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Gli individui altamente sensibili: chi sono e cosa li caratterizza

L’elevata sensibilità è un tratto che influenza la percezione degli stimoli e il modo di rispondere ad essi, in tutte le condizioni e i contesti

Di Silvia Peruzza

Pubblicato il 06 Apr. 2021

Aggiornato il 09 Apr. 2021 13:34

L’elevata sensibilità riguarda una più ampia e approfondita elaborazione del contesto che l’individuo compie in preparazione alla risposta e si configura, quindi, come un diverso modo di percepire, analizzare e reagire agli stimoli ambientali.

Silvia Peruzza – OPEN SCHOOL, Psicoterapia Cognitiva e Ricerca Mestre

 

Elaine Aron, psicologa e ricercatrice americana, è stata una delle prime studiose ad approfondire il tema delle persone altamente sensibili. Le sue ricerche sono iniziate nei primi anni ‘90 e sono poi proseguite negli ultimi decenni, anche grazie ai contributi di altri autori.

L’elevata sensibilità è un tratto che si trova nel 20% della popolazione ed è stato rilevato non solo nella specie umana ma anche in moltissime specie animali (studi di Suomi sulle scimmie Rhesus, Suomi, 1997). Nel tempo, a questo tratto sono stati associati diversi nomi o perifrasi come “bassa soglia sensoriale”, “differente reattività agli stimoli”, “reattività psicobiologica”, “ sensibilità biologica al contesto”.

Tutti questi termini e descrizioni si riferiscono alla presenza di una caratteristica innata che può portare a dei vantaggi o svantaggi, a seconda delle esperienze e dell’ambiente in cui l’individuo si sviluppa. In particolare, l’elevata sensibilità riguarda una più ampia e approfondita elaborazione del contesto che l’individuo compie in preparazione alla risposta e si configura, quindi, come un diverso modo di percepire, analizzare e reagire agli stimoli ambientali.

La sensibilità all’ambiente

Tutte le specie viventi per soddisfare i bisogni primari e sopravvivere devono contare sulle risorse disponibili nell’ambiente in cui vivono; ogni organismo è perciò “programmato” per percepire, elaborare, reagire e adattarsi agli stimoli ambientali, siano essi positivi o negativi. La ricerca ha individuato però delle differenze individuali nelle modalità di risposta, in termini di maggiore o minore sensibilità e reattività agli elementi dell’ambiente. Negli ultimi 20 anni tale ambito di ricerca è stato approfondito e la maggiore sensibilità agli stimoli ambientali è stata chiamata dagli studiosi Sensory Processing Sensitivity (SPS, Aron & Aron, 1997). Gli individui che la manifestano vengono descritti come “Highly Sensitive”, un termine che non ha ancora un corrispettivo nella lingua italiana ma che potremmo tradurre con “individui altamente sensibili”.

La SPS rientra all’interno della cosiddetta “Enviromental Sensitivity Theory” che al suo interno contiene altre teorie che spiegano le differenze individuali nell’elaborazione degli stimoli ambientali. Rispetto a queste ultime, però, la Sensory Processing Sensitivity propone la presenza di un tratto fenotipico caratterizzato da maggiore profondità di elaborazione, maggiore reattività emotiva ed empatia, maggiore consapevolezza dei cambiamenti nel contesto e maggiore vulnerabilità alla sovrastimolazione.

Questo tratto è stato riscontrato in una percentuale compresa tra il 15 e il 20% della popolazione in diverse specie viventi, da quelle più semplici a quelle più evolute con ovvie differenze nella sua espressione comportamentale e genetica e rappresenterebbe la manifestazione di una delle due strategie di sopravvivenza studiate da lungo tempo dai biologi.

