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Alpbach e Bologna: due congressi non anglofoni sui disturbi alimentari.

Disturbi Alimentari - Alpbach Bologna 2011 - Immagine: © waterlilly - Fotolia.com -Nell’ultimo mese ho partecipato a due congressi sui disturbi alimentari. Il 20-22 ottobre ero ad Alpbach nel Tirolo austriaco. Alpbach è acquattato in una valle poco dopo Innsbruck. È un paesino dove ogni anno si svolge il congresso in lingua tedesca (il mio tedesco è elementare, ma le diapositive le comprendo) dei disturbi alimentari. Il secondo a Bologna in questi giorni dal 18 al 20 novembre, ed è il congresso della società italiana dei disturbi alimentari, la SISDCA.

Il congresso SISDCA, come quello di Alpbach, è un congresso di clinici. Professionisti che provengono da un’intera area linguistica, germanofona o italofona, per parlare di casi clinici. Non si parla in inglese perché non si condividono dati, o non troppi dati. Bensì si condivide sapienza clinica, per la quale è necessario potersi esprimere colloquialmente e non si può usare l’inglese afono dei congressi internazionali.

Occorre riflettere sul valore di questo tipo di congressi. Essi rischiano di essere messi troppo in ombra dai grandi congressi internazionali anglofoni. In quei prestigiosi congressi si mette in mostra la grande ricerca internazionale, quantitativa e generalizzante. Nomi famosi salgono sulle pedane a parlare. Ad Alpbach e a Bologna arrivano colleghi più oscuri che lavorano con i pazienti e che vogliono ascoltare e condividere l’esperienza del paziente singolo. Si cerca una sapienza più empirica e meno rigorosa perché si tratta di professionisti che devono trattare pazienti singoli, persone singole. Senza contrapporsi alla scienza generalizzante e quantitativa. Si tratta di un diverso bisogno.

Sia qui a Bologna che ad Alpbach i clinici usano un linguaggio psicodinamico (soprattutto a Bologna) o sistemico (ad Alpbach). Tuttavia tutti hanno un’infarinatura delle tecniche cognitive e ne danno per scontata l’utilità, anche se però dell’intervento cognitivo se ne parla poco. Le tecniche cognitive? Tutti sia ad Alpbach che a Bologna ammettono che vengono usate in quella che loro chiamano “la fase iniziale”. Certo, da buoni psicodinamici questi clinici le considerano “superficiali”, e spesso le conoscono male, affidandole a colleghi cognitivisti specializzati (tra cui i nostri allievi) e le giudicano propedeutiche a un cosiddetto lavoro “profondo”. La cosa può farci sorridere o infastidirci, ma è anche vero che qui ci sono professionisti che prendono in carico pazienti gravi e cronici e se li portano dietro per anni. Dalla loro trincea il protocollo cognitivo di 6 o 12 sedute è davvero solo l’inizio.

Ad esempio, tra le varie relazioni c’era quella di un kleiniano molto ortodosso, che ha parlato inizialmente di pulsione di morte. Concetti discutibili, certo. Eppure, passata la buriana kleiniana, costui ha descritto un paio di casi clinici con espressività, interesse e raccontandoci varie cose che lui sa dire ai suoi pazienti. Nulla di trascendentale, eppure molto di utile. Per esempio, ha raccontato che molte delle sue pazienti saranno sempre sottopeso, e ha quasi simulato una seduta nei pochi minuti che aveva a disposizione, tutta giocata sul “va bene, rimanga secca però sana e contenta. Come può esserlo? Come possiamo ottenerlo? È davvero necessario essere non solo magre, ma anche tristissime? Ma perché?” Non male, soprattutto dal vivo.

A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che però nei paesi di lingua inglese questa sfasatura non dovrebbe esserci. Non lo so. Io ho l’impressione che il mondo clinico anglo-sassone è un continente ignoto e sommerso, coperto dalla pellicola sfavillante della grande ricerca in lingua inglese, che naturalmente in quei paesi copre ancor di più di quanto accada da noi o in Germania il linguaggio quotidiano, comune e più impreciso dei clinici. Ma un segnale l’ho percepito. Ad Alpbach in plenaria si parlava inglese. E relazionavano un paio di inglesi (anche due tedeschi, di cui uno solo parlava inglese; l’altro si esprimeva in tedesco). Tra gli inglesi, interessante la relazione di Dasha Nicholls, del gruppo scozzese di Brian Lask. Costei ha presentato dati sull’interazione tra ricerca e clinica. La domanda era: quanti clinici nel Regno Unito effettivamente applicano i protocolli? Ebbene, pochissimi. Non vorrei sbagliare, ma forse meno di venti su un campione di quasi settecento. Questo non vuol dire che i protocolli cognitivi non siano conosciuti e usati. Solo che sono usati come da noi in Italia o in Germania: come fonti di tecniche, interventi, strumenti e (perché no?) trucchi. Ma il protocollo dettagliato e per filo e per segno, quello quasi nessuno lo applica. Nemmeno in Inghilterra.

La conclusione? Nulla di catastrofico. Ma una cosa è certa: i protocolli cognitivi vanno ripensati in termini di applicabilità concreta. Oppure no. Forse vanno bene così come sono, come manuali di idee che nessuno si sognerebbe di applicare alla lettera. La lettera uccide, in fondo.

 

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Reappraisal di un volto collerico: è possibile allenarsi?

-Rassegna Stampa-

Rassegna Stampa - State of Mind - Il Giornale delle Scienze PsicologicheAlcuni ricercatori di Stanford, tra cui il famoso studioso di regolazione emotiva James J. Gross,  hanno recentemente indagato l’efficacia e la velocità del processo di reappraisal, e cioè di ri-valutazione di espressioni facciali della  collera. Nello studio venivano mostrate ai soggetti diverse serie di volti in diverse condizioni sperimentali e venivano quindi valutate le loro reazioni emotive. Per esempio, in un caso, veniva detto ai partecipanti di considerare che le persone ritratte avevano avuto una terribile giornata, quindi rendendo più saliente per i soggetti che l’emozione espressa dai volti non fosse diretta a loro. Dai risultati è emerso che questa semplice manovra cognitiva “facilitava” le persone ad essere meno infastidite ad una successiva visione di quell’espressione collerica; d’altra parte, quando ai soggetti veniva semplicemente detto di vivere l’emozione che suscitava loro la visione di un volto collerico, continuavano ad esserne infastiditi.  Alla misurazione dell’attività elettrica cerebrale si è evidenziato che il processo di re-appraisal facilitato letteralmente cancella dalla rilevazione di attività elettrica i segnali tipici delle emozione negative che invece erano presenti non appena appariva il volto collerico. La ricerca suggerisce che, se le persone vengono in qualche modo preparate e “allenate”, il processo di re-appraisal può essere più efficace, veloce e significativo. La ricerca verrà pubblicata a breve su Psychological Science.

Leggi la Press Release: LINK

Estrogeni Menopausa e funzioni Cognitive: una “magra consolazione”

Estrogeni Menopausa e Funzioni Cognitive - Immagine: © meletver - Fotolia.com

Diamo per scontato che una condizione di sovrappeso, soprattutto in post-menopausa, sia per le donne un fattore di rischio per diverse patologie tra cui il cancro, il diabete e malattie dell’apparato cardiocircolatorio; ma forse a fronte di tanti svantaggi la ricerca ha oggi rintracciato un vantaggio nell’essere in sovrappeso. Pare che sia protettivo rispetto al declino delle funzioni cognitive: le donne che hanno maggior presenza di estrogeni nelle cellule adipose rischiano meno rispetto alle normopeso.

Lo studio è stato condotto dai ricercatori della Scuola di Farmacia e Biochimica, Dipartimento di Fisiologia, e dall’istituto Cardiovascolare di Buenos Aires. La dott.ssa Ziberman, coordinatrice dello studio, ha coinvolto nella ricerca 300 donne in post-menopausa (età media 60 anni).

La divisione nei due gruppi è stata realizzata utilizzando il BMI (Body Mass Index): 158 partecipanti sono state considerate in sovrappeso, mentre le restanti sono entrate nel gruppo delle normopeso. L’intero campione è stato sottoposto a una serie di test per valutare le funzioni cognitive e in particolare venivano valutate la memoria, la capacità di problem solving, il ragionamento verbale e le funzioni esecutive.

