Il disturbo dell’apprendimento non verbale (Nonverbal Learning Disability, NLD) si caratterizza per una compromissione delle abilità visuospaziali, ovvero non verbali, mentre rimangono preservate le abilità di natura verbale.
Tale disturbo non è incluso nel DSM-5 (APA, 2013), di conseguenza per la sua definizione e comprensione si fa riferimento al modello di Rourke (Rourke, 1995; Harnadek e Rourke, 1994) e ai più recenti studi e criteri proposti da Cornoldi e colleghi nel libro “Nonverbal Learning Disabilities” (Cornoldi et al., 2016). Il funzionamento dei bambini con disturbo dell’apprendimento non verbale è stato approfondito nell’articolo “Il Disturbo dell’apprendimento non verbale: un nuovo disturbo tra i DSA”.
Le modalità in cui i deficit nelle abilità visuospaziali influenzano le altre aree possono essere varie. Alcuni studiosi hanno riscontrato che i bambini con disturbo dell’apprendimento non verbale fanno più fatica nel mantenere ed elaborare informazioni in memoria di lavoro quando sono di natura visuospaziale (Mammarella et al., 2010). Un altro gruppo di lavoro si è focalizzato sulla difficoltà di immaginazione e di visualizzazione, e come queste possano influire significativamente sull’abilità di comprensione del testo (Mammarella et al., 2015).
Un’ulteriore area che risente delle difficoltà nell’elaborazione di informazioni visive e spaziali è quella del linguaggio, in particolare la parte pragmatica (Mammarella e Cornoldi, 2020), ovvero la capacità di utilizzare il linguaggio in modo efficace e appropriato nell’interazione con le altre persone. Nei bambini con disturbo dell’apprendimento non verbale la forma linguistica non è deficitaria, in quanto le capacità verbali sono preservate, mentre la capacità di utilizzare il linguaggio in modo funzionale mostra delle cadute. Tra le limitazioni comunicative che manifestano questi bambini possiamo osservare: la mancanza di prosodia vocale, ovvero l’intonazione; una marcata verbosità che si manifesta con l’utilizzo di molte parole; una maggiore difficoltà nella comprensione inferenziale del linguaggio di materiali di tipo spaziale ed emotivo (Humphries et al., 2004), che include anche difficoltà nella comprensione di modi di dire, figure retoriche, metafore e umorismo (Smerud-Clikeman e Glass, 2008).
Disturbo dell’apprendimento non verbale e riconoscimento delle emozioni
La presenza di queste difficoltà a livello di comunicazione e linguaggio, secondo Rourke (1994), favorisce i feedback negativi da parte dell’interlocutore e una conseguente difficoltà di adattamento sociale. Inoltre, sempre Rourke (1994), ritiene che i bambini con disturbo dell’apprendimento non verbale abbiano difficoltà di giudizio sociale per incapacità di formazione di concetti astratti, ma soprattutto sostiene che abbiano scarsa capacità di riconoscere emozioni, stati d’animo altrui e linguaggio non verbale. A questo proposito, lo studio condotto da Petti e colleghi (2003) si è occupato proprio di valutare la capacità di comprendere alcune emozioni di base, quali gioia, rabbia, tristezza, paura, espresse in tre modalità: con il volto, con la gestualità corporea (ma senza il volto) e verbalmente. È emerso che i bambini con disturbo dell’apprendimento non verbale erano meno accurati nel riconoscere le emozioni quando venivano proposti volti e gesti corporei, soprattutto quando appartenevano ad adulti, rispetto ai gruppi senza difficoltà nelle abilità verbali (detti “di controllo”). Tuttavia, è interessante notare che quando i gesti del corpo e le emozioni facciali erano espresse da bambini, i soggetti con disturbo dell’apprendimento non verbale hanno mostrato minore difficoltà nell’identificarli correttamente. Secondo gli autori questo risultato è riconducibile a una maggiore familiarità con i volti dei bambini che esprimono emozioni.
In un altro studio (Semrud-Clikeman et al., 2014) è stato mostrato un video in cui erano rappresentate delle scene di interazione tra bambini con una caratteristica particolare: il contenuto verbale era mascherato, ovvero veniva distorto l’audio per impedire la comprensione delle parole specifiche, ma rimaneva riconoscibile l’intonazione del linguaggio (CASP; Magill-Evans et al., 1995). Questa tipologia di compito prevede che il bambino faccia affidamento solamente sulle informazioni non verbali nelle interazioni osservate. Anche in questo caso, in linea con lo studio precedente, i bambini con disturbo dell’apprendimento non verbale sono stati in grado di riconoscere le emozioni quando queste venivano espresse da bambini, tuttavia hanno mostrato difficoltà significativamente maggiori nell’interpretazione dei segnali non verbali quali le espressioni facciali, il linguaggio del corpo e la prosodia.
Conclusioni
In conclusione, come hanno mostrato gli studi riportati, la capacità di identificare le emozioni specifiche in coetanei sembra essere preservata, tuttavia persiste la difficoltà nel decodificare e comprendere correttamente i segnali non verbali delle informazioni in entrata. Tale aspetto, insieme al deficit nel linguaggio pragmatico, possono avere ripercussioni sulla qualità delle interazioni, in termini di una scorretta identificazione delle intenzioni e del significato del comportamento non verbale dell’altro, mettendo in atto risposte incoerenti e inappropriate, ottenendo eventuali feedback negativi per mancata comprensione. Dunque, è di fondamentale importanza, che durante il trattamento dei bambini con NDL sia previsto un lavoro sul miglioramento di questi aspetti per potenziare le competenze sociali e relazionali, a cui associare attività mirate alla socializzazione per attenuare possibili conseguenze negative sia nel momento presente che nel periodo adolescenziale (Cornoldi, 2019).