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Una psicoterapia vale l’altra? Hanno ammazzato dodo, dodo è vivo!

Diversi sono gli studi che hanno cercato di indagare l'efficacia delle diverse terapie a conferma o meno del cosiddetto verdetto dodo. Spesso vengono messe a confronto la terapia dinamica e la terapia cognitivo comportamentale (CBT) nel trattamento di diversi disturbi, ma i dati non sono semplici da interepretare.

Di Giuseppe Magistrale

Pubblicato il 30 Lug. 2018

Aggiornato il 22 Dic. 2020 12:47

Partendo da un articolo pubblicato su The Guardian nel 2014, vengono messe a confronto la terapia cognitivo comportamentale (CBT) e la terapia dinamica nel trattamento dei disturbi alimentari. I risultati non sono così facili da interpretare ed è bene fare attenzione nel definire una terapia più efficace dell’altra.

 

In un articolo pubblicato il 16 luglio su State of Mind vengono riportati i risultati di uno studio di Poulsen e collaboratori (Poulsen et al., 2014) in cui sembrerebbe esserci un netto vantaggio a favore della Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT) rispetto a un trattamento psicoanalitico a lungo termine per la bulimia messo a punto dai primi autori dello studio, due psicoterapeuti a orientamento analitico.

Risultato ancor più sorprendente, il vantaggio della CBT sarebbe straordinario, dato che secondo l’articolo a praticarla sarebbero due psicoanalisti, e non terapeuti cognitivo comportamentali. Se fosse così questo risultato sarebbe sicuramente degno di nota, dato che in molti studi che comparano diversi trattamenti per un singolo disturbo è presente il cosiddetto “allegiance effect”: in altre parole, se gli autori dello studio sono di orientamento psicoanalitico, è più probabile che la spunti una terapia analitica, se invece gli autori dello studio sono sbilanciati per la CBT, il risultato dello studio sarà probabilmente altrettanto sbilanciato in favore della CBT. In questo caso lo studio sarebbe stato condotto da due terapeuti analitici che avrebbero anche somministrato di persona la CBT, a seguito di un training condotto con Christopher Fairburn, l’ideatore della CBT-E, la variante della CBT per i disturbi del comportamento alimentare.

Peccato che in questo caso le cose non stiano affatto come descritto nell’articolo, tratto da un pezzo di Freeman & Freeman pubblicato nel 2014 sul The Guardian.

Prima di farci prendere dall’entusiasmo nella rincorsa al sacro graal della psicoterapia, è bene leggere con attenzione lo studio, che è ben lontano dal dimostrare che il dodo è morto o che c’è un trattamento migliore di un altro per la bulimia, per quanto i risultati dello stesso, all’epoca, sembrassero promettenti. Ecco una lista di diverse inesattezze riportate nell’articolo e di buone ragioni per prendere con le pinze questo risultato, e qualche ragione pratica per prenderlo in considerazione a prescindere dal proprio orientamento teorico.

  1. In nessuna parte dello studio è scritto che a somministrare la CBT sono stati degli psicoanalisti, né che Poulsen e Lunn (i primi due autori, terapeuti di orientamento analitico) si siano fatti addestrare da Christopher Fairburn, l’ideatore del trattamento transdiagnostico CBT-E per la cura dei disturbi alimentari. Traduco parola per parola ciò che è invece scritto nello studio di Poulsen et al. per correggere questa inesattezza (abbastanza grave) presente nell’articolo apparso sul The Guardian:

    Sono stati usati due gruppi di terapeuti, uno per trattamento. Il trattamento psicoanalitico è stato somministrato da sei psicologhe cliniche e due psicologi clinici. In media, i terapeuti avevano 17 anni di esperienza psicoterapeutica. I terapeuti avevano almeno 2 anni di training in varie modalità di trattamento psicoanalitico o psicodinamico, e tutti erano supervisionati bisettimanalmente dal primo e dal secondo autore, che hanno elaborato il trattamento. La CBT è stata somministrata da uno psicologo uomo, due psicologhe donne e una psichiatra. In media, i terapeuti avevano 8 anni di esperienza terapeutica. Tutti i terapeuti avevano completato un training generico di 1 anno in CBT e tutti hanno partecipato in un workshop iniziale di 2 giorni fornito dall’ultimo autore (Christopher Fairburn). I terapeuti erano supervisionati bisettimanalmente via videoconferenza dall’ultimo autore, che ha elaborato il trattamento.

