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La vita segreta della mente (2017) – Recensione del libro di M. Sigman

"Come funziona il nostro cervello quando pensa, sente, decide": un libro per capire come funziona la nostra mente nella quotidianità. La complessità resa semplice e comprensibile dal grande neuroscienziato.

Di Elena Mannelli

Pubblicato il 11 Apr. 2018

“Come funziona il nostro cervello quando pensa, sente, decide” è il sottotitolo del lavoro del neuroscienziato argentino M. Sigman, edito da UTET. Una lettura facile e scorrevole per chi vuole guardare da vicino la biologia del cervello e come funziona la mente nella quotidianità.

Il testo scorre in modo semplice e per nulla semplicistico: si leggono esperimenti, prove, risultati e ricerche scientifiche proprio sul funzionamento della mente “quando pensa, sente e decide”. Sigman non si limita a quello dell’adulto, ma si addentra nell’ancora più oscuro e inesplorato cervello dei neonati. Vengono affrontati numerosi temi: come si formano le idee? Come prendiamo le decisioni? Come sogniamo? Come si trasforma il cervello e come noi cambiamo con lui?

Il libro è concepito come un viaggio nella mente, in cui convergono numerosi contributi di psicologia, neurobiologia, cinema, arte, matematica, linguistica, filosofia e tanto altro ancora. Si alternano capisaldi teorici e innovative scoperte, tra citazioni di grandi filosofi e di grandi luminari.

Aneddoti personali e riferimenti bibliografici si articolano contribuendo a spiegare (ergo comprendere) numerosi fenomeni comuni, ma non banali. Sei capitoli per poco più di 250 pagine si aprono con questi interrogativi: “Come pensano i neonati?” “Come nasce la coscienza?” “Come e quanto ci governa l’inconscio?” “Come scegliamo di fidarci?” “Cosa accade durante i sogni?” “Cosa rende il nostro cervello predisposto al cambiamento?” “Come possiamo mettere a frutto ciò che sappiamo sul pensiero per insegnare meglio”?

La mente dei più piccoli: come pensano i neonati?

Dopo aver esplorato vecchie e nuove concezioni di come funziona l’architettura della mente, l’autore chiarisce che il bambino non è un adulto in miniatura, ne una “tabula rasa” dove vengono inscritti apprendimenti e conoscenze, anzi. Il punto di vista di Piaget viene stravolto e viene rivisto un suo esperimento, annoverato tra i più importanti della storia della psicologia ovvero “A non B”.

Nella situazione sperimentale sopra citata, si mostra ad un bambino un oggetto in una posizione (A) e poi l’oggetto viene spostato in un’altra posizione (B). Il bambino continuerà a cercare nella posizione A nonostante veda lo spostamento. Secondo lo studioso francese la cosiddetta “permanenza dell’oggetto” avrebbe previsto un ragionamento che andasse oltre ciò che appare alla superficie dei sensi; pertanto questa facoltà non sarebbe sviluppata nei bambini di pochi mesi. Tuttavia, l’interpretazione attualmente più plausibile, alla luce degli studi odierni, è invece che i bambini (stiamo parlando di bimbi di 10 mesi) sanno che l’oggetto è stato cambiato di posto ma non sono in grado di utilizzare l’informazione, poiché possiedono un controllo volatile delle loro azioni; in altre parole non hanno sviluppato il controllo inibitorio. Sono concezioni copernicane che ribaltano la concezione del neonato e della sua mente, così come resoci dai precedenti studiosi, di cui Sigman riconosce il grande valore.

In seguito vengono affrontati i vari processi cognitivi nella loro genesi e nel loro sviluppo. E’ dimostrato che le capacità cognitive non si sviluppano in modo omogeneo, qualcosa nasce prima, qualcosa si sviluppa con il tempo.

Come si sviluppano i processi cognitivi nella mente del neonato?

Secondo quanto scrive Sigman, l’elaborazione dei concetti appare innata, mentre le funzioni esecutive appaiono appena abbozzate alla nascita.

Anche l’attenzione viene esaminata, tra le tante cose, come maturi molto prima il sistema che permette di orientare l’attenzione verso un nuovo elemento piuttosto che quello che permette di sganciarsene. Questo spiega perché sia così più complesso distogliere volontariamente l’attenzione; allo stesso tempo, spiega perché i bambini riescano a smettere di piangere quando vengono attratti da un altro stimolo nell’ambiente che richiami la loro attenzione.

Altro spazio viene dato al linguaggio a partire dall’idea rivoluzionaria della linguistica di Chomsky e da innumerevoli studi condotti su bambini di appena qualche ora di vita. Anche in questo caso i neonati non sarebbero assolutamente contenitori vuoti da riempire di nozioni, ma nascerebbero con predisposizioni già formate all’apprendimento del linguaggio. Valutando l’intensità di suzione, per esempio, ricercatori hanno notato come un neonato possa discernere tra suoni provenienti da lingue diverse. Il neonato avrebbe infatti un cervello universale per il linguaggio in grado di distinguere le differenze fonologiche di tutte le lingue; è con il tempo che poi si specializza sui fonemi propri della lingua madre.

Il libro prosegue raccontando come l’apprendimento avvenga in un modo assimilabile al processo del correttore automatico del T9 dei nostri smartphone e spiega perché imparare una lingua da adulti ci risulti più difficile. Da grandi diventiamo meno bravi ad ascoltare semplicemente i suoni ma restiamo più attenti ad apprenderne il significato a discapito della musicalità e dei suoni delle parole stesse (meccanismo invece utilizzato proprio dai bambini quando imparano a parlare).