I risultati, mostrati alla Physiology of Cardiovascular Disease Gender Disparities Conference (University of Mississippi), evidenziano che il valore del BMI correla positivamente con alti livelli nelle funzioni cognitive. La Ziberman spiega questi dati partendo dall’ipotesi che gli estrogeni possano essere protettivi della funzione cognitiva e mettendo in relazione questo dato al fatto che dove vi è un aumento del tessuto adiposo vi è un aumento di estrogeni. Da qui la possibilità che gli ormoni sessuali femminili possano essere un aiuto naturale per mantenere inalterate le facoltà cognitive. Questo sarebbe per altro in linea con il fatto che molti istituti di ricerca hanno raccomandato gli estrogeni come intervento preventivo in caso di demenza o alterazione cognitiva.

Tuttavia, considerando gli svantaggi e i fattori di rischio del sovrappeso, non ci si potrà nascondere dietro l’alibi del cucchiaio di nutella o della fetta di sacher salva memoria. E così, conclude la Ziberman, la condizione ideale sarebbe avere un peso nella norma ed eventualmente integrare la presenza di ormoni, ovviamente sotto consiglio medico.

 

BIBLIOGRAFIA:

 

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Effetto Stroop

Psicopedia - Proprietà di State of Mind

Uno dei fenomeni più noti in psicologia sperimentale è l’effetto Stroop. Prende il nome da J. Ridley Stroop, che scoprì questo fenomeno nel 1935, e lo fece conoscere a tutti attraverso l’articolo Studies of interference in serial verbal reactions nel Journal of Experimental Psychology. Tuttavia, tale compito sperimentale è stato pubblicato per la prima volta da Jaensch nel 1929 in Germania, e successivamente è stato ripreso nelle opere di James McKeen Cattell e Wilhelm Wundt nel diciannovesimo secolo. L’articolo originale è stato uno dei lavori più citati nella storia della psicologia sperimentale.

Durante l’esperimeno di Stroop al soggetto vengono mostrate delle parole scritte con colori diversi. Il compito consiste nel pronunciare a voce alta il colore dell’inchiostro cui è scritta la parola. Quindi, il colore è l’informazione rilevante per lo svolgimento del compito, mentre il significato della parola (che non deve essere letto) è l’informazione non rilevante.

Gli stimoli presentati nel compito di Stroop possono essere di tipo neutro, congruente e incongruente. Si parla di neutri quando si visualizza solo il testo o solo colore. Mentre, si ha congruenza quando la parola «rosso» è scritta in rosso, e incongruenza quando la parola «rosso» è scritta in verde. Si ricordi che la risposta richiesta è il nome del colore, cioè rosso nel primo caso e verde nel secondo. Stroop (1935) notò che i partecipanti sottoposti al compito di denominazione presentavano tempi di risposta più lenti se il colore dell’inchiostro era diverso dal significato della parola scritta, nonostante fossero istruiti affinché non tenessero conto del significato della parola. L’effetto Stroop, dunque, consiste nel produrre una risposta avente latenza più lenta nel caso della condizione incongruente e più veloce nel caso della condizione congruente.

Lo scopo è quello di creare una interferenza cognitiva e semantica: in questo caso ad esempio, la mente tende a leggere meccanicamente il significato della parola (ad esempio legge la parola “rosso” e pensa al colore “rosso”, ma l’inchiostro usato è di colore diverso). Per questo motivo, il test di Stroop rappresenta una consolidata procedura sperimentale per lo studio dell’attenzione selettiva.

Esistono due teorie in grado di spiegare l’effetto Stroop:

1. Teoria della Velocità di elaborazione: l’interferenza si verifica perché le parole sono lette più velocemente rispetto all’individuazione del colore con cui sono state scritte.

2. Teoria dell’Attenzione selettiva: l’interferenza si verifica a causa dei nomi dei colori che richiedono una maggiore attenzione rispetto alla lettura delle parole.

Il paradigma di Stroop è stato largamente utilizzato per studiare le funzioni cerebrali attraverso le tecniche di imaging cerebrale. Il test è stato modificato includendo diverse per studiare l’effetto del bilinguismo o per indagare l’effetto dell’interferenza cognitiva sulle emozioni. Inoltre, è stato utilizzato per studiare la velocità di elaborazione di uno stimolo, le funzioni esecutive, la memoria di lavoro e lo sviluppo cognitivo in diversi settori. La ricerca sull’età evolutiva che utilizza lo Stroop dimostra che il tempo di reazione diminuisce sistematicamente dalla prima infanzia fino all’inizio dell’età adulta. Questi cambiamenti suggeriscono che la velocità di elaborazione aumenta con l’età e che il controllo cognitivo diventa sempre più efficiente. I cambiamenti di questi processi con l’età sono strettamente associati allo sviluppo nella memoria di lavoro e a vari aspetti del pensiero.

Ci sono diverse varianti del test che comunemente sono usate in ambito clinico con soggetti con lesioni cerebrali, affetti da demenze, da malattie neurodegenerative, da deficit di attenzione iperattività o con disturbi mentali, come la schizofrenia, le diverse forme di dipendenza e la depressione.

L’Elettroencefalogramma e il Neuroimaging funzionale hanno evidenziato durante lo svolgimento di un compito di Stroop l’attivazione nel lobo frontale e più specificamente del cingolo anteriore e della corteccia prefrontale dorsolaterale , due strutture responsabile del monitoraggio e della risoluzione dei conflitti. Di conseguenza, i pazienti con lesioni frontali ottengono punteggi inferiori nel test di Stroop rispetto a quelli con lesioni più posteriori.

Infine, sono stati realizzati dei video game che utilizzano come base il paradigma di Stroop, ad esempio il Brain Age: Train Your Brain in Minutes a Day software prodotto da Ryuta Kawashima per il Nintendo DS , e il Nova utilizzato per rilevare i cambiamenti della flessibilità mentale in relazione all’altitudine per coloro che scalano le montagne.

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Stroop, J. R. (1935).Studies of interference in serial verbal reactions. Journal of Experimental Psychology 18, 643–662.
  • Jaensch, E.R. (1929). Grundformen menschlichen Seins. Berlin: Otto Elsner.
  • van Maanen L, van Rijn H, Borst JP (2009). Stroop and picture-word interference are two sides of the same coin. Psychon Bull Rev, 16, 987–99.
  • Kaufmann, L., Ischebeck, A., Weiss, E., (2008). An fMRI study of the numerical Stroop task in individuals with and without minimal cognitive impairment. Cortex , 44, 1248–55.
  • Roberts, K.L., Hall, D.A. (2008). Examining a supramodal network for conflict processing: a systematic review and novel functional magnetic resonance imaging data for related visual and auditory stroop tasks. Journal of cognitive neuroscience, 20, 1063–78.
  • Rosselli M, Ardila A, Santisi MN, et al. (September 2002). Stroop effect in Spanish-English bilinguals. Journal of the International Neuropsychological Society, 8, 819–27.

 

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LGBT e terza età: nuova ricerca USA

-RASSEGNA STAMPA-

Gay, Lesbo, Bisex e Transgender: l'approssimarsi della terza età. - Rassegna StampaGay, Lesbian, Bisex e Transgender all’approssimarsi della terza età: una ricerca statunitense finanziata dal National Institute Health

Lo studio, presentato il 16 novembre da Karen Fredriksen-Goldsen e colleghi della University of Washington’s School of Social Work, segnala specificità di bisogni, condizioni e risorse di individui di omosessuali, bisessuali e transessuali che invecchiando raggiungono la soglia della terza età. La survey è stata condotta su 2.560 adulti omosessuali, bisessuali e trans-sessuali di età compresa tra i 50 e i 95 anni residenti negli Stati Uniti. I risultati dello studio evidenziano come, rispetto a un campione di controllo di adulti eterosessuali, gli anziani non-eterosessuali presentino punteggi più elevati di disabilità, depressione, solitudine e abuso di alcool; a livello sociale è più frequente che vivano soli, non coniugati rispetto ai coetanei eterosessuali, e spesso senza l’appoggio di figli. La buona notizia tuttavia è che gli anziani omosessuali e bisessuali sarebbero più resilienti, più proattivi nel prendersi cura di sé e più attivi nel costruire e mantenere attive le loro comunità. Dallo studio emerge che il 91% degli intervistati praticano attività sportive e meditative, e provano sentimenti positivi riguardo l’appartenenza a una specifica comunità: nello specifico le connessioni sociali con i pari risultano decisamente più solide, supportive e assistenziali rispetto a quanto accade per i coetanei eterosessuali.

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Anxiety and Emotional Conversations between Mothers, Fathers and Children.

