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Primary REBT Practicum all’ Albert Ellis Institute: dettagli da non trascurare

REBT: State of Mind torna all’Istituto Albert Ellis di New York, dove si insegna il modello della terapia razionale emotiva comportamentale (REBT) di Ellis.

Di Linda Confalonieri

Pubblicato il 10 Lug. 2013

 

CRONACHE DA NEW YORK

Albert Ellis InstituteAncora una volta la redazione di State of Mind torna in pellegrinaggio all’Istituto Albert Ellis di New York, dove si insegna il modello della terapia razionale emotiva comportamentale (REBT) di Albert Ellis.

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A mia volta affronto, come altri nostri colleghi l’anno scorso, il corso primary della REBT e scrivo un resoconto. I docenti sono alcuni storici allievi di Albert Ellis: Kristen Doyle, Windy Dryden e Raymond DiGiuseppe.

Oltre ai principi base della REBT (per cui rimandiamo ad altri contributi vedi Link) Doyle, Dryden e DiGiuseppe affrontano aspetti non trascurabili. Una volta effettuato l’assessment dell’ABC primario e secondario (in linguaggio REBT meglio definito come meta-emotivo) da dove parte l’intervento?

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Esiste una risposta protocollare? Se una parte di terapisti REBT sostiene la partenza indiscussa dal meta-emotivo, il punto di vista di Doyle è più mitigato ponendo molto la questione sulla necessità del paziente suggerendo di chiedere apertamente cosa preferirebbe affrontare per primo. Diversi i casi in cui il meta-emotivo diventa interferente con il lavoro sul primario a diversi livelli, sia in seduta che negli homework.

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Altro aspetto non trascurabile: il concetto di regolazione dell’esperienza emotiva non si fonda più sulla diminuzione quantitativa dell’intensità delle emozioni negative come prevedeva il modello di Wolpe bensì si riferisce a un cambiamento qualitativo e categoriale dell’emozione: obiettivo della terapia sarebbe dunque – attraverso la strada cognitiva – cambiare l’identità dell’esperienza emotiva, e non soltanto diminuirla, rimpicciolirla, in qualche modo snellirla: da ansia il target diventa preoccupazione e non “meno ansia”, da depressione a tristezza, da colpa a rimorso e cosi via. Inutile dirlo, tranquillità e rilassatezza come obiettivi credibili della terapia non esistono.

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E si arriva all’eleganza della disputa ellissiana ortodossa: disputare i pensieri automatici beckiani -la cosiddetta inelegant solution- viene generalemente scoraggiato, mentre è molto più elegante la disputa ellissiana ortodossa che punta al cuore della credenza irrazionale, cuore cognitivo dell’emozione disfunzionale. Certamente si dovranno fare i conti con quanto il paziente che abbiamo di fronte è in grado di reggere non solo lo scioglimento di queste credenze tacite e implicite ma anche la loro revisione razionalista.

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Nel frattempo si respira aria di validazione, trasversalmente ai diversi interventi: dall’imprescindibile necessità di una convinta adesione al “sillogismo motivazionale”, ai facili tranelli invalidanti che insorgono nella disputa delle credenze legate alla rabbia, al rischio di invalidazioni quando affrontiamo la catastrofizzazione/terribilizzazione. Tutto sommato anche la scelta di non disputare i pensieri automatici ma “solo” la credenza irrazionale può essere vista come una scelta altamente validante.

DiGiuseppe si diverte e diverte l’audience parlando delle assunzioni filosofiche ed epistemologiche alla base della REBT: dal falsificazionismo di Popper a Thomas Kuhn.

E raccomanda di non trascurare la psicologia sociale che ben conosce e studia i fenomeni di dissonanza cognitiva presupposto per il cambiamento degli atteggiamenti e dei comportamenti.

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Gran finale di Windy Driden, che tra una self-disclosure e l’altra presenta una nuova e arricchita gamma emotiva tra cui la gelosia e l’invidia disfunzionali.  Ma soprattutto una bella evoluzione è il nuovo ruolo dato all’interno del modello alle conseguenze cognitive che ciascuna esperienza emotiva porta con sé: in altre parole finalmente all’interno del modello si dà uno spazio più che dignitoso all’interdipendenza bidirezionale (già ben conosciuta in psicologia generale) tra emozioni e cognizioni.

Se secondo la REBT le cognizioni causano le emozioni, ora anche le emozioni impattano sui nostri processi cognitivi provocando specifici effetti cognitivi – tipici e distinguibili per ciascuna emozione – che non fanno altro che mantenere l’emozione disfunzionale.   

 

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Linda Confalonieri
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