Definizione
Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite, il femminicidio viene definito come omicidio di genere, e comprende gli omicidi che riguardano l’uccisione di una donna in quanto donna. Le variabili necessarie per identificare un femminicidio sono molte e riguardano la vittima, l’autore e il contesto in cui ha avuto luogo l’uccisione (“Statistical framework for measuring the gender-related killing of women and girls also referred to as “femicide/feminicide” – Statistical_framework_femicide_2022.pdf)
Nella definizione proposta afferiscono tre tipologie di “gender-related killing”: gli omicidi di donne da parte del partner; gli omicidi di donne da parte di un altro parente; gli omicidi di donne da parte di un’altra persona, sia conosciuta sia sconosciuta, che però avvenga attraverso un modus operandi o in un contesto legato alla motivazione di genere. Anche l’Italia ha aderito al quadro statistico ONU “Statistical framework for measuring the gender-related killing of women and girls” per la definizione e l’identificazione delle forme di femminicidio.
In passato, nella lingua italiana l’unica parola esistente di significato analogo era “uxoricidio”. Tuttavia, la radice latina uxor (moglie) limitava il significato del termine all’uccisione di una donna in quanto moglie o, più in generale, all’uccisione del coniuge, dal momento che il termine veniva utilizzato anche per gli uomini. La coniatura del termine “femminicidio” ha consentito, invece, di identificare l’uccisione di una donna proprio “in quanto donna”.
In tutto il mondo, nei paesi sviluppati così come nei paesi in via di sviluppo, si verificano in totale circa 50,000 femminicidi all’anno, omicidi di donne in quanto donne da parte dei loro attuali o ex partner, padri, fratelli e altri membri familiari (UNODC, 2019). Le donne hanno 9 probabilità in più di essere uccise dal proprio attuale o ex-partner rispetto ad uno sconosciuto (Campbell et al., 2007).
Il femminicidio in Italia
Il documento redatto nel 2024 dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere – Audizione dell’Istituto Nazionale di Statistica – fornisce una fotografia sintetica delle principali informazioni statistiche e dei dati più recenti sulla violenza contro le donne, tratte dalle molteplici fonti a disposizione.
Secondo il documento i primi dati relativi agli omicidi commessi nell’anno 2023, diffusi dal Ministero dell’Interno, indicano un moderato aumento dei casi di omicidio volontario consumato, che dai 322 del 2022 passano a 330 nel 2023. A fronte di un aumento per gli uomini, gli omicidi di donne diminuiscono dai 126 del 2022 ai 120 del 2023.
Le analisi realizzate nel corso degli anni indicano che, in misura stabile, oltre la metà degli omicidi delle donne sono attribuiti al partner o all’ex partner della donna uccisa e circa il 20% ad altri parenti; 4 omicidi su 5 avvengono quindi nell’ambito familiare ristretto o allargato (Commissione Parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, p. 11).
Dal 2020 in base alle informazioni fornite dal Ministero dell’Interno e con riferimento al “Statistical framework for measuring the gender-related killing of women and girls” dell’ONU, l’Istat ha iniziato a calcolare il numero dei femminicidi in Italia.
Nel 2022 i femminicidi presunti sono stati 106 su 126 omicidi di donne (nel 2021 erano 104 su 119 omicidi con una vittima donna, nel 2020 104 su 116): in particolare, le donne uccise nell’ambito della coppia, dal partner o ex partner, sono 61; gli omicidi a opera di un altro parente sono 43, mentre una donna è stata uccisa da un conoscente con movente passionale e una uccisa da sconosciuti, nell’ambito della criminalità organizzata (Commissione Parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, p. 12).
La violenza di genere e Intimate Partner Violence
Il femminicidio rappresenta la punta dell’iceberg della violenza di genere; l’uccisione di una donna è spesso il culmine di violenze continuative perpetrate a lungo termine (UNODC, 2019).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto la violenza contro le donne come un grave problema di salute pubblica, con una pesante ricaduta sul benessere psicologico e fisico delle vittime.
La Direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012 definisce la violenza di genere nel modo seguente: «Per violenza di genere s’intende la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere. Può provocare un danno fisico, sessuale, emotivo o psicologico, o una perdita economica alla vittima; (…) comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l’aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cosiddetti reati d’onore».