Parents’ words and anxiety disorders – Part 6

Anxiety and Emotional Conversations between Mothers, Fathers and Children - Fotografia: © James Steidl - Fotolia.comThroughout this series, there has been a focus on the importance of mothers rather than fathers in the transmission of anxiety. There are many reasons for this; research has shown that mothers do in fact play a more central role in their children’s development than fathers. Other less scientific factors are also in play, for example, fathers are less likely to participate in research. As I mentioned in the fourth installment of this series, in this part I will cover one study in particular, which investigated the impact of mothers and fathers on these conversations. Importantly, this study also examined the differences in male and female children.

Suveg, Sodd, Barmish, Tiwari, Hudson and Kendall (2008) examined emotional socialization in anxious (n = 28) and control (n = 28) children and their families, including fathers. Diagnoses were assessed using a popular structured clinical interview. Like the previous study, parents were asked to have five minute emotion discussions with their children concerning times when children felt anxious, angry and happy.

  • Parental speech was examined for total number of words, discouragement of emotion, explanation of emotion, tone, and emotion regulation in each discussion.
  • Child speech was examined for attempts at problem solving and maladaptive, avoidant behavior.

The results were discussed examining maternal, paternal and child discourse style. Compared to fathers of control children, fathers of children with an anxiety disorder displayed less positive affect, more negative affect, less explanatory discussions of emotion, and more overall emotion when interacting with their sons. Similar results appeared when examining maternal discourse. With their sons, mothers of control children discussed more emotion during anxious situations than mothers of anxious children. Mothers of control children also showed more positive affect than mothers with anxious children. Finally, mothers of anxious children showed more negative affect than mothers of control children across all three discussions. Across all emotion discussions, control children showed more positive affect than children with anxiety disorders. Finally, compared to control children, children with anxiety disorders were 5.25 and 15.23 times more likely to express maladaptive versus adaptive responses during anxious and angry scenarios, respectively.

Therefore, like previous studies, those reviewed in part 4 of this series and the current one display that both parental and child psychopathology affect seemingly all aspects of these individual lives. This includes everything from their quality of life through simple and complex conversations these groups share. In the next installment of this series I will summarize the findings discussed up to this point and begin to discuss possible interventions.

 

BIBLIOGRAPHY:

 

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Linee Guida per l’Autismo. Finalmente!

Il sottosegretario alla salute Francesca Martini ha commentato con queste parole l’emanazione da parte dell’Istituto Superiore della Sanità delle prime linee guida nazionali sull’autismo:

Linee Guida per l'Autismo - Fotografia: © Nathan Allred - Fotolia.com”Dall’inizio del mio mandato mi sono impegnata fortemente per la messa in atto di un confronto scientifico ai più alti livelli che permettesse al nostro Paese di dotarsi dilineeguida nazionali per il trattamento dei disturbi dellospettroautistico nei bambini e negli adolescenti e oggi provo grande soddisfazione nel testimoniare che attraverso il lavoro sviluppato dall’istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con le migliori esperienze territoriali, questo e’ stato possibile”.

Lavoro con i bambini e ragazzi autistici da dieci anni e inevitabilmente ho condiviso il mio operare con gli altri professionisti, o sedicenti tali, che promettevano di dare un contributo significativo nel superamento delle difficoltà che questi pazienti manifestavano.

Autismo - Linee Guida Nazionali
Clicca per scaricare le Linee Guida Nazionali per L'Autismo

Quando nel 2000 ho incontrato la famiglia del mio primo paziente autistico è iniziata insieme a loro la ricerca disperata di trattamenti efficaci e dal momento che allora, meno ancora di oggi, il servizio pubblico non sembrava garantire un intervento sufficientemente intensivo e specializzato, il settore privato era l’ambito in cui cercare risposte.

E così mi sono ritrovata ad assistere a trattamenti che, ad oggi, mi sento di definire perlomeno bizzarri.

Ricordo in particolare due episodi. Un pomeriggio mi ritrovo a casa della famiglia di un bambino autistico che aveva messo a disposizione il proprio domicilio per ospitare un’esperta americana nell’ambito delle intolleranze alimentari. La diagnosi avveniva tramite l’ascolto della reazione della linfa vitale all’avvicinamento del prodotto alimentare sospetto. Ho praticamente passato il pomeriggio a intrattenere i piccoli finchè fosse il loro turno di adagiarsi sul lettino e vedersi appoggiare sul braccio la manona di una rassicurante americana di 200 chili mentre il genitore gli si avvicinava prima con pacchetti di prosciutto cotto, poi con dei pomodori e quant’altro, non ricordo secondo quale criterio, fosse ritenuto responsabile di eventuali disordini intestinali.

Il secondo episodio mi vede spettatrice di un convegno organizzato da un’associazione di genitori che, tra le altre cose, incoraggiava l’uso della camera iperbarica per il trattamento dell’autismo. Anche in questo caso a consigliare la pratica erano dei dottori americani. Da lì a poco ho saputo di diverse famiglie che hanno prosciugato il conto in banca per potersi permettere l’acquisto di quella miracolosa bara. Un investimento che hanno cercato di recuperare offrendo trattamenti a basso costo anche ad altri bambini. Non è difficile immaginare la reazione di molti di questi bambini quando si sono ritrovati costretti all’interno di un angusto abitacolo, senza avere la capacità di comprenderne le ragioni.

Forse a molti di voi questi genitori potrebbero sembrare ingenui o addirittura stupidi, ma anche io allora, alle prime armi nel settore, non sapevo come giudicare tutte queste proposte. Quello che il sistema sanitario offriva allora erano sedute di psicomotricità e se si era meno fortunati, un posto nella graduatoria.

I genitori, disperati e saggiamente convinti che per i loro figli si potesse pretendere di più, si affacciavano avidi al mercato del privato e, senza nessuna raccomandazione da parte del sistema sanitario nazionale, senza che qualcuno si fosse mai preso la responsabilità di dire loro, io compresa, cosa costituisse un valido intervento e cosa semplicemente un’ottima campagna di marketing, hanno fatto quello che anche noi, al posto loro, probabilmente faremmo: le hanno provate tutte.

Per fortuna la maggior parte di questi genitori hanno saputo col tempo vedere e capire da soli quale tipo di intervento fosse più utile per i loro figli, al prezzo però di innumerevoli delusioni e col peso di una responsabilità che dovrebbe essere condivisa con chi possiede le competenze per aiutarli in questo percorso.

Pochi giorni fa sono uscite le Linee Guida per il Trattamento dell’Autismo e come madre e come professionista mi sento di dire GRAZIE.

 

 

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DIABO 2011 Bologna. 6° Congresso Nazionale SISDCA

DIABO 2011 Bologna Sesto Congresso Nazionale SISDCA

E’ iniziato oggi a Bologna il DIABO 2011 – Sesto Congresso Nazionale SISDCA (Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare)

I “Costruttori d’amore” e l’irrinunciabile bisogno di cambiamento

Spesso in terapia troviamo persone che a causa di una infanzia con poco amore o molta distrazione o con molto maltrattamento e poca cura, restano fermi nel dilemma dell’ossessione d’amore per tutta la vita

Costruttori d'amore - Illustrazione di Costanza Prinetti
Costruttori d'Amore - Illustrazione di Costanza Prinetti

Questa frase di Sandra Sassaroli nell’articolo: L’Ossessione d’Amore è poco Rock e molto Lenta: Freedom (di Jonathan Franzen) mi ha fatto riflettere a lungo sull’ossessione d’amore. La storia di Patty, che ha fatto dell’ideale d’amore un ossessione, è la storia comune a tante persone che costruiscono castelli su fondamenta di fango. Il castello viene eretto con tale cura impegno e dedizione che, nonostante la frana ne abbia minato le fondamenta, questi rimane intatto.

L’Ossessione d’Amore è poco Rock e molto Lenta: Freedom (di Jonathan Franzen) - Immagine: Jonathan Franzen - Cover of TIME
L’Ossessione d’Amore è poco Rock e molto Lenta: Freedom (di Jonathan Franzen)

Il “Costruttore d’Amore” programma minuziosamente ogni sua mossa spesso con lo scopo di ottenere l’ammirazione di colui il quale non ha ammirazione, se non per se stesso; si può leggere in molte di queste storie il bisogno irrefrenabile di dare amore, come se questo consentisse la redenzione dalla dipendenza; nella realtà queste altro non sono che vane speranze.

