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Neurocezione e relazioni sociali: Il contributo della Teoria Polivagale

Cos'è la Neurocezione e che ruolo svolge nelle relazioni sociali? Stephan Porges spiega come funziona il sistema nervoso per salvaguardare la sopravvivenza

Di Camilla Marzocchi

Pubblicato il 09 Ott. 2014

Molto spesso la sofferenza psicologica è determinata proprio dal “fallimento” della neurocezione e può riguardare due aspetti centrali per la nostra sopravvivenza: l’incapacità di disattivare il sistema di difesa in condizioni di sicurezza o al contrario l’impossibilità di attivare comportamenti difensivi in situazioni di pericolo.

Osservando i neonati o bambini molto piccoli è esperienza molto comune vederli reagire in modo diverso allo stesso gioco o allo stesso abbraccio in presenza di persone diverse. Allo stesso modo possono ricercare attivamente l’attenzione di un estraneo o sentirsi terrorizzati dal suo solo ingresso nella stanza in cui fino ad un attimo prima giocavano serenamente. Cosa determina queste reazioni?

Secondo il modello di Stephan Porges, già discusso in precedenti contributi sull’argomento, il nostro sistema nervoso sarebbe costantemente impegnato nella valutazione dei rischi, attraverso la continua elaborazione di informazioni e stimoli che dall’ambiente raggiungono i nostri sensi: Neurocezione è il termine coniato dal Prof. Porges per spiegare questo processo.

La nostra eredità come specie ha reso necessaria sin da subito questa abilità per riconoscere i predatori e ancora oggi questo istinto resta scritto nei circuiti neurali più primitivi e ci porta ad avere comportamenti di socializzazione verso persone familiari e comportamenti difensivi verso gli estranei. Il tutto avviene in base a quanto ci sentiamo al sicuro e questo sin dai primissimi attimi di vita!

Molto spesso la sofferenza psicologica è determinata proprio dal “fallimento” della neurocezione e può riguardare due aspetti centrali per la nostra sopravvivenza: l’incapacità di disattivare il sistema di difesa in condizioni di sicurezza o al contrario l’impossibilità di attivare comportamenti difensivi in situazioni di pericolo.

Le moderne tecniche di neuroimaging ci hanno dato la possibilità di individuare le aree del cervello che si “accendono” tutte le volte che ci sentiamo al sicuro (lobi temporali) e che sono in grado di “spegnere” i circuiti neurali responsabili delle risposte difensive (attacco, fuga, freezing, svenimento). Le stesse aree temporali promuovono i processi di affiliazione e comportamenti pro sociali tra esseri umani, grazie all’attivazione di ormoni che favoriscono un legame empatico, positivo e cooperativo.

Uno dei più coinvolti nella capacità di costruire e trarre benessere dalla relazione con gli altri è l’ossitocina: molto presente durante le ultime fasi della gravidanza, il parto e le primissime fasi di vita del bambino, viene rilasciata nel nostro cervello ogni volta che da adulti sentiamo piacere nel contatto o nell’abbraccio di una persona cara, ogni volta che riusciamo a sentire profonda intimità con l’altro. Al contrario non vi è alcun rilascio di ossitocina se ci sentiamo minacciati da un contatto o dall’abbraccio di qualcuno. La stessa esperienza non è più fonte di sicurezza e, dunque, neanche di piacere. 

Il passo successivo all’inibizione dei circuiti difensivi è dunque guadagnare la prossimità fisica e il contatto. Quali sono i segnali del corpo che consentono di ridurre la distanza e di entrare in contatto con gli altri?

Il modo in cui l’altro si muove verso di noi, con il suo corpo e con la sua presenza, determina indubbiamente la lettura che facciamo delle sue intenzioni: ci aiuta a distinguere una ricerca di contatto intimo e affettuoso da una ricerca di contatto violento, minaccioso.

Se tuttavia il sistema di attaccamento sociale fosse legato alla sola lettura ed espressione del movimento volontario, i neonati sarebbero enormemente svantaggiati proprio perché in loro lo sviluppo neurale del sistema motorio corticale, legato al movimento intenzionale, è completamente immaturo.

La ricerca di contatto e prossimità sembra piuttosto dipendere, all’inizio della nostra vita, dal modo in cui muoviamo i muscoli del volto e della testa, regolati da vie neurali più primitive che legano la corteccia al tronco cerebrale (vie cortico spinali). Attraverso questi muscoli riusciamo a dare espressione al volto, a regolare il tono della voce, a direzionare lo sguardo e a distinguere la voce umana tra rumori di fondo.

