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Un mondo perduto e ritrovato di Aleksandr Lurja – Recensione

Lurja si è dedicato ai racconti di casi singoli: per Lurja, infatti, alla scienza neuropsicologica si contribuisce anche attraverso gli scritti romantici.

Di Marco Innamorati

Pubblicato il 20 Ott. 2015

Aggiornato il 29 Dic. 2015 13:22

Lurja si dedicò alla stesura di appassionati racconti di casi singoli. Questa attività rifletteva una precisa convinzione, per cui alla scienza neuropsicologica occorresse contribuire sia attraverso contributi di tipo sistematico, sia attraverso testi che egli stesso definiva romantici.

Il percorso scientifico di Aleksandr Lurja (1902-1977) è segnato da tappe assai singolari. Lurija fu, all’inizio della sua carriera, colui che introdusse la psicoanalisi in Unione Sovietica, raccogliendo il plauso e la gratitudine di Freud.

Quando la psicoanalisi cadde in disgrazia a Mosca in quanto scienza borghese, gli interessi di Lurja per forza di cose cambiarono, portandolo a collaborare con Vigotskij e infine ad affermarsi, in pratica, come uno dei padri, se non il padre, della neuropsicologia. Ciò malgrado egli non fu mai ben visto dal regime e rischiò persino di finire vittima delle purghe staliniane.

Lurja fu, tra l’altro, il vero riferimento di Oliver Sacks, sia dal punto di vista dell’impostazione teorica, sia da quello della tecnica narrativa. Oltre ad essere autore di articoli tecnici e trattati generali (tra i quali il ben noto Come lavora il cervello), infatti, egli si dedicò alla stesura di appassionati racconti di casi singoli. Questa doppia attività rifletteva una precisa convinzione, per cui alla scienza neuropsicologica occorresse contribuire sia attraverso contributi di tipo sistematico, sia attraverso testi che egli stesso definiva romantici. Si potrebbe dire, in termini epistemologici, che per Lurija tanto l’impostazione nomotetica quanto quella idiografica erano altrettanto importanti.

Un mondo perduto e ritrovato è il più noto dei testi cosiddetti romantici. Risale al 1973 ed è alquanto sorprendente che ne appaia quest’anno per Adelphi la prima traduzione italiana. Il ritardo, però, non rende certo meno meritoria l’iniziativa editoriale (che verrà prossimamente integrata con la pubblicazione di La mente di uno mnemonista). Il protagonista ne è Lev Zaseckij, promettente ingegnere meccanico e ufficiale dell’Armata Rossa, ferito alla testa durante la Seconda guerra mondiale, nel 1943. La pallottola che lo colpisce penetra in profondità nel cervello fermandosi nella zona occipitale sinistra. Al suo risveglio in ospedale, Zaseckij si accorge ben presto di aver perso quasi totalmente le sue cognizioni tecniche, di avere enormi difficoltà percettive, di non riuscire a rispondere anche a domande molto semplici su di sé.

Dopo essere stato brevemente curato nell’ospedale militare, Zaseckij viene trasferito nelle retrovie dove, in una clinica di riabilitazione, finisce appunto per incontrare Lurija, che ne è il responsabile scientifico. Zaseckij non è il solo soldato proveniente dal fronte ad aver subito ferite alla testa, ma il suo caso presenta delle particolarità singolari e la sua mente, pur nelle menomazioni, ha mantenuto un’indomabile forza di volontà. Un rapporto di simpatia lega immediatamente paziente e medico, trasformandosi poi in una vera e propria amicizia. Lurija seguirà la lotta di Zaseckij per riappropriarsi del proprio mondo nel corso dei successivi ventitré anni.

Pur incontrando terribili difficoltà per recuperare la capacità di leggere, Zaseckij è in grado paradossalmente di tornare a poter scrivere non molti mesi dopo il ferimento. L’apparente paradosso è legato al fatto che la lettura implica la capacità integrare le immagini percepite in una forma riconoscibile; il che, soprattutto all’inizio, risulta molto difficile per il ferito. All’inverso, l’apprendimento della scrittura coinvolge circuiti cerebrali solo marginalmente legati alla percezione visiva: il procedere automatico dello scrivere parole consente di non dover prestare necessariamente attenzione alla forma delle singole lettere. Il risultato è che Zaseckij, almeno all’inizio, non può rileggere i propri pensieri appena messi sulla carta se non tra enormi difficoltà. Malgrado ciò egli decide quasi da subito di raccontare la propria esperienza in un diario, che intitola in modo toccante Lotto ancora! Il diario però, costituito com’è da migliaia di pagine dal contenuto talora lucido, talora più contorto, non risulta qualcosa di fruibile per un lettore terzo.

Lurija, allora, con il consenso del proprio paziente, decide di utilizzarlo come materiale grezzo per un libro, appunto questo Un mondo perduto e ritrovato, nel quale egli lascia spesso la parola al racconto in prima persona di Zaseckij per illustrarne in terza il sostrato fisiologico e spiegarne l’evoluzione. Il libro è quindi costruito sul contrappunto tra il diario del protagonista e il commento partecipe dello scienziato, che è anche confidente e amico.

Ho ripetuto spesso a tutti – scrive Zaseckij – che dopo essere stato ferito sono diventato un’altra persona, che sono stato ucciso nell’anno 1943, il 2 marzo, ma grazie a una particolare forza vitale dell’organismo sono rimasto vivo per miracolo.

Sono parole impressionanti che riflettono una condizione esistenziale che ha l’apparenza di un sogno pauroso e feroce. Il ferito non ha perso la memoria della sua condizione anteriore; ricorda di essere stato uno studente brillante, un uomo pronto a mettere i propri studi al servizio del Paese, un comandante di plotone determinato a guidare i suoi uomini contro i nazisti. Poi tutto è crollato: la pallottola – commenta Lurija – gli ha attraversato il cervello e ha frantumato il suo mondo. Ha frammentato lo spazio, ha infranto i legami tra le cose. Dopo il ferimento Zaseckij vive dunque in un mondo disgregato, frantumato in mille pezzi; non capisce lo spazio, che gli fa paura; ha smarrito la determinatezza del mondo.

Anche riacquistare la capacità di leggere presenta dei problemi drammatici. La compromissione di parte dell’area temporale sinistra rende pressoché invisibile ciò che Zaseckij pure ricorda come la parte destra del proprio campo visivo. Egli quindi vede poche lettere per volta e ogni lettera deve nuovamente impararla a riconoscere, perdendo e recuperando più volte la nozione prima di fissarla una volta per tutte. La stessa differenza tra destra e sinistra, tra nord e sud, risulta problematica. Il suo senso dell’ orientamento risulta quindi per forza di cose limitato. Chi è sano non potrà mai capire la profondità della mia malattia, scrive Zaseckij. Pur consapevole che non sarà più l’uomo di prima, egli però non abbandona mai il proposito di recuperare in parte le proprie facoltà, di tornare a poter lavorare e rendersi utile nonostante le proprie limitazioni. La grande statura morale di questa persona, quindi, nonostante il recupero a malapena parziale delle capacità pratiche, costituisce di per sé un messaggio di speranza per l’umanità.

L’edizione italiana è arricchita da un saggio introduttivo di Sacks che testimonia il proprio debito verso Lurija; ma anche da una post-fazione di Luciano Mecacci che completa il ritratto disegnato da Sacks.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Lurja, A. (2015)- Un mondo perduto e ritrovato, trad. it. Milano, Adelphi 2015.
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