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Le conseguenze a breve e a lungo termine prodotte dalle esperienze violente: il mondo delle rappresentazioni mentali della vittima di maltrattamento infantile

Il maltrattamento infantile può produrre conseguenze di varie entità a breve e a lungo termine, tra queste depressione, ansia e disturbi dissociativi

Di caterina micalizzi

Pubblicato il 28 Feb. 2017

Aggiornato il 27 Set. 2019 15:02

Le conseguenze psicologiche del maltrattamento infantile sono complesse, di entità differente in ciascun caso, e variano in relazione all’età del bambino, alla tipologia, alla durata, alla gravità degli episodi di abuso, al grado di familiarità tra la vittima e l’abusante e al tipo di supporto che riceve dalle figure di riferimento

Caterina Micalizzi – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Milano

 

 

Le conseguenze psicologiche in caso di maltrattamento infantile

Il maltrattamento infantile può produrre nei bambini conseguenze di varie entità a breve, ma anche a lungo termine. Le ricerche hanno confermato una relazione significativa tra maltrattamento infantile e depressione, disturbi d’ansia, disturbi alimentari, disfunzioni sessuali, disturbi dissociativi, disturbi della personalità, disturbi post traumatici e abuso di sostanze stupefacenti.

Negli ultimi anni, inoltre, le ricerche hanno permesso di evidenziare anche la presenza di una stretta relazione tra il maltrattamento infantile, in particolare l’abuso sessuale, e i disturbi psicotici (Janssen et al., 2004). Nello specifico, le vittime di violenza hanno maggiore possibilità, rispetto alla popolazione generale, di presentare sintomi, quali allucinazioni di natura visiva, uditiva, o le voci di commento, i deliri e i disturbi del pensiero, sintomi di internalizzazione ed esternalizzazione e disturbi nell’attaccamento. I bambini vittime di abusi e maltrattamenti, punizioni ingiuste e prepotenze, vivono un problema di deformazione dei sentimenti di fiducia in sé stessi e negli altri e nell’espressione delle emozioni empatiche.

Ciò che caratterizza un evento di abuso perpetrato nelle prime fasi evolutive è l’irruzione, durante il percorso di crescita di fattori nocivi ed intrusivi, che possono influenzare profondamente e negativamente la strutturazione della personalità del bambino o dell’adolescente, provocando nel minore una condizione di estrema vulnerabilità emotiva e di confusione, che nel tempo può associarsi ad una molteplicità di manifestazioni sintomatologiche, come uno stato di ansia, bassa autostima, depressione, difficoltà scolastiche, problemi di somatizzazione.

Le conseguenze psicologiche del maltrattamento infantile sono complesse, di entità differente in ciascun caso, e variano in relazione all’età del bambino, alla tipologia, alla durata, alla gravità degli episodi di abuso, al grado di familiarità tra la vittima e l’abusante e al tipo di supporto che riceve dalle figure di riferimento (Fish & Scott, 1999).

Dallo studio di Tambone, Cassibba, Luchinovich e Godelli (2009), che hanno utilizzato il test proiettivo di Rorschach per rilevare le conseguenze psicologiche dell’abuso sui minori, nelle sue molteplici forme, emerge che in questi bambini vi è una chiusura difensiva e difficoltà nel mettersi in gioco, evitando il contatto con i contenuti traumatici profondi. Tali bambini vittime di abuso presentano una condizione psicologica estremamente complessa e disturbata. Essi prendono coscienza della loro condizione ma non hanno gli strumenti cognitivi, né le risorse psicologiche per attribuire elementi di qualificazione alla realtà, in quanto presentano un’immagine povera della realtà, priva di elementi dinamici e vitali. In essi si evidenzia una persistenza di sensazioni di tristezza e apatia, dovuta nella maggior parte dei casi dall’incapacità o impossibilità a vivere, simbolizzare e verbalizzare le proprie emozioni.

 

Maltrattamento infantile e sindromi dissociative

L’esperienza di maltrattamento può produrre sindromi dissociative, in particolare quando l’abuso è stato consumato durante l’infanzia (Putnam, 2001). Subire un abuso può arrecare una sofferenza emotiva tale da produrre contenuti ideativi con conseguenti difese di carattere dissociativo. Le conseguenze psicopatologiche dell’abuso sono gravi e profonde, coinvolgendo diversi livelli di funzionamento psicologico, tra cui il pensiero, le emozioni, le relazioni interpersonali, tolleranza dello stress, e causando molteplici conseguenze psicologiche come frequenti ricordi dell’evento traumatico, disturbi dissociativi, comportamenti regressivi, alterazione del livello di vigilanza, per cui scarsa attenzione, concentrazione e iperattività, diminuzione del rendimento scolastico, impulsività, esitamento e sentimenti di solitudine.

Maggiori difficoltà affettivo-relazionali si presentano nelle vittime il cui abuso è avvenuto in età precoce ( Armsworth & Holaday, 1993). Alcuni studi evidenziano che i bambini in età preadolescenziale sono più vulnerabili rispetto agli adolescenti e che dopo l’abuso si rilevano maggiori effetti pervasivi (Kendall-Tackett, Williams, & Finkelhor, 1993).