Battiato cantava ne La cura “Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore, dalle ossessioni delle tue manie” per coronare la fine con : “…e guarirai da tutte le malattie..perché sei un essere speciale, ed io avrò cura di te”. Speranza, bisogno di dare amore senza riceverlo in cambio, sembrano essere gli assunti di base di queste storie. “L’amore che non chiedeva nulla in cambio” riempiva Veronika (Paulo Coelho “Veronika decide di morire”) di sensi di colpa, troppo amore riversato su di lei ha fatto si che per un quarto della sua vita aderisse ad un ruolo che non era il suo.

Lo stesso senso di colpa lo si ritrova in molti “Costruttori d’Amore” che tendono a vivere nella sofferenza perché convinti che sofferenza sia quello che meritino. Jill ( Robin Norwood, Donne che amano troppo) era disposta ad addossarsi ogni problema che nasceva nelle sue relazioni, pur di avere un problema da risolvere era disposta addirittura “ad assumersi la responsabilità di averlo creato”. Il fatto che nessun uomo potesse amarla, nemmeno suo padre, dipendeva solo ed esclusivamente da lei, da ciò che aveva e non aveva fatto.

La verità, vi prego, sull'amore.
La verità, vi prego, sull'amore.

La vita emotiva di noi tutti, ed anche dei “Costruttori d’Amore”, è caratterizzata da un bisogno di sicurezza che guida ogni comportamento e da una tendenza che porta a non riconoscere il proprio bisogno d’amore  e, soprattuto, al non volerlo far conoscere all’altro. Questi tratti sono particolarmente diffusi in quelle persone che durante l’età evolutiva hanno ricevuto “troppo” o troppo poco amore, e tentano, crescendo, di identificarsi con il partner cercando di salvarlo, a questo si sottende un vano tentativo di salvare se stessi. Vivere e rivivere le esperienze affettive dell’infanzia nelle speranza di cambiare il proprio partner e l’amore che prova per noi, così come si è tentato di farlo con il padre o con la madre. Mia Martini, nella celeberrima canzone: Gli uomini non cambiano, arriva alla conclusione che: “Gli uomini che cambiano, sono quasi un ideale che non c’è, sono quelli innamorati come te”. Fortemente disillusa dalle relazioni affettive, sconfitta, e amareggiata, tuttavia non abbandona l’idea che l’altro debba cambiare.

E voi? Avete mai provato a cambiare per amore? 
O avete preteso che qualcun altro cambiasse per voi?

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Robin Norwood, Donne che amano troppo, traduzione di Enrica Bertoni, Universale Economica Feltrinelli 2008
  • Paulo Coelho, Veronika decide di morire, traduzione di Rita Desti, Mondolibri, 1999
  • Jonathan Franzen, Libertà, Einaudi, 2011

 

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Fusione Pensiero e Azione

Fusione Pensiero Azione - Fotografia: © ktsdesign - Fotolia.comUna delle pessime abitudini mentali associate al disagio psicologico è la Fusione Pensiero Azione (FPA, Rachman, 1993). Per FPA si intende la tendenza a considerare i normali pensieri automatici negativi non tanto come oggetti della mente ma come dati di realtà.

Tutti noi abbiamo quotidianamente centinaia di pensieri che passano rapidamente nella mente, frutto di semplici associazioni e senza un particolare significato. Alcune persone tuttavia si trovano a giudicarli pericolosi e di conseguenza a condannare sé stessi per averli avuti.

Questo accade quando il giudizio è influenzato dalle regole della FPA:

  1. Se penso di fare qualcosa di brutto allora ho intenzione di farlo quindi sono cattivo.
  2. Se penso di fare qualcosa di brutto probabilmente lo farò.
  3. Se penso che un evento accada probabilmente si realizzerà e quindi io ne sono responsabile.

Con queste premesse ogni oggetto mentale acquista un peso emotivo molto forte e anche semplici pensieri passeggeri diventano fastidiosi o fonte di stress e ansia. Gli individui con una spiccata tendenza alla FPA sono quindi spinti a osservare continuamente i propri pensieri, darvi eccessivo peso, provare ansia e stress a fronte di pensieri negativi e cercare di controllare o eliminare certi pensieri con strategie e rituali solitamente controproducenti.

In simili situazioni l’obiettivo terapeutico suggerito dai ricercatori internazionali è quello di imparare il distacco tra pensiero e azione, cioè imparare e vivere pensieri negativi (anche quelli molto brutti) come naturali fenomeni mentali, che accomunano il 90% delle persone e che non hanno nulla a che vedere con la realtà e con le proprie intenzioni (Wells, 2008).

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Rachmn, S.J. (1993). Obsessions, responsibility and guilt. Behaviour Research and Therapy, 31, 149-154.
  • Wells, A. (2008). Metacognitive Therapy for Anxiety and Depression. New York, USA: Guilford Press.

 

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Twitter Global Mood: misurare la temperatura emotiva del pianeta.

E il mondo, svegliandosi allegro, si addormenta triste… Grazie a Twitter, un gruppo di ricerca ha misurato il “global mood” fotografato in diversi momenti della giornata.

Twitter Global Mood - © rare - Fotolia.comI ricercatori della Cornell University, sul numero di Science di settembre, riferiscono i risultati di uno degli studi che ha visto partecipare il maggior numero di soggetti nella storia della ricerca: 2.4 milioni, distribuiti in 84 paesi.

Come hanno fatto? Miracoli della rete, e in particolare del desiderio, tutto umano, di condividere (dalle poltrone di casa, beninteso e solo se mi fa arrabbiare, agitare o divertire, come scrivevo in un altro articolo di State of Mind) informazioni personali su internet.

Grazie a Twitter, infatti, Scott Golder e Micheal Macy, hanno monitorato l’attitude (poco traducibile in italiano, se non con uno scadente “stato mentale generale” o “atteggiamento”) di 2.4 milioni di utenti Twitter e sembra abbiamo rilevato che le persone in tutto il mondo, si svegliano generalmente di buonumore e che, entro la serata, questo “positive attitude” si deteriora, man mano che la giornata procede. Tracciando l’espressione emotiva spontanea dei soggetti, tramite i loro tweets (ovvero i micro-messaggini da centoquaranta caratteri lanciati nella rete dagli utenti Twitter) per un periodo di due anni, i ricercatori hanno rilevato il circolo “mi sveglio felice-vado a letto triste-mi risveglio felice”. Sembra, quindi, che ciò che succede durante la giornata giochi un ruolo molto importante nel determinare sia le emozioni legate al “positive attitude” (PA), come entusiasmo, gioia, vigilanza sia quelle legate al “negative attitude” (NA) come distress, paura e rabbia.

 

Twitter Global Mood: oscillazioni di Positive Attitude (PA) e Negative Attitude (NA) lungo l'arco della giornata.
Oscillazioni di Positive Attitude (PA) e Negative Attitude (NA) lungo l'arco della giornata. - Fonte: http://www.sciencemag.org/content/333/6051/1878.full.

 

L’utilizzo in concerto di Twitter e di un software per il monitoraggio del lessico ha permesso ai ricercatori della Cornell University di scoprire due picchi giornalieri in cui i tweets sono connotati in senso positivo: di prima mattina e intorno a mezzanotte.

I risultati di questa ricerca aprono la strada a molte riflessioni. Sembra che il sonno svolga una funzione regolatoria anche per quanto riguarda il tono dell’umore. Nelle persone “sufficientemente sane”, infatti, questo “ciclo emotivo giornaliero” sembra non dare alcun disagio particolare (a meno di un po’ di fastidio e sgradevolezza). Interessante chiedersi cosa succede quando qualcosa in questo processo globale, forse naturale e simile in tutti noi esseri umani si inceppa, sia verso il polo positivo della “mattina presto” sia verso quello negativo “dell’ora dell’happy hour”.

E voi, come vi siete svegliati oggi?

 

BIBLIOGRAFIA:

 

 

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Rassegna Stampa – Mercoledì 16-11-2011

 

rassegna stampaIl gene della cordialità

Gran parte del nostro modo di relazionarci emotivamente con gli altri potrebbe essere scritto nel nostro dna. Un nuovo studio, condotto alla Oregon State University, suggerisce che l’essere estroversi, accudenti e fiduciosi, sia un tratto del carattere così profondamente legato al pool genetico che uno sconosciuto, semplicemente osservandoci mentre ci relazioniamo ad un’altra persona, potrebbe molto probabilmente indovinare se possediamo, o no, quella variazione nel nostro genoma.