Le strategie di sopravvivenza e di comportamento di fronte al pericolo e allo stress sono solitamente di due tipi: la strategia dei falchi e la strategia delle colombe. I “falchi” reagiscono ad una situazione con impulsività, adottando una modalità di attacco/fuga per affrontare il pericolo. Le “colombe”, invece, preferiscono minimizzare i rischi osservando attentamente l’ambiente prima di intervenire. Ovviamente, le diverse strategie possono essere sia vantaggiose che svantaggiose, in relazione al tipo di ambiente e di situazione in cui l’individuo si viene a trovare. La SPS è stata associata alla strategia delle “colombe”, poiché questi individui risponderebbero agli indizi ambientali analizzandoli attentamente ed associandoli a quelli presenti in occasioni già affrontate. Quindi, necessiterebbero di più tempo per osservare la situazione: la loro reazione sarà perciò meno rapida di quella dei “falchi”, soprattutto in situazioni nuove (Korte et al., 2005).

Gli studi di Aron e collaboratori e le ricerche neuroscientifiche

Elaine Aron e il marito Arthur iniziarono a condurre diversi studi scientifici per validare una serie di osservazioni qualitative che avevano riscontrato in alcuni pazienti durante la loro pratica clinica.

I primi 7 studi, svolti analizzando i risultati provenienti da campioni di soggetti diversi sia in termini di dimensione che di caratteristiche, dimostrarono che l’elevata sensibilità è una variabile unidimensionale che presenta una distribuzione bimodale; è quindi presente o assente.

Inoltre, non vi sono differenze di genere: ci sono tante femmine quanti maschi altamente sensibili e l’espressione di questo tratto è influenzata dalla cultura di appartenenza.

La SPS non coincide con altri costrutti già conosciuti, come il nevroticismo, la timidezza o l’introversione, con i quali, in precedenza, era spesso stata confusa. In effetti, nevroticismo, timidezza e introversione risultano legati ad una maggiore reattività agli stimoli ambientali ma diversi studi hanno confermato che la sensibilità costituisce un tratto distinto. Il nevroticismo è la tendenza a provare emozioni negative, mentre l’elevata sensibilità si riferisce ad  una maggiore reattività emotiva (sia positiva che negativa); la timidezza rappresenta una risposta che l’individuo mette in atto quando teme di essere giudicato dall’altro ed è quindi uno stato temporaneo, mentre l’elevata sensibilità è un tratto permanente. Infine, l’introversione non coincide con l’elevata sensibilità poiché è stato trovato che una minoranza di individui altamente sensibili è estroversa (30%); la SPS è un tratto innato, mentre l’introversione risulta da molteplici cause e solo una di essere potrebbe essere costituita dalla SPS.

Un altro importante risultato ottenuto da questi primi studi è che nei campioni analizzati, sono emersi due sottogruppi di soggetti altamente sensibili: un sottogruppo era composto da individui che avevano vissuto un’infanzia infelice e che presentavano un maggior rischio di psicopatologia (depressione, ansia); un altro sottogruppo, invece, era composto da individui che avevano vissuto un’infanzia spensierata e che, a livello di distress psicologico, non presentavano nessuna differenza con gli individui non sensibili. Sembra quindi che gli individui con SPS reagiscano maggiormente a qualsiasi tipo di esperienza e il grado di quest’ultima (positivo o negativo) produca i suoi effetti a livello psicologico (vantaggiosi o svantaggiosi) in misura maggiore rispetto agli individui non SPS: questo tratto, quindi, interagisce con le esperienze negative aumentando il rischio di psicopatologia e, allo stesso modo, in interazione con le esperienze positive, ne incrementa gli effetti benefici.

La ricerca di Aron è proseguita fino ad arrivare all’elaborazione di un questionario self-report chiamato HSP Scale per misurare la SPS. Quest’ultimo è composto da 27 item che descrivono diverse modalità di risposta a stimoli cognitivi ed emotivi (sia positivi che negativi). Tale strumento di misurazione è risultato essere attendibile, con una buona validità interna ed esterna.