L’esperienza traumatica dell’abuso apporta sofferenza e dolore tale da provocare un effetto disorganizzante della personalità. Il processo di disorganizzazione del pensiero che si evidenzia nelle persone che hanno subito maltrattamento infantile è probabilmente funzionale all’integrazione e all’elaborazione dell’evento doloroso.

Tale disorganizzazione sembra essere riconducibile ad un meccanismo difensivo di regressione adattiva (Kris, 1952), che consente un arretramento verso livelli di funzionamento psichico primitivi che consentono a pensieri e sentimenti intollerabili, di arrivare a stati di consapevolezza maggiori per essere elaborati. Per cui il processo di disorganizzazione può essere considerato come uno strumento curativo naturale, che permette una riorganizzazione ed un’integrazione delle esperienze inattese e dolorose, quindi livelli moderati di distorsioni cognitive possono essere considerati indicatori prognostici di processi riparativi e curativi.

 

Le conseguenze del maltrattamento infantile sulla socialità

L’ esperienze di maltrattamento infantile interferiscono sullo sviluppo positivo del bambino, compromettendone vari aspetti come la socialità, l’interazione con i pari e con gli adulti. L’esposizione continua alla violenza porta ad uno sviluppo distorto dell’immagine di sé, a condotte antisociali, a disfunzioni nelle emozioni e alla messa in atto di comportamenti dissociativi. La violenza porta spesso ad alterazioni della percezione, ad una mancata comprensione degli stati emotivi e delle intenzioni altrui.

Tra le principali e frequenti conseguenze del maltrattamento infantile vi sono le alterazioni delle regolazioni emotive e delle emozioni sociali. I bambini maltrattati sviluppano un’immagine di sé negativa, e già all’età di due/ tre anni, tendono a mostrare reazioni emotive intense, e sono riluttanti ad accettare se stessi in termini positivi (Shaffer 1996). Le difficoltà riscontrate nei bambini maltrattati dipendono dal fatto che gli adulti fanno poco uso di emozioni positive, e l’elevato uso di emozioni negative riducono le espressioni del bambino.

I bambini sottoposti ad esperienze di violenza presentano difficoltà nel riconoscere le espressioni facciali e nell’utilizzare le informazioni contestuali per spiegare le incoerenze tra causa delle emozioni ed espressione emotiva discrepante. Tali bambini tendono a distorcere le informazioni emotive attribuendogli significati negativi, nel senso che sovrastimano le emozioni di rabbia, le attribuiscono in modo inappropriato e le percepiscono come presenti anche in loro assenza (Camras, Sachs-Alter & Ribordy, 1996).

Per cui è possibile affermare che il maltrattamento, soprattutto in età precoce, determina rilevanti problemi sia nella regolazione delle proprie emozioni ma anche nella capacità di comprenderle e di valutare adeguatamente le cause degli stati affettivi altrui.

 

Colpa e vergogna nei bambini vittime di maltrattamento

I minori vittime di maltrattamenti e abusi vanno incontro a due sentimenti negativi che tendono a opprimerli, questi sono il senso di colpa e la vergogna.

Queste si manifestano già dopo il primo anno di vita e sono espressioni emotive legate alla socializzazione, alle pratiche educative, al contesto culturale e richiedono inoltre capacità cognitive più evolute di valutazione di sé, degli altri, delle aspettative sociali e di autoconsapevolezza. La colpa e la vergogna hanno un significato sociale e relazionale poiché elicitate dall’interazione. Tali emozioni nascono dal riconoscimento di comportamenti o di attributi negativi rivolti a se stesso ed hanno origine dalla percezione del fallimento di modelli posti dall’esterno o interiorizzati.

Nei bambini che subiscono maltrattamenti si può osservare la coesistenza di sentimenti di colpa, che li portano a preoccuparsi degli altri e a cercare di riparare, e di vergogna, che implica una complessa deformazione delle percezioni e dell’immagine di sé. Il bambino si sente impotente, incapace di reagire adeguatamente e percepisce, come segni della propria incapacità, il fallimento dei tentativi con cui cerca di difendersi e giustificarsi. Percepisce il proprio corpo come diverso da quello degli altri  e prova vergogna a mostrarlo, e nasconde i lividi che gli vengono provocati, considerandoli frutto di una propria mancanza. Nei bambini vittime di abusi sessuali la vergogna, la timidezza e l’imbarazzo finiscono per rinforzare la sensazione di essere inadeguati e diversi a causa di comportamenti sintomatici percepiti estremamente inaccettabili e inesprimibili.

Il vissuto di colpa occupa una posizione centrale nella caratterizzazione del mondo interno del bambino che ha subito un abuso sessuale. Il bambino abusato, per l’intervento di un meccanismo identificatorio, assume su di sé la colpa dell’aggressore in un processo amplificato dal diniego dell’evento traumatico, messo in atto dall’adulto (Kluzer, 1996).