Già in precedenza alcuni studi avevano scoperto come questo gene, che funge da recettore per l’ossitocina chimica del cervello, definita anche “l’ormone dell’amore”, giocasse un ruolo in comportamenti sociali come lo stringere legami, l’empatia e l’ansia.

Questa però è la prima volta che i ricercatori verificano come certi genotipi si manifestino così evidentemente in comportamenti prosociali da poter essere individuati, con la semplice osservazione del comportamento in un constesto relazionale, anche da estranei.

 

L’importanza di essere i primogeniti per andare bene a scuola. Quando fare il secondo figlio?

Secondo un nuovo studio dell’Università di Notre Dame, che sarà pubblicato sul prossimo numero del Journal of Human Resources, fratelli e sorelle con più di due anni di differenza hanno prestazioni migliori in lettura e matematica, rispetto ai bambini con minore differenza di età. Lo studio è stato pensato per osservare l’effetto causale della differenza di età tra fratelli sui risultati accademici. I risultati indicano che la differenza di età tra il primo e il secondo figlio favorisce il rendimento scolastico, anche a lungo termine, del primo ma non del secondo. Sembra proprio che a fare la differenza sia la possibilità di conservare per almeno i primi due anni una relazione esclusiva con i genitori; spesso i genitori si chiedono se esista una distanza ideale tra il primo e il secondo figlio e questi risultati suggeriscono che, almeno per quanto riguarda il rendimento scolastico, i primi figli sono favoriti da intervalli maggiori di tempo tra la loro nascita e quella dei fratelli.

 

Schizofrenia, Depressione, Disturbo Bipolare: dove sta andando la ricerca?

Un americano su 7 soffre di una grave malattia mentale come schizofrenia, depressione maggiore, disturbo bipolare. L’obiettivo delle ricerche che vengono condotte nell’ambito delle neuroscienze è quello di riuscire a comprendere sempre più chiaramente le radici neurologiche della malattia mentale per poter poi essere in grado di sviluppare trattamenti sempre più efficaci. La riunione annuale della Society for Neuroscience è la più grande fonte mondiale di notizie scientifiche su cervello e salute. Ecco di cosa si è parlato quest’anno:

  • Ansia e depressione nell’infanzia alterano il modo in cui l’amigdala si collega ad altre regioni del cervello. Secondo i ricercatori questo spiegherebbe perché lo stress nei primi anni di vita può portare a futuri problemi comportamentali ed emotivi (Shaozheng Qin, PhD, abstract 927,06).

  • Studi sugli animali hanno evidenziato un legame tra due fattori associati alla schizofrenia, le infezioni prenatali e la disfunzione di una molecola importante nei processi di memoria (Melissa Burt, astratto 763,11).

  • E’ stata identificata, nei topi da laboratorio, una molecola del cervello importante per la risposta antidepressiva. I risultati possono essere utili nella pianificazione del trattamento farmacologico della depressione maggiore (Maha Elsayed, astratto 904,10,).

  • La connessione tra due aree specifiche del cervello, la corteccia prefrontale e il nucleo del rafe dorsale, sembra essere implicata nella depressione. Nei ratti la stimolazione di questi circuiti ha avuto un effetto antidepressivo (Melissa Warden, PhD, abstract 306,15).

  • Alti livelli di un enzima chiamato STEP Set si riscontrano nel cervello di chi è affetto da schizofrenia. Topi privi di questa sostanza chimica non hanno sviluppato comportamenti tipici della malattia(Nikisha Carty, PhD, abstract 238,03,).

 

La Ristrutturazione Cognitiva delle Emozioni.

Sapere che qualcuno è arrabbiato con noi non è per nulla piacevole. Un suggerimento su come gestire le nostre emozioni in un contesto simile ci viene dalla psicoterapia cognitivo-comportamentale; è quello di trovare un modo diverso di guardare alla persona arrabbiata, per esempio attribuendo il suo cattivo umore al fatto che ha avuto una brutta giornata, evitando cioè di prenderla sul personale. uno studio che sarà pubblicato il prossimo anno su Psychological Science, ha indagato proprio l’efficienza e la velocità del processo di ristrutturazione delle emozioni (Reappraisal). Il disegno di ricerca prevedeva che venissero osservate le reazioni emotive nei partecipanti allo studio, ai quali venivano presentati una serie di volti in grado di suscitare risposte emotive negative. I risultati indicano che se dopo l’esposizione veniva facilitato il processo di ristrutturazione delle emozioni negative queste non si ripresentavano a una seconda esposizione allo stesso stimolo emotigeno. È come se nel cervello avvenisse una gara tra le informazioni emozionali e quelle generate dal processo di ristrutturazione, spiegano i ricercatori, e infine il processo di ristrutturazione fosse in grado di spazzare via le emozioni negative associate allo stimolo negativo.

 

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Reappraisal

Psicopedia - Proprietà di State of MindReappraisal: La traduzione letterale sarebbe “riesame”, “rivalutazione”, “riconsiderazione” e si riferisce, nelle ricerche scientifiche e in ambito clinico, ad un processo mentale cosciente che permette di modificare  l’interpretazione che si dà ad uno stimolo emotivo, con l’obiettivo di ridurre il potenziale effetto stressante (Gross,2002).

In generale, questa strategia produce effetti sull’esperienza soggettiva, sulle risposte fisiologiche e sul comportamento,  e coinvolge numerosi sistemi cognitivi (memoria, attenzione, ragionamenti), di regolazione delle emozioni (sistema nervoso autonomo, sistema endocrino,..) e neurali (corteccia prefrontale e amigdala).

In psicoterapia, una forma “positiva” e “costruttiva” di reappraisal può essere la cosiddetta “ristrutturazione cognitiva”, che permette di esaminare pensieri, emozioni e comportamenti legati a particolari eventi stressanti e di produrre una ‘nuova valutazione’ degli eventi stessi, che sia più funzionale e costruttiva agli scopi dell’individuo.

Al contrario, il reappraisal può essere associato ad “esiti negativi” laddove l’interpretazione degli eventi è sistematicamente orientata in senso negativo, accompagnata da una rigida e deficitaria valutazione degli aspetti cognitivi ed emotivi, tipica dei soggetti ansiosi e/o depressi.

 
BIBLIOGRAFIA:
  • Gross, J. J. (2002). Emotion regulation: Affective, cognitive, and social consequences. Psychophysiology, 39, 281–291.

Protocollo bambini e adolescenti, famiglia.

Roberta Verità.

 

Protocollo bambini, adolescenti, famiglie - Fotografia: © vladgrin - Fotolia.com Da molti anni lavoro con bambini e adolescenti e con le loro famiglie. La collaborazione con una clinica di Neuropsichiatria infantile romana mi ha dato l’opportunità di seguire molti casi così detti “difficili/impossibili”: forti tensioni emotive, comportamenti estremi, rapporti e sistemi deteriorati.

Le sedute familiari, difficili da gestire, erano troppo piene di parole, parole sopra le righe e poco costruttive. Verba volant scripta manent: ho cominciato a farli scrivere! Step by step, sperimentando e selezionando quello che funzionava, ho messo a punto un protocollo molto articolato dove la parola scritta ha un ruolo rilevante all’interno del percorso terapeutico.

Ripercorriamolo: Un genitore contatta il mio studio chiedendo un appuntamento per una situazione riguardante il figlio/i. La segreteria convoca il genitore che chiama o, se possibile, entrambi i genitori, senza per il momento mettere al corrente il figlio/i dell’iniziativa, così da avere il massimo della libertà di movimento sul fronte genitoriale. L’obiettivo del colloquio con i genitori è fotografare con precisione il funzionamento del ragazzo, i problemi, le modalità di interazione. Per questo al padre e alla madre viene chiesto di rispondere, separatamente e brevemente, a una serie di domande in termini operativi. Se durante la prima seduta non si riesce a concludere l’indagine, viene chiesto alla coppia di completare il compito a casa; questo accade molto frequentemente.

Grado di istruzione dei genitori e abilità di lettura dei figli.
Il grado di istruzione dei genitori influenza l’abilità di lettura dei figli? – di Maria Francesca Sarnelli

Queste sono le domande che vengono poste ai genitori:

 

“Quali sono i problemi di mio figlio?”; “Come si manifestano?”; “Quali tentativi di soluzione ho adottato fino adesso per risolvere questi problemi?”; “Cosa funziona meglio con questo ragazzo e cosa non funziona?”; “Quali sono le risorse di mio figlio, i suoi punti di forza?”; “Quali le risorse del nostro rapporto, i nostri punti di forza?”.