La violenza di genere è quindi ogni atto di violenza fondato sul genere che comporti o possa comportare per la vittima danno o sofferenza fisica, psicologica e/o sessuale, includendo la minaccia di questi atti, coercizione o privazioni arbitrarie della libertà, che avvengano nel corso della vita pubblica o privata. La violenza di genere include dunque molte forme di violenza, da quella psicologica e fisica a quella sessuale, alla violenza economica, dagli atti persecutori-stalking allo stupro, fino al femminicidio, che riguardano persone discriminate in base al sesso (Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, 2014, p. 22).
Spesso si utilizza il termine di violenza domestica intendendo un pattern comportamentale violento, che include una vasta gamma di maltrattamenti fisici, sessuali e psicologici, economici, usati da una persona nei confronti di un’altra nell’ambito di una relazione intima al fine di ottenere o mantenere un costante potere, controllo e autorità sulla vittima (APA Task Force, 1996). In Inghilterra si utilizza anche la definizione “Intimate Partner Violence” (IPV).
L’Intimate Partner Violence, quindi, alla stessa stregua di altre forme di violenza, è fortemente correlata al concetto di potere: il suo vero obiettivo non è esclusivamente quello di provocare dolore o sofferenza fisica alla vittima, quanto piuttosto quello di sottometterla e umiliarla. La violenza è un comportamento appreso: in una relazione abusante si basa sulla credenza che una persona ha il diritto di controllare e avere potere su un’altra. La violenza è espressione di una mentalità e di un modo di pensare alle donne e alle relazioni.
La letteratura scientifica in materia ha dimostrato che la violenza è da considerarsi un fenomeno derivante dall’intreccio di una molteplicità di fattori di rischio di natura diversa: individuale, relazionale, culturale, e sociale. Tra questi fattori ritroviamo ad esempio a livello sociale e culturale norme patriarcali e stereotipi di genere che favoriscono la credenza per cui gli uomini sono visti come superiori alle donne e hanno il diritto di controllarle e dominarle; la disuguaglianza di genere: le donne hanno accesso limitato alle risorse economiche, all’istruzione e alle opportunità lavorative rispetto agli uomini, rendendole più vulnerabili e dipendenti; la cultura della violenza e dell’impunità: in molte comunità, la violenza contro le donne può essere tollerata o minimizzata, mentre i responsabili possono godere di impunità, ostacolando per le vittime la reale possibilità di denunciare e di chiedere aiuto. Ulteriori fattori di rischio di reiterazione di comportamenti violenti all’interno di una relazione interpersonale intima secondo una recente review di Campbell e colleghi (Campbell et al., 2021) sarebbero l’abuso di sostanze, l’essere cresciuti in un contesto familiare violento – incluso l’avere assistito a violenza in età infantile, accesso alle armi da fuoco, motivazioni di genere che sostengono il comportamento aggressivo e come evidenziato sopra far parte di contesti e comunità in cui sono prevalenti determinate norme, condizionamenti e stereotipi di genere.
Il fenomeno della violenza spesso ha un andamento ciclico che implica diverse fasi; il ciclo della violenza tiene intrappolata la vittima in vortice progressivo e rovinoso di violenza continuativa da parte del partner (Walker, 1979). Le diverse fasi sono le seguenti:
- Fase della crescita della tensione: il/la partner è irritato/a, ma non agisce ancora direttamente la violenza; questa trapela sul piano del comportamento non verbale. La vittima inizia ad avvertire la crescente tensione e cerca di prevenire l’escalation della violenza reprimendo i suoi bisogni.
- Fase della violenza espressa: la violenza viene esplicitamente agita in questa fase.
- Fase della luna di miele – riappacificazione: caratterizzata da pentimento e scuse per cancellare e minimizzare l’episodio di attacco. Dopo questa fase si ritorna alla fase della crescita della tensione, per poi ricominciare con il ciclo.
Spesso, la vittima mette in atto modalità di coping disfunzionali quali la minimizzazione dell’accaduto, la negazione della gravità della violenza subita, l’autocolpevolizzazione, la giustificazione del partner violento, tutti fattori di vulnerabilità che la mantengono in un assetto di sottomissione e spesso di dipendenza affettiva all’interno della relazione abusante ostacolando l’uscita dalla spirale della violenza.
Considerando i dati del 2022 rilasciati dal Ministero dell’Interno, le donne vittime di atti persecutori risultano 12.928, pari a un tasso di 42,8 donne per 100mila. Le denunce di maltrattamenti contro familiari e conviventi con vittima donna sono state 19.963 (65,2 per 100mila donne) e quelle di violenza sessuale 4.986 (16,5 per 100mila donne). Nel 2022 gli accessi delle donne in Pronto Soccorso (PS) con indicazione di violenza sono stati 14.448, in aumento rispetto agli accessi registrati nel 2021 (12.780, +13%).
