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Neuroscienze: Il filtro Neuronale degli stimoli nervosi per la Memoria

Memoria: Un sistema a filtro nei neuroni per selezionare gli stimoli nervosi più importanti e inibire gli altri: avvviene nei dendriti.

Pubblicato il 21 Set. 2012

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Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze Psicologiche

Un sistema a filtro nei neuroni per selezionare gli stimoli nervosi più importanti e inibire gli altri: avvviene nei dendriti. 

Ogni attività nel cervello comporta il passaggio di segnali tra i neuroni; si stima che anche 1.000 segnali possano piovere su un singolo neurone contemporaneamente. Per garantire che specifici segnali raggiungano la destinazione, il cervello possiede un sofisticato sistema inibitorio. Stefan Remy ei suoi colleghi del German Center for Neurodegenerative Diseases e della Bonn University hanno fatto luce su come funziona questo meccanismo.

Il sistema si comporta come un filtro, lasciando passare solo gli impulsi più importanti, spiega Remy. “Questo produce degli schemi neuronali specifici che sono indispensabili per la conservazione a lungo termine nella memoria.

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I ricercatori si sono chiesti come funzioni questo raffinato sistema di controllo e come i segnali inibitori siano in grado di produrre specifici segnali di uscita. Da tempo si sa che questo sistema inibitorio è fondamentale per il processo di apprendimento e ci sono evidenze del fatto che questo si inceppi nei pazienti con Alzheimer. Remy e il suo team hanno studiato le cellule nervose dell’ippocampo, una regione del cervello che svolge un ruolo cruciale nella formazione della memoria.

Le informazioni che impariamo o ricordiamo vengono elaborate nel cervello attraverso impulsi nervosi. I segnali in ingresso entrano nella cellula come segnali eccitatori, dove vengono trasformati da strutture ramificate, i dendriti, e vengono inviati selettivamente ai neuroni vicini. I dendriti in questa regione del cervello servono come amplificatori per segnali sincroni.

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Siamo stati in grado di dimostrare che in specifici dendriti, i dendriti “forti”, i segnali cluster vengono amplificati molto bene. I dendriti “deboli” invece trasmettono segnali solo in alcune fasi“, spiegano i ricercatori. I dendriti sono eccitabili in misura diversa: quelli “forti” trasmettono segnali eccitatori sincroni in modo molto preciso e affidabile, e possono resistere a qualsiasi inibizione. Questo assicura che alcuni segnali, presumibilmente quelli più rilevanti per l’apprendimento e la memoria, vengano trasmessi in modo affidabile.

Ciò si traduce in schemi di attivazione che si ripetono periodicamente, creando una co-attivazione di gruppi di cellule specifiche (assembly). Per cui per l’immagazzinamento nella memoria a lungo termine alcuni gruppi neuronali devono essere ripetutamente attivati nello stesso ordine. Questi modelli di attività sono abilitati dal sistema inibitorio. Ciò spiega perché la mancanza di questo sistema in pazienti affetti da Alzheimer abbia conseguenze così drammatiche. Senza di esso, infatti, l’archiviazione delle associazioni in memoria a lungo termine non può avere luogo.

I segnali che vengono ricevuti dai dendriti “deboli” possono essere trasmessi soltanto durante le fasi di inibizione debole; grazie alla “plasticità intrinseca” alcuni dendriti possono tuttavia essere trasformati in “forti” durante questo processo. Solo se la trasformazione avviene i dendriti saranno in grado di trasmettere un segnale specifico. Questo meccanismo di apprendimento del tutto nuovo, che avviene per lo più durante le fasi di attività intensa, come quando sperimentiamo qualcosa di nuovo, si verifica a livello dei dendriti e non a livello sinaptico, come già era stato osservato in precedenza

I risultati di Remy e dei suoi colleghi rappresentano un passo importante verso una migliore comprensione dei meccanismi di apprendimento e memoria.

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