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Cold War Freud: Psychoanalysis in an Age of Catastrophes (2016) di Dagmar Herzog – Recensione del libro

Dagmar Herzog, nel libro 'Cold War Freud: Psychoanalysis in an Age of Catastrophes', segue come la Guerra Fredda influenzi la ricezione della psicoanalisi

Di Marco Innamorati

Pubblicato il 11 Lug. 2017

Dagmar Herzog segue le conseguenze della migrazione degli analisti soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, e in particolare nell’ottica di come il clima della Guerra Fredda influenzi la ricezione di Freud, nel periodo che vede la massima affermazione planetaria della psicoanalisi e, successivamente, l’inizio del suo declino.

 

Come i cambiamenti politici hanno condizionato la psicoanalisi

Probabilmente poche discipline sono state condizionate dagli eventi politici più della psicoanalisi; perlomeno nella loro espansione sul territorio mondiale. La psicoanalisi era fino al 1906 una curiosità per pochi medici ebrei austriaci. Nel 1909 era abbastanza nota per meritare a Freud (e Jung) l’invito per un ciclo di conferenze negli USA.

Dopo il 1918 aveva cominciato ad affermarsi in modo omogeneo, soprattutto in Europa, spinta anche dal successo ottenuto nel curare le nevrosi di guerra. Questa omogeneità venne meno nei decenni successivi, proprio a causa di svolte decisive nella storia politica europea: l’affermazione del nazismo in Germania (e successivamente l’Anschluss, cioè l’annessione dell’Austria al territorio tedesco) da una parte; l’avvento dello stalinismo in URSS dall’altra.

L’Istituto Psicoanalitico di Berlino era diventato il principale centro mondiale di ricerca clinica e formazione degli analisti quando venne subitaneamente chiuso e sostituito dal cosiddetto Istituto Goering. Il cugino del comandante della Luftwaffe era infatti uno psichiatra e a sua volta divenne il referente amministrativo della psicoterapia tedesca sotto il nazismo. La psicoanalisi, teorizzata da un ebreo e praticata soprattutto da ebrei, veniva considerata una “scienza degenerata” e venne di fatto sradicata dal territorio del Reich.

Pressoché tutti gli analisti tedeschi, se volevano salvare la propria identità professionale (e la loro stessa vita, in realtà) furono costretti a emigrare tra il 1933 e il 1934: la stessa sorte toccò ai colleghi austriaci, compreso Freud, nel 1938. In Unione Sovietica, la psicoanalisi aveva inizialmente attirato l’attenzione di un certo numero di validi studiosi, tra i quali il giovane Alexander Lurija. Gruppi di analisti avevano iniziato un’attività sia clinica che di confronto teorico in diverse città, tra le quali Mosca e S. Pietroburgo-Leningrado. Anche Trotzkij riteneva la psicoanalisi compatibile con il marxismo. La sua opinione, del resto, era condivisa anche da diversi marxisti dell’Europa occidentale, tra i quali Wilhelm Reich e tutto il gruppo della Scuola di Francoforte, guidata da Max Horkheimer, Theodor Adorno, Erich Fromm (e in seguito Herbert Marcuse).

Nel corso degli anni trenta, tuttavia, lo stalinismo mise sostanzialmente all’indice la psicoanalisi, considerandola una disciplina borghese. Fu così che Lurija, invece di divenire un analista, finì per passare alla storia come uno dei padri della neuropsicologia.

Dagmar Herzog: la psicoanalisi durante la Guerra Fredda

Dagmar Herzog (2016) segue le conseguenze della migrazione degli analisti soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, e in particolare nell’ottica di come il clima della Guerra Fredda influenzi la ricezione di Freud, nel periodo che vede la massima affermazione planetaria della psicoanalisi e, successivamente, l’inizio del suo declino. Si potrebbe peraltro osservare che le conseguenze dello sradicamento degli psicoanalisti più importanti sono già visibili da prima.

Nel Regno Unito si assiste alla prima svolta politica fondamentale nel movimento psicoanalitico, a seguito del trasferimento di Anna e Sigmund Freud a Londra nel 1938. La polemica tra Anna Freud e Melanie Klein aveva indotto quest’ultima a trasferirsi in Inghilterra già anni prima. Melanie Klein sosteneva la possibilità e l’opportunità di una vera e propria analisi infantile, mentre la figlia di Freud riteneva i procedimenti kleiniani basati sul gioco una sorta di analisi selvaggia. Anna Freud propugnava per i bambini una sorta di educazione ispirata dal pensiero psicoanalitico. La presenza delle due rivali sullo stesso territorio dette origine alla contrapposizione di due gruppi  in forte frizione teorica. Ne nacquero le cosiddette Discussioni controverse, in origine destinate a stabilire chi dovesse assumere la leadership teorica in seno alla British Psychoanalytic Association (King & Steiner, 1991).

Il risultato fu del tutto inaspettato: qualcosa come il “Cuius regio eius religio” della Guerra dei Trent’anni. Nel 1600, le Guerre di Religione si erano concluse senza un vero vincitore e con un compromesso: ogni nazione europea avrebbe osservato la religione del proprio re. Allo stesso modo, nella società inglese e poi nell’International Psychoanalytic Association, non vi sarebbe più stata una teoria unica di riferimento, ma ogni gruppo avrebbe potuto legittimamente espandersi indipendentemente, formando i propri analisti alla luce delle proprie idee. Di fatto i gruppi britannici furono subito tre, perché oltre agli annafreudiani e ai kleiniani si costituì un gruppo di Indipendenti (tra i quali, peraltro, avrebbero militato i più importanti analisti britannici: Winnicott, Fairbairn, Guntrip e Bowlby).