Le emozioni innescate dalla vergogna, portano il bambino a chiudersi, a nascondersi, ad interrompere la comunicazione e l’espressione di se stessi. L’esperienza di colpa e/o di vergogna rinforza in misura significativa una rappresentazione di sé come “malvagio, cattivo o ridicolo” ed una rappresentazione dell’altro come “rifiutante, controllante e minaccioso”.

I bambini esposti a ripetute esperienze di malessere da parte degli adulti, possono sviluppare la propensione a pensare di essere i diretti responsabili. Per cui ciò vuol dire convivere con sentimenti di inefficacia e di impotenza che possono trasformarsi in tratti depressivi, ostacolano o rallentano il processo di separazione-individuazione e interferiscono con la capacità di role-taking.

Le esperienze di maltrattamento infantile possono avere effetti negativi sul buon sviluppo del bambino, compromettendone vari aspetti come la socialità, l’interazione con i pari e con gli adulti. L’esposizione continua alla violenza porta ad uno sviluppo distorto dell’immagine di sé, a condotte antisociali, a disfunzioni nelle emozioni e alla messa in atto di comportamenti dissociativi. La violenza porta spesso ad alterazioni della percezione, ad una mancata comprensione degli stati emotivi e delle intenzioni altrui.

Dagli studi sulla cognizione sociale è emerso che nei casi di abuso sessuale, le vittime tendono a costruirsi uno schema di sé come seduttrici, portando la convinzione di essere colpevoli per l’atto avvenuto, di essere troppo attraenti, o troppo dolci, o troppo generose. La conseguenza di ciò può generare depressione, sensi di colpa, promiscuità o inibizione sessuale (Gelinas, 1983; Herman, Russell & Trocki, 1986). Per cui alla base di ciò vi è una percezione di sé come cattive o troppo seducenti, ma esse non sono consapevoli di queste potenti autorappresentazioni negative.

Aver subìto abusi nel corso dell’infanzia può condurre allo stabilizzarsi di schemi non adattivi che riguardano il sé, alla sensazione di non essere amati o alla mancanza di speranza (concetto di vulnerabilità cognitiva). Anche lo stabilizzarsi di stili attribuzionali negativi (attribuire agli eventi cause interne, stabili e globali) può essere considerato una conseguenza a lungo termine di situazioni negative subite nel corso dell’infanzia. Studi prospettici hanno mostrato che i bambini abusati e trascurati dai genitori presentano un ridotto funzionamento cognitivo rispetto ai bambini che non hanno subito maltrattamenti (Egeland, Sroufe & Erickson, 1983).

 

Funzioni intellettive ed empatia nelle vittime di maltrattamento infantile

Deprivazioni sensoriali ed emotive associate alla trascuratezza sembrano essere particolarmente dannose per lo sviluppo del linguaggio espressivo così come per lo sviluppo di un QI nella norma e, in generale, per lo sviluppo delle funzioni intellettive (Sandgrund, Gaines, & Green, 1974). Nelle situazioni di maltrattamento infantile, il bambino sviluppa rappresentazioni di sé e dell’altro multiple e dissociate, le funzioni integrative come l’identità, la coscienza e la memoria vengono a perdersi producendo uno stato alterato di coscienza (Liotti, 1996).

Secondo Liotti i fenomeni dissociativi provocano uno stato alterato di coscienza nel bambino e allontanano cosi la sofferenza. Consentono di risolvere conflitti inconciliabili, di sfuggire dalle costrizioni della realtà, di isolarsi da esperienze catastrofiche, proteggendo il sé, di sfuggire al dolore, anche fisico, grazie all’effetto analgesico. Tuttavia quando diventa un meccanismo automatico, si innesta la patologia, provocando una frattura nel senso dell’identità e della continuità della memoria e dell’integrazione del sé.

Risulta compromesso lo stato di regolazione emotiva, di regolazione affettiva, di attribuzione di sentimenti e credenze. Nel bambino maltrattato emerge un fragile senso di sé che è legato all’incapacità di rappresentare sentimenti e desideri propri che forniscano un nucleo stabile d’identità. La percezione e le attribuzioni che il soggetto maltrattato costruisce sulla propria esperienza di maltrattamento sono fondamentali nel determinare l’adattamento successivo.

Un altro aspetto fortemente compromesso nel soggetto abusato o maltrattato è l’empatia. Il bambino maltrattato sperimenta la presenza di un genitore che non riesce ad essere empatico nei suoi confronti. A partire da questa condizione il bambino non può sviluppare quella capacità introspettiva di autoriflessione su se stessi e sulle conseguenze che le proprie azioni hanno sull’altro. Il comportamento antisociale e delinquenziale ha la propria origine in questa carenza di capacità empatica, poiché l’empatia media l’adozione di comportamenti prosociali, e rappresenta una condizione che consente di acquisire in modo profondo il significato sociale delle norme e delle regole (Shaffer, 1996).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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