza.

Nell’entourage della famiglia Melrose, gli adulti che osservano immobili vedono il malessere di Eleonor, ma tendono a colpevolizzarla, a giudicarla, a deriderla o ad osservarla con compassione, sposando una visione cupa e cinica della vita, che alla fine non aiuta nessuno. Il loro intervento non è di stimolo per Eleanor ad uscire allo scoperto e denunciare, ma certamente offre silenzioso sostegno al carnefice che acquisisce forza da chi non prende posizione contro di lui.

La confusione e l’incoerenza del contesto di vita di Patrick Melrose sono infine una trappola decisiva alla consapevolezza di quello che stava accadendo. Un contesto privilegiato, ma emotivamente trascurante. Genitori controllati e formali, ma che possono esplodere nel più imprevedibile e spaventoso dei modi. L’estrema attenzione all’etiquette, ma discorsi volgari, sessisti e umilianti di ogni genere. Per un bambino la realtà rappresentata dagli adulti che ha intorno, è semplicemente l’unica realtà conosciuta e l’unica attraverso la quale può valutare il mondo. Nessun bambino sa cosa è giusto e sbagliato, ma certamente può sentirsi minacciato.

Cosa succede nella mente di un bambino quando si sente in pericolo, ma gli adulti intorno non sembrano preoccupati per lui o peggio ridicolizzano la sua paura? Patrick ha molte emozioni negative e chiarissime sensazioni sgradevoli che vengono dal rapporto con i suoi genitori, ma non sa decifrarne l’origine poiché nessun adulto intorno a lui attribuisce a quegli eventi violenti e spaventosi un significato corretto e univoco. Al contrario il sarcasmo copre di ridicolo una richiesta di aiuto, getta nebbia sulla gravità di una violenza, minimizza i pericoli reali, propone paradossi esistenziali in cambio di spiegazioni e soprattutto: il sarcasmo non è comprensibile a nessun bambino. La soluzione possibile a questa confusione è solo una: “Se per gli altri è tutto normale, allora il problema sono io”. Colpa e vergogna vanno a rafforzare il muro della negazione, stavolta però il muro costruito è dentro la mente di Patrick e dentro ogni bambino vittima di violenza intra-familiare che “sceglie” di non chiedere aiuto e denunciare i suoi aguzzini.

In conclusione

La storia di Patrick Melrose è cruda e dura da ascoltare, ma la denuncia ad una società borghese, distratta e incapace di cogliere bisogni semplici come quelli di un bambino merita di essere ascoltata e trasmette un messaggio di forza: la mente umana ha in sé la resilienza adeguata a rispondere e adattarsi a situazioni sfavorevoli ed estreme, anche a fronte di un’infanzia molto difficile, ma uscire dall’isolamento emotivo che il trauma genera in chi lo ha vissuto è possibile solo se il mondo fuori è disposto a scegliere di non voltare lo sguardo e a non giudicare.

“Le idee sono fatte per essere cambiate.”

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