  2. La presenza di Christopher Fairburn come ultimo autore dello studio dovrebbe bastare per mettere a tacere qualsiasi presunzione di “allegiance effect”. Tra gli autori è infatti presente l’ideatore del principale trattamento in voga in ambito CBT per i disturbi alimentari, mentre i primi due autori sono gli ideatori del trattamento psicodinamico somministrato nel trial. Questo non rende l’articolo sbilanciato per una delle due terapie.
  3. Rimane il fatto che, in effetti, le proporzioni di sintomi in remissione nei due gruppi siano diverse. La CBT ottiene risultati migliori in questo studio. Questo è un risultato reale ed è importante. Tuttavia, non basta uno studio per asserire che una terapia è migliore di un’altra e pensarlo significa avere poca esperienza nella ricerca clinica, o forse essere vittime in prima persona del famigerato “allegiance effect”. La ricerca empirica sulla validità della terapia dinamica nella bulimia nervosa è agli albori e all’epoca della sua pubblicazione questo era l’unico studio in cui la CBT-E veniva comparata con una psicoterapia analitica. In un altro studio recente (Stefini et al., 2017) pubblicato sul Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry viene comparata con la CBT una versione della terapia dinamica più focalizzata sui sintomi. I risultati hanno mostrato una sostanziale equivalenza tra le due forme di terapia, con piccole differenze a vantaggio dell’una o dell’altra nella cura della bulimia. Un risultato molto diverso dal precedente, nonostante gli autori sottolineino come i due trattamenti siano radicalmente diversi, e che l’unica cosa ad accomunarli sia una maggiore strutturazione.
  4. Una importantissima meta-analisi condotta nel 2013 pubblicata su Clinical Psychology Review che esamina le comparazioni dirette tra CBT e altri trattamenti attivi in 53 studi non ha trovato alcun supporto all’idea che ci sia specificità del trattamento per Bulimia Nervosa e Binge Eating Disorder (Spielmans et al., 2013). Questa meta analisi era presente al tempo in cui Freeman & Freeman hanno scritto l’articolo per il Guardian, ma curiosamente non riportata.
  5. Un altro studio recente che compara CBT-E (anche qui, i terapeuti hanno ricevuto il training da Fairburn in persona) e terapia dinamica focale nel trattamento dell’anoressia nervosa, mostra che le proporzioni di pazienti in remissione sono a favore della terapia dinamica (Zipfel et al., 2013). Questo basta per dire che la terapia dinamica è meglio della CBT nel trattamento dell’anoressia nervosa e dire addio all’effetto dodo? Ovviamente no. Nessun ricercatore sognerebbe di dire una cosa del genere. Il dodo sarà pure qualunquista, ma ad oggi rimane uno degli effetti più replicati in psicologia. Probabilmente verrà smantellato, ma non possiamo ucciderlo solo perché ci sta antipatico.

Terapia dinamica o CBT? Conclusioni

Allora in che direzione ci porta la letteratura corrente? Quello che forse un clinico può dedurne, è che quando il paziente è d’accordo e la relazione terapeutica lo permette, focalizzarsi attivamente sulla sintomatologia secondo la propria formazione di riferimento è preferibile, come lo psicoanalista relazionale Philip Bromberg ci spiega in un bellissimo articolo sulla bulimia nervosa e la dissociazione (Bromberg, 2001). Bisogna stare però molto attenti: gli studi sulla relazione terapeutica, sia di matrice dinamica che di matrice cognitivo comportamentale, dicono che è da preferire la relazione terapeutica al focus sui sintomi, qualora l’interesse dei pazienti non sia basato sul sintomo.

Nel recente libro a cura di Liotti, Fassone e Monticelli “L’evoluzione delle emozioni e dei sistemi motivazionali”, basato sul paradigma teorico della terapia cognitivo evoluzionista, viene presentato un caso curioso: una paziente anoressica continuava a lasciare i percorsi in cui i terapeuti tentavano di farle notare un vistoso sottopeso. La paziente riesce a completare finalmente una terapia solo grazie a un terapeuta che non parla mai del suo stato fisico rispettando i tempi della paziente, che dopo molto tempo tira fuori l’argomento peso di sua iniziativa.

Per concludere, mentre dire che la CBT ha più studi di efficacia alle spalle è corretto, dire che la CBT è superiore alla psicoterapia dinamica è precoce e un po’ di parte ed è proprio la materia di cui è fatto l’allegiance effect: un ragionamento di parte. L’assenza di evidenza non è evidenza di assenza.

A proposito di Allegiance Effect, l’articolo del The Guardian è scritto da Jason Freeman, un giornalista, e suo fratello Daniel Freeman, un forte sostenitore della terapia cognitivo comportamentale. Non esattamente un articolo privo di allegiance, insomma.

 


Per saperne di più, leggi gli altri articoli pubblicati da State of Mind:

  1. Una psicoterapia vale l’altra? Non chiedetelo al dodo – Di Valentina Davi
  2. Una psicoterapia vale l’altra? Hanno ammazzato dodo, dodo è vivo! – Di Giuseppe Magistrale
  3. Dal verdetto del dodo alla strategia del cuculo: l’efficacia della terapia è dovuta a fattori specifici o alla relazione? – La risposta di Giovanni Maria Ruggiero
  4.  Il verdetto del Dodo: perché il Dodo deve o non deve morire – Antefatto e Primo quadro – Di Angelo Maria Inverso
  5. Il verdetto del Dodo: perché il Dodo deve o non deve morire – Secondo quadro – Di Angelo Maria Inverso
  6. Il verdetto del Dodo: perché il Dodo deve o non deve morire – Terzo quadro, Epilogo e penultimo verdetto – Di Angelo Maria Inverso
  7. Il verdetto del Dodo ha un adeguato fondamento empirico? Non sembra – Di di Francesco Mancini e Guyonne Rogier
  8. L’alleanza terapeutica è il fattore aspecifico che renderebbe efficace qualunque psicoterapia? Non ci sono ragioni per supporlo – di Francesco Mancini e Guyonne Rogier

 

 

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Una psicoterapia vale l’altra? Non chiedetelo al dodo

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