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Disclosure: il racconto del trauma nell’abuso sessuale infantile

La disclosure è la rivelazione del bambino circa l’ abuso sessuale infantile subìto. Essa è un percorso difficile per la vittima e non sempre diretto.

Di Elena Parise

Pubblicato il 21 Dic. 2016

Aggiornato il 16 Lug. 2019 13:06

Dal momento che l’ abuso sessuale infantile è un fenomeno largamente nascosto, la sua identificazione risulta molto complicata. È, dunque, importante che bambini e adolescenti riescano a raccontare a qualcuno l’abuso subìto, attraverso un processo di disclosure.

Elena Parise – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Milano

 

l bambino ha paura di parlare e, quando lo fa, l’adulto ha paura di ascoltare.

(Gabel, 1992)

 

Negli ultimi anni, la letteratura ha mostrato un sempre maggiore interesse nello studiare il fenomeno dell’ abuso sessuale infantile e della violenza all’infanzia. Oggi, infatti, si sente parlare di infanzia violata molto più di frequente rispetto a quanto avvenisse anni fa.

Nella maggior parte dei casi, le giovani vittime sono le uniche in grado di denunciare il loro abusante e gli abusi subìti: infatti l’abuso sessuale infantile è uno dei reati maggiormente tenuti nascosti. È in questa cornice contestuale, quindi, che si va a inserire l’importanza della disclosure, la quale rappresenta l’aspetto critico e cruciale del processo di denuncia. Rappresenta il primo passo per provare a contrastare e a interrompere il ciclo di abusi, rendendo noti i fatti ad persone, oltre a perpetratore e vittima (Alaggia, 2004; Jensen et al., 2005; Allnock, 2010; D’Ambrosio, 2010).

Proprio a causa del fatto che, nel corso degli ultimi anni, il fenomeno dell’ abuso sessuale infantile è stato ampliamente trattato, approfondito e studiato, le sue definizioni sono molteplici. In particolare, però, L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 1999, lo definisce:

Il coinvolgimento di un minore in atti sessuali, con o senza contatto fisico, a cui non può liberamente consentire in ragione dell’età e della preminenza dell’abusante, lo sfruttamento sessuale di un bambino o adolescente, la prostituzione infantile e la pedopornografia.

Più in generale, l’abuso è una violazione dei diritti del minore, che viene a verificarsi quando il comportamento inadeguato di un adulto, volontario o involontario, impedisce e, anzi, interrompe la crescita armonica del bambino, non tenendo in alcun conto i suoi bisogni primari (Caffo et al. 2004).

 

La rivelazione dell’abuso sessuale infantile: la disclosure

Dal momento che l’ abuso sessuale infantile è, come già detto, un fenomeno largamente nascosto, la sua identificazione risulta molto complicata non priva di criticità, rendendo così fondamentali e centrali per l’intera durata dell’iter le vittime stesse. È, dunque, importante che bambini e adolescenti riescano a raccontare a qualcuno l’abuso subìto, così da poter intervenire e interrompere il ciclo di abusi, oltre che ricevere il dovuto aiuto e supporto. La disclosure consiste proprio in questo: è la rivelazione del bambino circa l’abuso o gli abusi subìti (Allnock, 2010).

La rivelazione di un abuso sessuale da parte di un bambino è un processo tutt’altro che semplice e lineare, ma bensì un percorso tortuoso e accidentato. Il bambino, infatti, può, in una certa fase, presentarsi confuso, inaccurato e incerto, passando dall’ammissione al diniego per poi fornire una parte del racconto, magari anche in maniera dettagliata. D’Ambrosio (2010) ritiene che, di frequente, il percorso comporti vari passaggi: la liberazione del segreto, il ritorno della paura con la conseguente negazione e, infine, la ri-affermazione.

Relativamente a ciò, una delle autrici che si è maggiormente occupata di disclosure è Ramona Alaggia (2004), la quale inizialmente individua tre tipologie di disclosure:

  1. Accidental Disclosure: situazioni in cui l’abuso sessuale infantile è stato scoperto da qualcun altro (ad esempio attraverso l’osservazione o attraverso esami di tipo medico);
  2. Purposeful Disclosure: situazioni in cui il minore racconta intenzionalmente a qualcuno l’abuso subìto, forse con l’intento di fermarlo;
  3. Prompted/Elicited Disclosure: situazioni in cui le autorità, i professionisti, i genitori o altri adulti incoraggiano un bambino, restio, a raccontare quanto accaduto.