Un altro dato da rilevare è che le vittime che hanno cercato aiuto presso il numero di pubblica utilità 1522 contro la violenza e lo stalking sono state 16.283 nel 2023, un numero in aumento rispetto al 2022 (+36,7%); 14.455 sono donne.
Fattori di rischio per il femminicidio, rischio di recidiva della violenza e prevenzione
Secondo uno studio di Campbell (Campbell et al., 2003), diversi fattori di rischio sono stati identificati in relazione al femminicidio in una relazione abusiva: precedenti episodi di violenza domestica, accesso alle armi da fuoco, misure di allontamento dalla vittima , minacce di morte e minacce a mano armata, stalking, abuso sessuale e violenze subite durante la gravidanza.
La tempestività della valutazione del rischio di recidiva e reiterazione della violenza a danno della donna risulta quindi essenziale nella prevenzione ai fini di evitare esiti drammatici e fatali.
Il principio cardine su cui si basa la valutazione del rischio di recidiva è che la violenza è una scelta, influenzata una molteplicità di fattori sociali, biologici, individuali di colui che maltratta:
si può così ipotizzare, prevedere, valutare quali fattori hanno portato la persona a decidere di agire violenza e intervenire cercando di modificarli, ridurli o ancora meglio farli scomparire o neutralizzarli, riducendo così il rischio di recidiva (Baldry, 2016).
Tra gli strumenti maggiormente usati in ottica di valutazione del rischio di recidiva di violenza tra partner vi è il metodo SARA (Spousal Assault Risk Assessment, Valutazione del rischio di recidiva nei casi di violenza e nelle relazioni intime), messo a punto in Canada nel 1996, e attuato in Italia, a partire dal 2006, con specifici protocolli con le Forze dell’Ordine da A.C. Baldry, e diffuso a centri antiviolenza e servizi territoriali.
Lo strumento S.A.R.A. è stato costruito sulla base di fattori di rischio che riflettono vari aspetti relativi alla storia di violenza, ai procedimenti penali, al funzionamento e adattamento sociale e alla salute mentale dell’autore della violenza, e di alcuni fattori di vulnerabilità della vittima. E’ uno strumento strutturato pensato per essere utilizzato come linea guida da diverse tipologie di operatori che possono trovarsi di fronte a casi di Intimate Partner Violence (assistenti sociali, forze dell’ordine, avvocati, psicologi, giudici, sostituti procuratori, professionisti socio-sanitari che operano nei consultori, nei centri anti-violenza e nei servizi materno-infantili).
Un punto di forza dello strumento consiste nell’integrare la valutazione dell’operatore con quella della donna, che in prima persona fornirà la propria percezione rispetto alla violenza subìta e i rischi a essa connessi, elementi sui quali dovrà essere impostato con lei il lavoro di fuoriuscita dalla violenza e le eventuali strade percorribili.
La rete di protezione è di fondamentale importanza per garantire alle donne vittime di violenza un percorso sicuro di uscita dalla violenza. Al centro di questa rete di protezione si trovano i CAV – Centri Anti Violenza, servizi specializzati che lavorano secondo i principi della Convenzione di Istanbul, che prevede che gli Stati aderenti predispongano “servizi specializzati di supporto immediato, nel breve e lungo periodo, per ogni vittima di un qualsiasi atto di violenza che rientra nel campo di applicazione” della Convenzione stessa.
- Antonelli, P.(2022). Le dipendenze affettive: quando amare fa male.Giunti.
- Campbell, J. C. , Webster, D. , Koziol‐McLain, J. , Block, C. , Campbell, D. , Curry, M. A. , Laughon, K. (2003). Risk factors for femicide in abusive relationships: Results from a multisite case control study. Am J Public Health, 93(7), 1089–1097.
- Dawson, M., Angus, H., & Zecha, A. (2024). Identifying femicide using the United Nations statistical framework: Exploring the feasibility of sex/gender-related motives and indicators to inform prevention. International Sociology, 39(3), 309-331.
- Ricoveri ospedalieri di donne – Istat
- Numero di pubblica utilità 1522 – Istat
- Commissione Parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere. Audizione dell’Istituto Nazionale di Statistica. 23 Gennaio 2024.
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