Non so se il il libro Una vita come tante di Hanya Yanagihara, edito da Sellerio, sia un libro principalmente sull’amicizia come ci avvisa la quarta di copertina, certo in parte lo è, l’amicizia di quattro uomini dal college alla maturità, ma troppo disomogenee le amicizie tra questi uomini, amicizie indelebili ma anche rabbiose, protettive, invidiose, ogni amicizia dentro il libro è una amicizia diversa. So però che questo è un romanzo che tutti i clinici tutti gli psicoterapisti devono leggere.
Il libro ha 4 protagonisti ma in realtà emerge quasi dall’inizio una voce sola, fino alla fine quando nelle ultime pagine appare la voce di un altro dei molti protagonisti che in modo straziante ma non senza speranza chiude il libro.
La voce principale è quella di Jude, ragazzo dal passato terribile, abusato e geniale che diventa un grande avvocato, ricco, adorato dai suoi amici, colleghi e da chiunque lo conosca, ma che non sa come vivere una vita possibile avendo fratture traumatiche incancellabili.
La prima cosa che mi ha colpito mentre lo leggo è l’insostenibilità degli abusi subiti in infanzia e adolescenza da Jude, e penso a quanto noi clinici tendiamo a parlare sempre di abusi, come se l’abuso del nostro paziente (e a volte di noi stessi) fosse il peggior abuso possibile, il padre presente ma ubriacone, la mamma aggressiva, i rimproveri.. ecco leggendo la storia di Jude mi rendo conto che alcuni abusi non sono paragonabili ad altri (la gravità degli abusi è tale che la personalità e l’emotività di Jude, ma anche il suo corpo, ne sono distrutti per sempre) abitano completamente da un’altra parte. Queste realtà sono maggiormente presenti in chi vive nelle realtà carcerarie o nei luoghi di protezione dell’infanzia violata.
E questa è cosa che noi clinici dobbiamo ricordare sempre. Dare i pesi giusti e misurare l’entità dei traumi dei nostri pazienti con rispetto ma anche accuratezza.
Chi è Jude?
La descrizione psicologica di Jude, del suo continuo parlare con se stesso, dello stato di autocolpevolizzazione, vergogna, rabbia, sfiducia nei rapporti con le persone che lo amano, che vivono per renderlo felice, è così ben raccontata che vale la pena di armarsi di coraggio e attraversare la lettura di questo libro letterariamente imperfetto, ma straordinario. Alcune pagine, ve lo dico subito, sono intollerabili, la descrizione di ciò che un bambino non protetto può subire dagli adulti, è insostenibile anche alla lettura. Ma il processo di autocura che Jude (nonostante le innumerevoli ricadute di autolesionismo e rabbia,) non smette mai di fare, è una lezione di psicopatologia dell’abuso in forma letteraria indimenticabile.
La storia di amicizia tra Jude e William è un esempio di come l’affetto e la presenza, vissute come minacciose e impossibili da tollerare, lasciano traccia, alla lunga e con pazienza, ma non diventino mai scontate, non permettano mai di mettersi realmente al sicuro.
Nell’arco del libro Jude cambia, rimane impossibile o quasi da avvicinare, ma ragiona, comprende, vede le sue ferite non solo come colpa e corresponsabilità, ma anche come qualcosa che deve tenere sotto controllo e lontano, per potere avere momenti di relativa pace.
Jude a volte fa anche rabbia al lettore, per la sua ripetitività,la sua ruminazione pessimistica ininterrotta, la sua difficoltà a cambiare idea, il suo riconoscere quanto ha ottenuto come risultato non di una fortuna pazzesca ma della sua genialità e della sua competenza amicale e professionale, per le sue pretese verso chi ha vicino, unite sempre ai “mi dispiace” manipolativi.
Ma il libro non è solo Jude, ci sono i suoi incontri, le persone che per sempre riescono a stargli a una distanza che riesce ad accettare, anche se con momenti di rabbia e rifiuto li sfida, mente e si nasconde. E ci sono i crudeli che incontra da adulto e che lo segnano in modo cruento, proprio per la conferma che lui è sbagliato, diverso, perduto.
Qual è l’insegnamento di questa storia?
Alla fine, in questa New York mondana e piena di persone eventi e parole e relazioni, tutti e quattro gli amici del nostro libro hanno grandi successi seguendo i loro talenti. Tutti hanno case meravigliose e occasioni e vittorie. Tutti rimangono vicini tra di loro pur con alternanze negli anni legate a liti, sfide, difficoltà e gelosie. E tutti si portano dietro i tormenti di infanzie imperfette.
Certo difficile nel mondo non romanzesco immaginare un passato come quello di Jude nel più famoso penalista di New York, sono salti sociali quasi impossibili da immaginare nel mondo selettivo delle università americane, ma tant’è i romanzi sono favole e tutto può accadere. Anche se questa favola ci lascia l’amaro in bocca e la fine è pacificata ma non lieta, così come il racconto delle difficoltà e dei limiti oggettivi delle cose che i clinici (e gli amici, e i parenti) possono fare.
Questo libro è stato salutato come un libro importante dal mondo intellettuale omosessuale americano, perché le relazioni dominanti, importanti, cruciali dal punto di vista dell’interesse e dell’intimità avvengono sostanzialmente tra uomini, le donne sono sempre e solo sfondo.
Ma il sesso in questo libro non è quasi mai allegro, di comunicazione e condivisione, anzi del sesso, viene raccontata la vena sopraffattoria, violenta, non legata all’omosessualità ma alla violenza sull’indifeso. Per Jude, il desiderio amoroso, affettivo e sessuale che il suo amico ha per lui, il desiderio di vicinanza, la pazienza, la passione, sono consolazioni ma richiedono troppa fiducia e sono troppo dolenti, appartengono a un mondo di condivisione e vicinanza che è addirittura impossibile da immaginare, tanto meno accettare.
Anche di questo Jude si farà una colpa. Una delle cose interessanti del libro è proprio il racconto dell’impossibilità (la difficoltà) di sciogliere negli abusati il nodo della vicinanza sessuale e affettiva, anche in condizioni di sicurezza assolute.
Ma il libro è anche un libro sull’impossibilità di accettare un lutto ingiusto e inaspettato, sui tempi terribili che richiede questa operazione, sul fatto che per qualcuno è semplicemente vietata.
Si un libro dolce e crudele, i personaggi che lo abitano ci restano attaccati per lungo tempo, non ci consola né come persone né come terapisti. Noi ci culliamo nella tentazione di enfatizzare il nostro ruolo, le nostre competenze, l’importanza per i nostri pazienti. Lo siamo, lo facciamo con amore e passione ma spesso l’incontro è oscuro e non dimentichiamoci che può essere anche impossibile.
Questo libro non si riesce a lasciare né dimenticare e ci tira giù per sempre dalle nuvole narcisistiche in cui ci piace pensare di vivere.