Tuttavia, l’autrice sostiene che le tre categorie di disclosure da lei stessa considerate non esaurivano la complessità delle esperienze possibili e per questo modifica e amplia la sua concettualizzazione sul tema, aggiungendone altre tre:

  • Behavioural Manifestations: tentativi, sia intenzionali che non, di rivelare l’abuso a livello comportamentale o tramite sintomi comportamentali (ad es. disturbi del sonno, dell’alimentazione, anedonia, ritiro sociale, ipervigilanza);
  • Disclosures Intentionally Withheld: nascondere intenzionalmente l’abuso, negare l’accaduto, scoperte accidentali e disclosure suggerite o elicitate;
  • Triggered Disclosures of Delayed Memories: disclosure seguite, poi, da recupero della memoria che fino a quel momento era risultata inaccessibile a causa, ad esempio, di fattori di sviluppo.

Jensen et al. (2005) suggeriscono che la disclosure è, fondamentalmente, un processo nel quale i bambini hanno bisogno di percepire la possibilità di parlare tranquillamente di quello che gli è capitato. La rivelazione, infatti, è il primo passo di un processo che ha inizio con l’assicurazione che ciò che è stato vissuto è davvero anomalo: ciò che hanno subìto non è stato un gioco, né uno scherzo, non è stato piacevole e agli altri bambini non accade. Chi raccoglie la rivelazione deve funzionare come uno specchio e deve rinviare un dato preciso: subire un abuso non è normale. Pertanto è evidente che il bambino sarà portato a rivelare solo se pensa e crede di poter essere aiutato e se capisce che verrà creduto.

 

A chi rivelare l’abuso? Come i bambini scelgono la figura a cui raccontare il trauma

A tal proposito, numerose sono le ricerche che indagano quale sia la persona a cui il bambino sceglie di rivolgersi. Il bambino appare selettivo nella scelta della figura alla quale svelare l’abuso e, in genere, prima della rivelazione vera e propria, “sonda il terreno”, partendo da affermazioni vaghe o periferiche per arrivare, solo in un secondo momento, alla narrazione centrale, la quale avviene solo dopo aver verificato che la persona prescelta sia effettivamente interessata, disponibile ad ascoltare, a credere e aiutare (D’Ambrosio, 2010).

Da alcune ricerche, nello specifico, emerge che quando i bambini decidono di rivelare l’esperienza di abuso sessuale infantile, frequentemente accade con un amico o con un fratello o sorella. Invece, tra tutti gli altri membri della famiglia, le madri sono quelle scelte maggiormente. Invece, poche rivelazioni spontanee vengono fatte alle autorità o ai professionisti durante l’infanzia, ma tra tutti i professionisti, le maestre sono le più probabili (Allnock, 2010).

Studi sulla memoria infantile hanno confermato che, in generale, in situazioni di benessere psicologico e prive di qualsivoglia trauma, i bambini possiedono buone capacità di ricordare e riferire eventi passati, soprattutto per ciò che concerne gli aspetti più centrali e più salienti delle esperienze vissute (Ceci e Friedman, 2000). Al contrario, nei casi di bambini vittime d’abusi, intervengono fattori sociali ed emotivi che possono inibire le capacità di riferire gli eventi subìti e, pertanto, compromettere la memoria autobiografica (Meesters et al., 2000).

La natura stessa delle conseguenze della violenza può condizionare la capacità di narrare gli abusi: le reazioni acquisiscono una sequenza in cui da una fase acuta, caratterizzata da disorganizzazione, disorientamento, sentimenti di vulnerabilità e incredulità, bisogno di isolarsi e senso di annichilimento, si passa a reazioni a breve termine caratterizzate da emozioni ambivalenti di paura e rabbia, percezione di sé come inadeguato, senso di colpa, vergogna e umiliazione (Di Blasio, 2000).

 

Perché l’abuso sessuale infantile viene taciuto?

Tuttavia, da alcune ricerche, è emerso che rivelare gli abusi contribuisce al benessere del minore; ma allora perché i bambini non sempre decidono di rivelare l’abuso? Di fatto, esistono molte ragioni che spiegano il motivo per cui l’abuso viene taciuto e molte altre che spiegano, invece, il motivo per cui viene rivelato.