Si susseguono descrizioni dello sviluppo di concetti sempre più complessi dimostrando di volta in volta, con esperimenti brillanti nella loro semplicità, come i bambini possano elaborare concetti astratti e sofisticati come quello di morale, di furto, di buono, cattivo, giusto e sbagliato. I bambini di 6 mesi infatti sono già in grado di inferire intenzioni, desideri bontà e cattiveria arrivando a dimostrare come la nozione di proprietà (in inglese mine) preceda quella di identità (in inglese me).

Come scegliamo? Come diamo fiducia agli altri nelle nostre decisioni?

Tramite racconti storici e scientifici, da Chrurchill a Turing, viene sviscerato il processo decisionale in numerosi suoi aspetti, tenendo di conto del valore dell’azione, del costo del tempo investito, dell’urgenza di rispondere in una chiara ottica neuronale

[blockquote style=”1″]Chi prende decisioni sa molto di più di quanto crede di sapere[/blockquote].

La stessa cosa varrebbe anche prendendo in considerazione tutte quelle scelte che prendiamo “di pancia” (che l’autore riporta con la parola spagnola “corazonada”): l’importanza delle risposte e degli indizi corporei sarebbero importanti messaggi dai quali partire per trarre informazioni dall’ambiente interno ed esterno, molto prima che il livello consapevole entri in funzione, in linea con gli ormai sempre più centrali approcci “bottom up”.  Vengono poi sviscerate le differenze tra decisioni utilitaristiche e deontologiche, tra neurobiologia ed esempi di dilemmi; vengono raccontati esperimenti geniali nella loro semplicità per spiegare meccanismi complessi come la fiducia nell’altro e la generosità.

Perché gli adolescenti sono soggetti a comportamenti più rischiosi?

L’adolescenza è notoriamente uno dei periodi di maggiore rischio e questo potrebbe essere spiegato anche dall’immaturità della corteccia prefrontale (deputata alla valutazione delle conseguenze future e all’inibizione degli impulsi); questo non spiega perché non siano i bambini (con la corteccia ancor più immatura) ad esporsi ai rischi più degli adolescenti.

Gli studi riportano che la percezione del rischio “dipenda” dalla zona cerebrale del “nucleus accumbens” del sistema limbico che corrisponde alla percezione del piacere edonistico e sessuale; studi infatti riportano che in presenza di eccitazione sessuale aumenta la predisposizione a comportamenti rischiosi o ritenuti inaccettabili a mente fredda e pertanto la risposta alla domanda potrebbe proprio unire questi due importanti dati noti: l’adolescenza è la simultaneità tra l’immaturità di sviluppo della corteccia e il consolidato sviluppo del nucleus accumbens che insieme fanno sì che vi sia la ricerca di rischio e piacere in assenza di un completo sviluppo di processi inibitori. Tutto ciò rappresenta un’ulteriore conferma all’ipotesi che lo sviluppo del cervello abbia un andamento tutt’altro che omogeneo.

“Dentro” la mente: come funzionano coscienza, sogni e inconscio?

Anche argomenti come coscienza, sogno, inconscio trovano spazio e un nuovo tentativo di definizione. Si comincia ovviamente da Freud ma si parla del cervello e di come questo sia in grado di osservare e monitorare i suoi stessi processi, di controllarli, inibirli o modificarli in quello che viene chiamato “preludio alla coscienza”.

Nel capitolo “I viaggi della coscienza”, vengono presi in considerazione il sonno e il sogno, con ampio spazio dedicato alle alterazioni indotte da sostanze e su quali meccanismi di funzionamento si poggino le varie droghe, dalla cannabis alla cocaina all’ “ayahuasca”.

Qual’è il limite di età per apprendere? Le neuroscienze come possono aiutarci ad apprendere?

Sigman risponde scientificamente anche a domande interessanti come “C’è una età limite per apprendere? Si nasce talentuosi o si diventa?”. Si può apprendere a tutte le età e le difficoltà di apprendimento tardivo non dipendono da altro se non dal fatto che da grandi abbiamo forse meno tempo e meno motivazione di quanta ne abbiano i bambini.

L’ultima parte viene lasciata a sollecitare domande pratiche: come possono le neuroscienze e le loro sempre più innovative scoperte essere utili all’educazione e all’insegnamento? Va da sé che nell’ambito della dislessia la risposta, per esempio, sia già arrivata. La dislessia infatti non dipende da problematiche legate all’intelligenza o alla motivazione, ma proprio da una specifica difficoltà di regioni del cervello di mettere in connessione la visione con l’udito.

Nell’ultimo capitolo del libro vengono illustrate altre importanti asserzioni, ad esempio: come per apprendere occorra a volte dis-apprendere qualcosa; come il migliore insegnante sia spesso un compagno, alimentando l’importanza della “peer education” e riproponendo l’ipotesi di come questa tendenza ad insegnare possa essere innata.

Il libro è estremamente denso: domande, risposte, strumenti, citazioni, esempi, riferimenti. Quello che stupisce e diverte, è la facilità con cui tutto questo è riportato. Da Harry Potter a John Lennon, da Piaget a Platone passando per numerosi premi Nobel, con il filo conduttore supremo delle neuroscienze, il lettore ha la possibilità di accedere a concetti e questioni per niente banali, in modo intuitivo e semplice. Questo è solo uno dei grandi meriti dell’autore che in questo libro ha brillantemente riportato il lavoro di 20 anni di carriera densa di importanti riconoscimenti.

 

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Elena Mannelli
Elena Mannelli

Psicologa Cognitivo-Comportamentale

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