Gli chiediamo anche di descrivere l’interazione in una settimana tipo, dal buongiorno fino alla buonanotte.

Questo è il primo step del protocollo, il primo importante passaggio scritto dei tanti scritti e verbali che seguiranno. I vantaggi, per quello che ho potuto sperimentare, riguardano il fatto che lo scritto permette di fissare alcuni punti, che al contrario si perderebbero nel dialogo, nella discussione e sopratutto nella lite.

Vedendo nero su bianco, ma soprattutto dovendosi sforzare di scrivere, i genitori per la prima volta riescono a riflettere su certi meccanismi. Questa riflessione così concreta porta, il più delle volte, anche senza l’intervento del terapeuta, alla presa di coscienza e all’autoregolazione, che proprio perché auto e non etero, acquista un grande valore.

Ci sono in questo primo passaggio e in tutto il protocollo spunti di forte positività, si riflette infatti sulle risorse e sui punti di forza del figlio e della relazione con lui e tra i genitori. Questi aspetti di solito trascurati o non considerati per niente possono innescare circoli virtuosi ed essere sfruttati per il cambiamento.

L’affiancamento delle positive solutions alle negative solutions è un altro potente attacco al problema portato in terapia. Si stabilisce un primo gradino, quantificabile, rispetto al quale confrontare il progetto di cambiamento ed i futuri risultati, in termini quantitativi oltre che qualitativi. Si trovano divergenze e convergenze genitoriali mai notate e tantomeno gestite prima. Su questo scritto poi ci si confronterà in seduta per modificare, aggiungere, limare comportamenti genitoriali, individuali e di coppia.

È l’inizio del cambiamento pianificato…

 

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Immergersi in un film: Questione di Ansia? – Cosa ci fa apprezzare o detestare un film?

Ansia & Film - © Sergej Khackimullin - Fotolia.com - ArticleA fronte delle numerose “incapacità” e “deficit” elencati nelle descrizioni dei soggetti ansiosi, ecco uno studio che sottolinea una specifica abilità dei cosiddetti “nevrotici” rispetti ai meno ansiosi: la capacità di immergersi in un film e di godere delle emozioni suscitate senza troppi filtri cognitivi!

In un esperimento condotto dal gruppo di ricerca di  David Weibel dell’Università di Berna, 64 partecipanti hanno guardato tre scene tratte dai film “The Shining” (la scena in cui il bambino gioca all’ingresso della villa), “The Champ” (la scena in cui il padre del ragazzo muore a seguito di un colpo durissimo subito durante un combattimento sul ring), e “When Harry met Sally” (la scena in cui Sally simula un orgasmo in un bar), ed è stato loro richiesto di descrivere quanto si fossero sentiti immersi nei film e quanto si fossero percepiti distaccati dall’ambiente fisico in cui si trovavano. Era infine richiesto loro di esprimere una preferenza tra i film rispetto al loro gusto personale.

I risultati rivelano che nei due filmati ad elevata emotività negativa (“The Shining” e “The Champ”) i soggetti ansiosi hanno riferito una migliore capacità di immergersi nel film rispetto ai non ansiosi, ma che questa capacità li abbia portati a preferire il film a contenuto emotivo positivo, rispetto agli altri due.

“Una possibile spiegazione potrebbe essere che gli ansiosi mostrano una reattività maggiore del sistema nervoso simpatico, che li rende più sensibili agli stimoli ambientali” dicono i ricercatori.

I dati ottenuti da Weibel e colleghi ci dicono quindi che la migliore capacità di immergersi all’interno di una situazione triste o spaventosa (seppur finta!) sia percepito dagli ansiosi in modo estremamente negativo, tale da ridurre l’indice di gradimento del film e indurre plausibilmente l’evitamento di un’intera produzione cinematografica. Ecco come una abilità, rischia di trasformarsi nell’ennesimo evitamento!

Ma cos’è che i soggetti ansiosi non hanno davvero gradito del film?

L’abitudine a immaginare scenari catastrofici, terribili e costantemente negativi non sembra averli affatto “desensibilizzati” alla visione di scenari altrettanto tristi e spaventosi, mentre invece mostrano una bassa tolleranza a questo tipo di contenuti. L’ipotesi dei ricercatoti rispetto alla reattività simpatica apre scenari interessanti: l’idea cioè che la bassa tolleranza degli ansiosi non riguardi (almeno non solo) i contenuti rappresentati nei video, ma che sia la stessa attivazione emotiva e fisiologica provocata dall’immersione nel film ad essere per loro spaventosa e a non divertire affatto!

Questo dato appare molto descritto in letteratura e confermato dalle numerose ricerche a sostegno dell’ipotesi che gli ansiosi siano caratterizzati da un cronico squilibrio tra il sistema simpatico, troppo attivato, e quello parasimpatico, troppo spento (Porges, 2007): lo sproporzionato stato di allerta (sistema simpatico) li renderebbe drammaticamente reattivi agli stimoli esterni, mentre il ridotto funzionamento vagale (sistema parasimpatico) ridurrebbe la capacità di calmarsi in tempi “ragionevoli” a fronte di stimoli esterni percepiti come minacciosi.

La preferenza per “When Harry met Sally” rispetto a “The Shining” appare così meno incomprensibile: chi di noi vorrebbe rimanere nello stesso identico stato di terrore prodotto dal volto di Jack Nicholson nel bagno, per molte ore dopo i titoli di coda?

E voi, quale film scegliereste?

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

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Heavy Metal e Adolescenti: gli Effetti sull’Umore.

Heavy Metal: gli effetti sull'umore - © log88off - Fotolia.comLa musica ha un ruolo significativo nella vita di ognuno di noi. È parte integrante della nostra esistenza e ci accompagna da tempi antichissimi, radicati nella storia evolutiva dell’uomo.

Proprio per la sua importanza, alcuni ricercatori si stanno interrogando sul peso e sul significato che la musica possa avere in un’età difficile come l’adolescenza. Per molti adolescenti infatti, la musica risulta essere l’attività preferita tra le mura di casa propria.

Nella nostra epoca, la gamma e la diversità dei generi musicali a disposizione degli adolescenti è in continuo aumento e la rivoluzione degli mp3 e del libero scambio tra pari attraverso il web consente di ascoltare una straordinaria varietà di canzoni provenienti da ogni parte del mondo. È per questo che l’aumentato livello di accesso alla musica da parte degli adolescenti obbliga gli educatori (genitori ed insegnanti) ad essere informati sull’impatto che questa possa avere sul potenziale sviluppo di una giovane mente.

Tra i ricercatori, c’è chi si è schierato a favore della musica e del suo impatto positivo sullo sviluppo emotivo di un giovane adolescente, e chi ha preferito sottolinearne le qualità negative sulla scia delle polemiche originate dall’avvento delle nuove quanto variegate forme di musica partorite dagli anni Settanta.

Musica didattica metacognitiva - © Tommi - Fotolia.com
Clicca sull’immagine per leggere: Musica e Didattica Metacognitiva. Autore: Lucio Montagna

Sul versante del negativismo, ad esempio, la Parent-Teacher Association of America e l’American Academy of Paediatrics sfidò l’industria musicale con una vasta serie diaccuse. Il Rock inparticolare finì nel mirino delle ingiurie per la sua associazione tra adolescenza e suicidio. La musica Heavy Metal fu presa di mira dal Parent’s Music Resource Centre, peri suoi legami con i comportamenti antisociali dei giovani adolescenti. Oltre alla preoccupazione dell’opinione pubblica per una ipotetica relazione causale tra ascolto di stili di musica aggressiva e condotta antisociale, la ricerca ha inoltre identificato una connessione tra problematiche psichiche e preferenze musicali anche per il Rap e il Rave. Le accuse nascono dalla presenza in alcune canzoni di messaggi cosiddetti “subliminali”, anche se queste hannodimostrato di avere intenzioni ben più superficiali, come ad esempio il successo commerciale. L’impatto di temi di estrema violenza, ribellione e sessualitàpromiscua tipicamente utilizzati nell’Hip-Hop e nell’Heavy Metal può però esseremitigato in qualche misura da una ricerca che suggerisce che gli adolescenti diano attenzione più alla musica che ai testi (in molti casi già pesantemente camuffati dalla distorsione delle chitarre elettriche e dal tipico canto fatto di urla e suoni gutturali, comunque tecnicamente apprezzabili).