Queste vie neurali sono sufficientemente sviluppate sin dalla nascita e consentono al neonato di attivare il caregiver attraverso vocalizzazioni e smorfie e di entrare in contatto con il mondo attraverso la direzione dello sguardo, il sorriso e la suzione.

La regolazione neurale e la tonicità dei muscoli del volto e della testa influenzano dunque enormemente come ognuno di noi percepisce l’altro e come l’altro legge le nostre emozioni; il perfezionamento di questa regolazione reciproca e positiva riduce gradualmente la distanza necessaria alla sicurezza, favorendo la costruzione di una maggiore intimità e, nel tempo, di un legame affettivo più forte e solido.

Questo ‘scambio di segnali di sicurezza’ permette a noi esseri umani, sin dalla nascita e poi da adulti, di mantenere il legame e comunicare efficacemente con l’altro attraverso:

 – il contatto oculare, 

– le vocalizzazioni o un tono di voce in grado di attirare gli altri, 

– il ritmo e il suono della voce, 

– le espressioni facciali congrue a come ci sentiamo e 

 la modulazione dei muscoli dell’orecchio medio, per distinguere la voce umana dai rumori di fondo. 

Al contrario, quando la tonicità e la regolazione di questi muscoli è ridotta, la risposta del corpo cambia e cambiano i messaggi che diamo e che riceviamo dagli altri:

– le palpebre sono più chiuse e limitano il contatto oculare, 

– la voce diventa più stereotipata e perde le inflessioni, 

– le espressioni facciali positive scompaiono, 

– la percezione del suono della voce umana diventa meno intensa, 

– la sensibilità e l’interesse per la vicinanza dell’altro si riduce drasticamente. 

La ridotta tonicità e reattività dei muscoli del volto può essere causata da molte situazioni: succede automaticamente in risposta alla neurocezione di un pericolo o di una minaccia alla propria vita proveniente dall’ambiente esterno (es. persona, situazione, evento stressante) oppure può essere determinata da un’alterazione dell’equilibrio interno (es. malattia, dolore fisico, malessere psicologico).

Il nostro modo di interagire con gli altri e di ingaggiarci in legami sociali può variare enormemente in tutte queste situazioni. E’ importante sottolineare a questo proposito come non è solo l’attivazione intensa di questi muscoli legata ad emozioni negative (rabbia, paura) ad essere riconosciuta come pericolosa dal nostro sistema neurocettivo, ma anche un’espressione piatta (still face) come quella di un genitore depresso o di un bambino malato può essere percepita come minacciosa per la vita e inibire la regolazione affettiva spontanea nei processi di interazione sociale e nella lenta costruzione di legami di reciprocità.

In presenza di disturbi psichiatrici e di sofferenza psicologica, in cui la minaccia è spesso interna e legata ad una cronica incapacità di sentire e mantenere un senso di sicurezza personale, si è spesso portati a vivere il rapporto con l’altro in modo estremo e disfunzionale cercando la regolazione affettiva (e neurobiologica) di cui abbiamo bisogno in modo pressante e incongruo o talora rinunciando a questa regolazione, rifiutando ogni contatto, disinvestendo completamente nella possibilità di essere aiutati o confortati dalla sola vicinanza dell’altro.

Anche nelle relazioni adulte, e la psicoterapia è spesso soprattutto questo, è possibile rintracciare questi segnali di disarmonia (difficoltà nel mantenere una contatto oculare, occhi chiusi, sguardo in basso, testa reclinata in basso o lateralmente, voce alta o improvviso calo del tono di voce, espressioni del viso incongrue rispetto al dialogo in corso,..) e riuscire a leggerli in tempo, su se stessi e sugli altri, può aiutare nel ripristinare una buona regolazione e una più efficace comunicazione.

Grazie al Prof. Porges ora sappiamo che tutti questi cambiamenti hanno a che fare con sistemi neurobiologici molto primitivi e ci segnalano sempre che qualcosa di importante sta avvenendo nella relazione o nella situazione in cui siamo. Sta a noi coglierli o lasciarli inosservati.

DA SEGNALARE:

Per ulteriori approfondimenti su aspetti clinici della Teoria Polivagale, il Prof. Porges sarà a Milano il 25 e il 26 Ottobre 2014 in occasione del Convegno dal titolo: “APPLICAZIONI CLINICHE DELLA TEORIA POLIVAGALE: IL POTERE TRASFORMATIVO DELLA SENSAZIONE DI SICUREZZA”.

 

ARTICOLO CONSIGLIATO:

La Teoria Polivagale: fisiologia della paura – Report dal Congresso 

 

 

BIBLIOGRAFIA:

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