In particolare, secondo gli studi di Alaggia (2004) e Alaggia e Kirshenbaum (2005), i fattori-chiave, che possono spiegare il motivo per cui un bambino possa decidere di mantenere taciuto l’abuso, sono:

  • L’essere o il non essere creduto;
  • La vergogna, l’imbarazzo e il senso di colpa;
  • La preoccupazione per gli altri, oltre che per se stesso;
  • La paura.

Oltre a queste, esiste un altro fattore di fondamentale rilevanza nella scelta di non rivelare l’abuso subìto: la minaccia e il tema del segreto. Alcuni bambini hanno paura di confidarsi perché l’abusante, ad esempio, li ha convinti che farà del male ai loro genitori o che la madre morirebbe di dolore se lo venisse a sapere, e così via.

Quindi, mantenere il segreto costituisce, di per sé, un evento traumatico, la cui comparsa e le cui conseguenze emotive rimangono, la maggior parte delle volte, sepolte: il segreto pesa sulla persona, pesa su ogni atto, sulla parola e sulle relazioni con l’altro.

 

Il lavoro col terapeuta in casi di abuso sessuale infantile

È facile quindi intuire come questi bambini abbiano bisogno di ricostruire legami di fiducia che li aiutino a “ripulire” la mente da tutte le bugie e le falsità che sono state fatto loro credere. Per questo motivo, spesso la relazione e il lavoro con il terapeuta hanno l’obiettivo di stabilire quel tipo di legame di fiducia, in modo che il giovane paziente possa finalmente liberare la mente e l’immagine di sé dalla colpa di cui pensa di essere responsabile, grazie a quanto fattogli credere dall’abusante.

Pertanto, recuperare i ricordi e integrarli nell’immagine di sé, senza danneggiarla, significa imparare a contrastare le sensazioni di impotenza e di totale perdita di controllo, vissute durante l’esperienza traumatica dell’ abuso sessuale infantile. Alla luce di ciò, diventa ancora più chiaro come la rivelazione, il pensiero e le emozioni a essa legati contribuiscano a migliorare la salute (Hemenover, 2003, D’Ambrosio, 2010).

E dal momento che la rivelazione può risultare indispensabile per interrompere il ciclo di abusi, diviene allora fondamentale per gli operatori che, a vario titolo, entrano in contatto con questi bambini, conoscere e comprendere le caratteristiche del loro racconto che rimane un valido strumento di lettura dell’esperienza e del livello di elaborazione e metabolizzazione della stessa.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Gabel, M. (1992), “Les enfants victimes d’abus sexuels”. PUF, Paris.
  • Alaggia, R. (2004), “Many ways of telling: Expanding conceptualizations of child sexual abuse disclosure”. Child Abuse & Neglect, 28(11), pp. 1213-1227.
  • Jensen, T.K., Gulbrandsen, W., Mossige, S., Reichelt, S., & Tjersland, O.A. (2005), “Reporting possible sexual abuse: A qualitive study on children’s perspectives and the context for disclosure”. Child Abuse & Neglect, 29(2), pp. 1395-1413.
  • Allnock, D. (2010), “Children and young people disclosing sexual abuse: An introduction to research”. National Society for the Prevention of Cruelty to Children (NSPCC) Research Briefing. DOWNLAOD
  • D’Ambrosio, C. (2010), “L’abuso infantile. Tutela del minore in ambito terapeutico, giuridico e sociale”. Erickson, Trento.
  • Caffo, E., Camerini, G.B., & Florit, G. (2004), “Criteri di valutazione nell’abuso all’infanzia. Aspetti clinici e forensi”. McGraw-Hill, Milano.
  • Ceci, S.J., & Friedman, R.D. (2000), “The suggestibility of children: Scientific research and legal implications”. Cornell Law Review, 86, pp. 33-108.
  • Meesters, C., Merckelbach, H., Muris, P., & Wessel, I. (2000), “Autobiographical memory and trauma in adolescents”. Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry, 31, pp. 29-39.
  • Di Blasio, P. (2000), “Psicologia del bambino maltrattato”. Il Mulino, Bologna.
  • Alaggia, R., & Kirshenbaum, S. (2005), “Speaking the unspeakable: Exploring the impact of family dynamics on child sexual abuse disclosures”. Families in Society, 86(2), pp. 227-234.
  • Hemenover, S.H. (2003), “The good, the bad, and the healthy: Impacts of emotional disclosure of trauma on resilient self-concept and psychological distress”. Personality & Social Psychology Bulletin, 29, pp. 1236-1244.
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