 

Le ricerche di Stack e Gundlach (1992) su questo tema sono state le più provocatorie, arrivando a trovare una relazione tra la predominanza della proposta di musica Heavy Metal da parte di alcune Stazioni Radio occidentali e i tassi di suicidio. La loro indagine delle variabili ha però portato in ultima analisi al suggerimento che sia stata la mancanza di religiosità ad essere più fortemente legata ad uno stato d’animo suicida rispetto alla preferenza stessa per la musica Heavy Metal.

I ricercatori hanno spesso suggerito che certe preferenze musicali possano essere comunque indicative di una certa vulnerabilità ai problemi di salute mentale (Scheel e Westefeld, 1999). Roe (1987) e Coleman (1960) trovarono che le scelte musicali erano legate al successo scolastico e all’invalidazione del successo previsto dagli studenti stessi. Questo è stato sostenuto anche da Took e Weiss (1994) che hanno trovato un’associazione tra l’insuccesso scolastico e il crescente interesse per la musica Heavy Metal di alcuni adolescenti, che ne farebbero utilizzo come fuga dal confronto con i propri fallimenti.

Ultima ma non meno importante, la ricerca della McFerran (2011) sta mostrando come gli adolescenti ad alto rischio di disagio psicologico riportino la più alta percentuale di stati d’animo negativi dopo aver ascoltato musica Heavy Metal e la più bassa percentuale di stati d’animo migliori dopo l’ascolto della stessa. Con ulteriori ricerche, questo potrebbe dimostrare che gli adolescenti ad “alto rischio” abbiano difficoltà ad utilizzare la musica per migliorare il loro umore.

Sul versante dell’ottimismo invece, ed in modo altrettanto significativo, lo studio di Lester e Whipple (1996) non ha trovato alcuna relazione significativa tra esperienza passata di ideazione suicida e preferenze per la musica Heavy Metal, suggerendo che questa possa essere uno stato transitorio per molti adolescenti. LaCourse (2001) ancora, ha scoperto che l’ascolto della musica è in realtà inversamente correlato con l’ideazione suicida nelle ragazze. È per questo che Saarakallio e Erkilla (2007) hanno suggerito che la ricerca si sia focalizzata eccessivamente sui risultati negativi ed hanno raccomandato una maggiore attenzione ai suoi effetti positivi. Gli stessi autori hanno anche sottolineato l’aspetto dell’intenzionalità della regolazione dell’umore attraverso l’ascolto della musica, opponendosi al presunto processo di ascolto passivo.

Insomma, nonostante la vastità dei dati rispetto alle influenze negative della musica, è comunque in generale riconosciuto che la musica possa svolgere un ruolo positivo nella vita di molti adolescenti.

È importante considerare il ruolo della musica nell’adolescenza da una prospettiva evolutiva. Il processo di formazione dell’identità che definisce questo stadio di sviluppo si basa sul passaggio dalla famiglia alle alleanze tra coetanei (Erikson 1965). L’adolescenza sana è definita dal rifiuto del nucleo familiare primario e dalla preferenza per lo sviluppo di reti sociali esterne alla famiglia. La musica può essere vista come parte integrante di questo processo, così costellato dalle preoccupazioni genitoriali per i video musicali sessualmente provocanti di Madonna, per l’Heavy Metal degli Slayer ed il Rap di Eminem.

A prescindere da questi risultati, siano essi positivi o negativi, riteniamo sia utile che gli adulti riconoscano intuitivamente il disagio negli adolescenti e che sviluppino capacità di dialogo con gli stessi su come la musica influisca sul loro umore. È importante non criticare il genere musicale in sé, rischiando di suscitare una naturale reazione difensiva, ma focalizzarsi su come la musica vada utilizzata. Questo porterebbe a conversazioni più produttive e a relazioni significative, specialmente se il genitore o l’insegnante accettasse di ascoltare la loro musica e si mostrasse interessato.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Coleman, J. S. (1960). “The adolescent subculture and academic achievement.” The American Journal of Sociology 65(4): 337-347.
  • Erikson, E. (1965). Childhood and society. London, Penguin Books.
  • Lacourse, E., M. Claes, et al. (2001). “Heavy metal music and adolescent suicide risk.” Journal of Youth and Adolescence 30(3): 321-332.
  • Lester, D. and M. Whipple (1996). “Music preference, suicide preoccupation, and personality.” Suicide & Life-Threatening Behaviour 26: 68-70.
  • McFerran K., O’Grady L., Grocke D., Sawyer S. M. (2011). “How teenagers use music to manage their mood: An initial investigation.” (in corso di pubblicazione, per gentile concessione tramite corrispondenza della Dr. Katrina McFerran)
  • Roe, K. (1987). The school and music in adolescent socialisation. Pop music and communication. J. Lull. CA, SAGE: 212-230.
  • Saarikallio, S. and J. Erkkila (2007). “The role of music in adolescents’ mood regulation.” Psychology of Music 35(1): 88-109.
  • Scheel, K. R. and J. S. Westefeld (1999). “Heavy metal music and adolescent suicidality: An empirical investigation.” Adolescence 34(134): 253-273.
  • Stack, S. and J. Gundlach (1992). “The effect of country music on suicide.” Social Forces 71(1): 211-218.
  • Took, K. J. and D. S. Weiss (1994). “The relationship between heavy metal and rap music on adolescent turmoil: Real or artifact?” Adolescence 29: 613-621.

 

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150 Amici

Non stupitevi se giocando a tombola sentirete oltre ai soliti “11 – Le gambe delle donne”, 1 – L’Italia” “150 – gli amici che puoi avere!”. Il 31-10-2011 in Bicocca si è tenuto un interessante incontro con il prof. Robin Dunbar, antropologo dell’Università di Oxford, che ci ha svelato il numero di amici che una persona può avere!

150 Amici - Social Network - © TheSupe87 - Fotolia.com - ArticoloQual è stata la grande rivoluzione della società degli ultimi anni? Secondo Robin Dunbar, antropologo all’Università di Oxford, è il fatto che il nostro mondo sociale è stato ridefinito dai social network. Questi siti, oltre ad aver infranto le costrizioni della geografia che limitavano le dinamiche sociali, sembrano anche aver dato avvio ad una strana competizione sul numero di amici che si possono contare sulla propria pagina personale, con cifre che possono raggiungere anche le decine di migliaia (1). Tuttavia la lista degli “amici” andrebbe ampiamente sfoltita. Infatti in base alle ricerche condotte dal Prof. Dunbar il numero massimo di amici che si possono avere è 150 – cifra anche detta il Numero di Dunbar (2).

Ma come è arrivato Dunbar a questa cifra? Ha iniziato a condurre le sue ricerche osservando i primati antropomorfi e ha scoperto che essi hanno un cervello di dimensioni maggiori rispetto a tutti gli altri mammiferi. Ma visto che il cervello consuma il 20% del nostro apporto energetico, come si giustifica in termini evolutivi un organo così “costoso”? Una ipotesi è che il complesso mondo sociale nel quel vivono i primati abbia stimolato la crescita del loro cervello. Si potrebbe quasi dire che le relazioni sociali sono un salasso per il cervello! Questa interpretazione introduce anche il concetto di “intelligenza sociale”. Un tipo di intelligenza che servirebbe ai primati per sopravvivere, riprodursi e gestire le intricate relazioni della “società dei primati”; questi ultimi infatti stabiliscono all’interno del gruppo intensi e strutturati legami fra individui e possono addirittura arrivare a sfruttare le proprie conoscenze per costruire alleanze complesse.

Forse Boulle quando ha scritto “Il pianeta delle scimmie” non è andato poi così lontano dalla realtà (3)!

L’intelligenza sociale sarebbe quindi sostenuta dalla correlazione tra dimensioni del gruppo e dimensioni della neocorteccia. Il risultato di questo rapporto definirebbe il numero massimo di relazioni che un animale di una determinata specie può intrattenere e gestire simultaneamente (2). Dunbar si è quindi domandato: data la dimensione della loro neocorteccia che dimensioni può raggiungere un gruppo di uomini? Sulla base del rapporto che stato definito per i primati si è arrivati all’ormai famoso 150. Ma oltre a complessi calcoli matematici esistono altre prove a favore di questa teoria?

Secondo lo studioso sì. La nostra storia ci ha portato a vivere in città che riuniscono milioni di persone, quindi per avere prove sulle “dimensioni naturali” dei gruppi umani Dunbar ha iniziato studiando le società preindustriali. Nello specifico si è focalizzato su quella dei cacciatori -raccoglitori: società complesse strutturate solitamente in clan nomadi. Dalla ricerca è emerso che ben venti società tribali, per le quali erano disponibili i censimenti, risultavano avere dimensioni medie di 153 individui.