Negli ultimi anni, è stata approfondita la SPS anche con studi di neuroscienze e ne sono state confermate le basi biologiche (per una rassegna completa: review di Aron et al., 2012). Nel 2010, Acevedo e collaboratori (Acevedo et al., 2010) hanno svolto degli esperimenti utilizzando la risonanza magnetica funzionale e i punteggi alla HSP Scale di alcuni individui. Veniva analizzato il pattern di attivazione di alcune aree cerebrali mentre i soggetti guardavano delle immagini di volti (tristi, felici o neutri). Gli autori hanno trovato una correlazione tra i punteggi alla HSP Scale e l’attivazione in aree cerebrali solitamente coinvolte nell’empatia e nella consapevolezza, cioè la corteccia ventro-mediale e l’insula. L’insula, in particolare, gioca un importante ruolo non solo per la consapevolezza enterocettiva (percezione della temperatura, del battito cardiaco, ecc…) ma soprattutto per la sensibilità agli stimoli interni ed esterni e, una sua maggiore attivazione in una percentuale della popolazione, sembrerebbe confermare la SPS.

Nel 2011 è stato pubblicato un altro studio (Jagiellowicz et al., 2011) che ha verificato, attraverso la risonanza magnetica funzionale, la presenza di significative differenze nell’attivazione di alcune aree cerebrali in un gruppo di pazienti sensibili e non (individuati tramite il punteggio alla HSP Scale). Ai pazienti veniva chiesto di individuare delle differenze (più marcate o più sottili) tra un’immagine e un’altra. I soggetti sensibili hanno mostrato un’attivazione significativamente maggiore rispetto ai soggetti non sensibili nelle regioni coinvolte nella percezione visiva, soprattutto quando era richiesto di individuare differenze molto sottili. Secondo gli autori, questo risultato conferma la presenza di una spiccata capacità nei soggetti altamente sensibili nell’elaborazione degli stimoli, indice di processi sensoriali più profondi e dettagliati.

In sintesi, la ricerca sembra concorde nell’affermare che il cervello di un individuo altamente sensibile sia caratterizzato da una maggiore attivazione delle aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione approfondita degli stimoli (corteccia prefrontale, giro frontale inferiore) e nell’empatia e nell’emotività (insula, amigdala, corteccia cingolata).

Caratteristiche tipiche degli individui altamente sensibili

L’elevata sensibilità è un tratto che influenza la percezione degli stimoli e il modo di rispondere ad essi, non solo in situazioni specifiche ma in tutte le condizioni e i contesti in cui l’individuo si trova ad agire. Per capire meglio le caratteristiche che derivano da questa approfondita capacità di elaborazione, nel suo libro Psychotherapy and the highly sensitive person Elaine Aron (Aron E., 2010) le riassume in un elenco:

  • le persone altamente sensibili generalmente preferiscono esaminare una situazione osservandola piuttosto che esplorandola direttamente, riflettere e ponderare prima di agire o addentrarsi in un nuovo contesto. Agiscono in modo coscienzioso e riflessivo;
  • le persone altamente sensibili sono molto attente ai piccoli cambiamenti e ai dettagli nel contesto in cui si trovano. Inoltre, proprio per questo, riescono a cogliere e interpretare gli aspetti non verbali della comunicazione e a comprendere più facilmente le emozioni degli altri, dimostrando autentiche capacità empatiche;
  • nel prendere decisioni, le persone altamente sensibili sentono il bisogno di prendere in considerazione tutti gli aspetti delle possibili scelte. Per questo motivo, sono più lente nei processi decisionali ma estremamente accurate e consapevoli di tutti i rischi e i benefici;
  • le persone altamente sensibili presentano spesso un autentico interesse verso ambiti come le ingiustizie sociali, il benessere degli animali e le tematiche ambientali e presentano spesso spiccate doti artistiche o musicali. Sono dotate di ottimo intuito;
  • le persone altamente sensibili sono più facilmente sovrastimolate e, di conseguenza, sovraccaricate nelle situazioni maggiormente attivanti come esami, discorsi in pubblico, conversazioni con persone sconosciute, luoghi sovraffollati;
  • le persone altamente sensibili riferiscono di provare una più elevata attivazione emotiva in risposta a degli eventi emotigeni che però non causano altrettanta emotività in altri individui (ad esempio, dopo uno stesso episodio, una persona non SPS potrebbe riportare di essere triste, mentre una persona SPS potrebbe riportare di esserne devastata, sconvolta). Inoltre, le persone altamente sensibili riportano maggiore stress dovuto in generale a novità e cambiamenti, anche positivi;
  • questi individui possiedono maggiore sensibilità anche a livello fisico: un sistema immunitario più reattivo, una soglia del dolore più bassa, maggiore sensibilità agli effetti dei farmaci e delle sostanze stimolanti (es: caffeina);
  • le persone altamente sensibili riportano spesso un effetto calmante e rilassante quando sono a contatto con la natura e gli animali e ottengono elevati benefici a livello fisico e mentale da pratiche come lo yoga e la meditazione.