In USA, l’adattamento della psicoanalisi a un ambiente culturale profondamente diverso da quello europeo produsse delle conseguenze profonde. Da una parte i cosiddetti neo-freudiani avevano iniziato un processo di relativizzazione del pensiero di Freud. Per esempio, Erich Fromm (1941) aveva teorizzato il concetto di “carattere sociale”, cioè il principio per cui la personalità può essere fortemente influenzata dalle condizioni storico-sociali nelle quali una persona vive. Karen Horney (1937) aveva sottolineato come le personalità nevrotiche americane presentassero caratteristiche e problemi molto diversi da quelli riscontrati tra i tedeschi. Dall’altra parte anche il mainstream della psicoanalisi stava apportando delle importanti modifiche all’impostazione originaria di Freud.

Heinz Hartmann (1927; 1939), fondatore della Psicologia dell’Io, fin dagli anni viennesi aveva cominciato a porre le basi di una teoria psicoanalitica meno incentrata sulla sessualità e più sull’adattamento. Il radicarsi della Psicologia dell’Io negli USA accentuò sicuramente questa tendenza. Hartmann e la sua scuola si impegnarono nel tentativo di far affermare la teoria freudiana nell’ambiente accademico, cercando di sviluppare la psicoanalisi come una psicologia generale (il che significava, all’inverso, limitare il suo carattere di teoria psicopatologica, volta a evidenziare i lati perversi e nevrotici di ogni essere umano).

Tuttavia, l’affermazione su larga scala della psicoanalisi negli USA passò anche attraverso altri canali, ampiamente analizzati da Dagmar Herzog: uno dei più importanti fu costituito dalla capacità di far accettare la psicoanalisi come una teoria compatibile con la religione cristiana. Vale la pena di segnalare un fatto abbastanza paradossale. Dagmar Herzog segnala come i due epocali discorsi tenuti da Pio XII tra il 1952 e il 1953 sul rapporto tra cristianesimo e psicoterapia furono accolti in America come un’apertura nei confronti della psicoanalisi e probabilmente contribuirono alla sua diffusione. La stessa cosa, però, non avvenne in Europa, e in Italia in particolare, dove prevalse l’interpretazione di Agostino Gemelli (1953), che vide negli stessi discorsi una netta condanna sia di Freud che di Jung. Le posizioni di Gemelli sostanzialmente impedirono ai cattolici italiani di accostarsi alla psicoanalisi fino agli anni sessanta.

Un aspetto abbastanza singolare dell’evoluzione della psicoanalisi durante il periodo della Guerra Fredda e descritto da Dagmar Herzog è l’atteggiamento paradossalmente conservatore, se non reazionario, riguardo al comportamento sessuale. Un tale atteggiamento spinse gli psicoanalisti americani a criticare severamente sia i contributi di Kinsey (et al., 1948; 1953) che quelli di Masters e Johnson (1966), che ciò nonostante contribuirono in maniera fondamentale alla liberazione sessuale. Una pagina particolarmente oscura è stata scritta dagli psicoanalisti americani con la loro resistenza a considerare l’omosessualità come normale (e molte delle resistenze a derubricarla dalle perversioni nel Manuale Diagnostico-Statistico della Malattie Mentali furono dovute agli analisti presenti nella task force del DSM). Il che sembra abbastanza strano, a posteriori, considerando la concezione dell’essere umano come fondamentalmente bisessuale propugnata da Freud.

Forse, però, la storia più singolare raccontata dal libro di Dagmar Herzog è legata a un imprevedibile legame tra i campi di concentramento nazisti e le Guerra del Vietnam. Per quanto oggi possa sembrare incredibile, i sopravvissuti dei campi di concentramento incontrarono notevoli difficoltà a vedersi riconosciuto un risarcimento per i danni psicologici subiti. Ciò avvenne perché il fatto che la condizione di particolare difficoltà psicologica seguiva generalmente un periodo di apparente riadattamento alla vita sociale. I periti interpretavano questo iato come la prova di un mancato legame tra l’esperienza nei campi e la disperazione successiva. Fu solo quando i reduci dal Vietnam cominciarono a tornare che fu possibile osservare in vivo la dinamica di ciò che infine venne classificato come Disturbo da stress post-traumatico: un periodo, per così dire, di incubazione psicologica, tra evento traumatico e reazione, è caratteristico di questo tipo di disturbo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Fromm, E. (1941). Escape from Freedom. New York. Holt, Rinchart & Uinston of Canada Limited.
  • Hartmann, H. (1927). Die grundlagen der psychoanalyse. Stuttgart: G. Thieme.
  • Hartmann, H. (1939). Ich-psychologie und anpassungsproblem. Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse, 24(1-2), 62-135.
  • Herzog, D. (2016), Cold War Freud: Psychoanalysis in an Age of Catastrophes, Cambridge University Press, London.
  • Horney, K. (1937). The neurotic personality of our time. New York: WW Norton & Company.
  • Gemelli, A. (1953). Ciò che è vivo e ciò che è morto nella psicoanalisi, Vita e Pensiero, Roma.
  • King, P., e Steiner, R. (a cura di) (2005), The Freud-Klein Controversies 1941-45, Routledge, London.
  • Kinsey, A., et al. (1948), Sexual Behavior in the Human Male, Saunders, Philadelphia.
  • Kinsey, A., et al. (1953), Sexual Behavior in the Human Female, Saunders, Philadelphia.
  • Masters, W., e Johnson, V. (1966), Human Sexual Response, Little-Brown, Boston.
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