Lo studioso e i suoi colleghi non si sono fermati a questo e hanno cercato “il 150” anche nella società tecnologica scoprendo che riappare anche nel mondo degli affari. Infatti un parametro della teoria dell’organizzazione aziendale consiste proprio nel fatto che le organizzazioni composte da circa di 150 persone lavorano meglio e in modalità diretta uno a uno. Vedere per credere. È noto che il signor Gore, fondatore della GoreTex, abbia insistito perché si creassero più unità industriali separate, ciascuna formata da 150 persone, piuttosto che ingrandire la propria industria.(4)

Provate ora ad indovinare di quanti uomini è costituita una compagnia di un esercito moderno. Facciamo il conto: normalmente è costituita da tre plotoni esecutivi di 30-40 soldati, più il comando maggiore e alcune unità di supporto per un totale di 130-150 soldati!

Lo stesso numero si può ritrovare anche nelle società accademiche, in gruppi religiosi, negli Amish e così via.

Ma quindi sarà proprio vero che se sulla pagina Facebook abbiamo più di 150 amici, forse dobbiamo cancellarne un po’ perché non sono proprio tutti Amici??

Voi che ne pensate?

 

 

BIBLIOGRAFIA:

  1. Pollet TV, Roberts SG, Dunbar RI (2011) Use of social network sites and instant messaging does not lead to increased offline social network size, or to emotionally closer relationships with offline network members Cyberpsychol Behav Soc Netw. 14(4):253-8
  2. Dunbar. R (2011) Di quanti amici abbiamo bisogno? Frivolezze e curiosità evoluzionistiche. Milano, Raffaello Cortina
  3. Boulle P. (2006) La planète des singes. Pocket
  4. Malcolm Gladwell. (2000). The Tipping Point – How little things can make a big difference. Little Brown and Company. New York

 

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A Dangerous Method: una kermesse che vive più di Eros che di Thanatos

A Dangerous Method - Recensione - Movie Poster - Property of Universal PicturesFreud e Jung, i due padri della psicoanalisi, hanno sancito la nascita e l’affermazione della “cura con le parole”. La curiosità mossa da molti nei confronti delle loro vite, delle loro opere, lavori complessi di non facile impatto, ha portato alla realizzazione di numerose rappresentazioni. Ricordiamo ad esempio Prendimi l’anima di Roberto Faenza, del 2002, o il recentissimo A Dangerous Method diretto dal “mastro indagatore” David Cronenberg, tratto dal libro di John Kerr che ha poi ispirato una pièce teatrale su tematiche che scandagliano le pulsioni dell’animo umano.

Il film è ambientato a Zurigo, 1904, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Lo psichiatra ventinovenne Carl Gustav Jung  è all’inizio della sua carriera, e vive con sua moglie Emma, presso il famoso ospedale Burghölzli, diretto da Eugen Bleuler, figura periferica e marginale.

Jung appare come una persona colta, austera e molto abbiente, grazie alle proprietà della giovane moglie, donna totalmente dipendente dal marito, che piange e si dispera per non essere stata capace di dare alla luce un primogenito di sesso maschile. Di rado, Emma partecipa come cavia alle sedute cliniche del marito, situazione inammissibile in un setting terapeutico. Ispirandosi al lavoro di Freud, Jung decise di tentare sulla paziente diciottenne Sabina Spielrein, il trattamento sperimentale noto come psicanalisi o “terapia delle parole”. Sabina è una ragazza russa di cultura elevata, a cui è stata diagnosticata una grave isteria e ha fama di essere pericolosamente aggressiva, malgrado la sua spiccata intelligenza.

 

Oggi diremmo che Sabina era affetta da un grave disturbo borderline di personalità, eccessiva emotività espressa anche tramite lesioni autoinflitte, con tratti istrionici, teatralità e fatuità nel raccontare la sua vita e le sue emozioni. Nei colloqui con Jung rivela un’infanzia segnata da umiliazioni e maltrattamenti da parte del padre, un uomo autoritario e violento che spesse volte la picchiava, sculacciando sia lei che la sorella. La terapia psicanalitica porta alla luce una inquietante componente sessuale del disturbo di Sabina, che conferma le teorie di Freud sul rapporto fra sessualità e disturbi emotivi. Infatti, Sabina mostrava una particolare forma di piacere orgasmico in risposta alle “sculacciate” impartitele dal padre.

Grazie a questa paziente, Jung forgia un rapporto di amicizia con Freud, e il loro primo incontro è stato un vero e proprio tour de force intellettuale. Si era creato, in questo modo, una reciproca stima e Freud auspicava che il giovane collega potesse diventare il suo erede intellettuale. Il trattamento effettuato da Jung ebbe successo e Sabina intraprese la carriera di psichiatra su incoraggiamento di Jung. Quest’ultimo intanto, violando ogni etica professionale, inizia una relazione con Sabina. I due si incontrano nella casa di lei dilettandosi in estremi rapporti sessuali che riecheggiano le sculacciate paterne. Successivamente, Jung decide di troncare questa famigerata relazione in seguito ad un richiamo scritto effettuato direttamente da Freud, che nel frattempo è stato informato dalla stessa Sabina circa la relazione clandestina intrapresa. Jung messo alle strette nega ogni cosa per apparire “pulito” agli occhi di Freud. Tutto ciò fa esplodere la rabbia di Sabina, che costringe Jung a dire tutta la verità per poter diventare paziente di Freud. La contestata relazione sarà la causa della rottura del rapporto di amicizia tra Freud e Jung. La loro relazione intellettuale era molto ambivalente, da un lato c’era estrema stima, dall’altro estrema competizione non solo da un punto di vista intellettuale, è stato Jung a portare Freud ad un convegno oltre oceano per espandere la psicoanalisi, ma anche economico, Jung era squisitamente ricco e non mancava occasione in cui non facesse notare la differenza all’amico Freud.

Questa è la storia, ma la rinarrazione della vita e del destino incrociato di queste tre leggendarie menti più una, quella dell’altrettanto complessato dott. Otto Gross, paziente inviato da Freud a Jung, appare in alcuni momenti intensa, ma confusa, mista di sesso e poca etica professionale. E’ proprio confuso l’aggettivo che più si addice all’intera storia, narrata con occhio relativamente superficiale e sempre pronta ad imbeccare lo spettatore, indulgendo troppo nelle pulsioni erotiche fini a sé stesse e nelle beghe relazionali più che nella vera psicologia indagata. Il tutto si risolve in un film biografico incentrato su Jung, ma al contempo indeciso sul tempo da dedicare agli altri personaggi e ai loro rapporti. Ne risulta, in finale, una cernita di situazioni e contesti assolutamente arbitraria, che pone in maggior risalto alcune vicende e tratti caratteristici sempre e solo relazionali, centrandosi su scene di sesso e poco su contenuti squisitamente psichici. Il regista sembra incerto sulla direzione da far prendere alla sua storia, rendendola un po’ dozzinale e semplicistica, nonostante il prezioso materiale a disposizione, che tra l’altro ben conosce essendo uno psicoanalista. Nell’indagare le pulsioni più oscure e angosciose di menti come quelle di Freud, Jung, Gross e la Spielrein ci aspettavamo viaggi nella psiche, metafisici e conturbanti. E invece l’autore cede al richiamo del mainstream, lasciando interagire un carnet di stelle hollywoodiane su un canovaccio più teatrale che cinematografico, dove si muovono diligentemente ma senza un apparente scopo. In generale, si ha una kermesse che vive più di Eros che di Thanatos. L’Happy End finale è immancabile: Jung in preda alle sue fantasie grandiose si estranea dal mondo facendosi accompagnare da una giovane amante, mentre la moglie, pardon la madre dei suoi figli, fa da scenario alla sua vita, e Sabina, psicoanalista affermata e felicemente sposata, è incinta del suo primo figlio. Dimenticavo, Freud litiga definitivamente con Jung e continua a vivere nel suo Super Io, mentre Gross scompare in prenda alle sue pulsioni inconsce.

Il film, in realtà, non è da buttar via, in virtù di una buona messa in scena e della sinergia fra gli attori del cast, che rendono comunque piacevole e relativamente appassionante la frammentaria vicenda, ma la semplificazione estrema del tutto, non ce la aspettavamo da uno come Cronenberg, non può che deludere i suoi fan.

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