Elaine Aron ha inoltre elaborato un modello composto da quattro indicatori (Modello DOES) per raggruppare le caratteristiche principali degli individui altamente sensibili:

  • Depth of processing (profondità di elaborazione): le persone altamente sensibili elaborano in maniera più profonda e dettagliata le informazioni presenti nell’ambiente. In questo indicatore rientrano la difficoltà (ma allo stesso tempo l’accuratezza) nei processi di decision-making, le alte capacità empatiche e le abilità di problem-solving. Elaborare in modo più approfondito significa anche un maggiore utilizzo di risorse mentali e, per questo, le persone altamente sensibili percepiscono un affaticamento precoce, sia a livello cognitivo che a livello emotivo.
  • Overarousal (sovrastimolazione): le persone altamente sensibili raggiungono più facilmente alti livelli di arousal (attivazione) come conseguenza degli alti livelli di stimolazione. Ciò avviene soprattutto quando la situazione in cui si trovano è complessa (es: ci sono molte cose da fare o da ricordare) o se la stimolazione dura troppo a lungo (es: viaggi, giornate intense fuori casa). Oltre alla stanchezza precoce, questo porta ad una sensazione di confusione, stress e, a livello fisico, ad un aumento di attivazione del sistema nervoso simpatico (incremento della frequenza cardiaca, della frequenza respiratoria e della sudorazione). Come conseguenza, le persone altamente sensibili riportano la sensazione di sentirsi sopraffatte; per questo motivo, spesso cercano di evitare la sovrastimolazione allontanandosi da alcune situazioni per loro particolarmente impegnative, non ritenendosi capaci di gestire l’aumento di arousal e i conseguenti effetti fisici e cognitivi.
  • Emotionality Reactivity (reattività emotiva): le persone altamente sensibili reagiscono con un’intensità emotiva maggiore. Ciò le porta ad essere estremamente empatiche verso gli altri (capacità di percepire e “sentire” le emozioni che gli altri stanno provando) e capaci di provare autentica compassione verso gli altri. La maggiore reattività emotiva, unita alla profondità di elaborazione già citata, permette all’individuo di apprendere rapidamente dalle nuove esperienze, mettere velocemente in relazione le conoscenze con esperienze simili e integrarle. Le persone altamente sensibili possiedono una spiccata intelligenza emotiva e ottime capacità di ascolto. D’altro canto però questa caratteristica le porta ad essere più facilmente irritabili, proprio perché sovrastimolate da questi processi.
  • Sensory Sensitivity (sensibilità sensoriale): le persone altamente sensibili sono più reattive agli stimoli sensoriali; ciò significa che percepiscono e discriminano i piccoli cambiamenti che avvengono nell’ambiente. In questo indicatore rientrano la preferenza per ambienti tranquilli e poco rumorosi e la maggiore sensibilità agli effetti collaterali dei farmaci. Questa caratteristica è visibile soprattutto nei bambini altamente sensibili, che sono maggiormente infastiditi dai forti rumori (es: fuochi d’artificio) e da piccoli dettagli (etichette nei capi di abbigliamento, cuciture, vestiti stretti).

Implicazioni per la pratica clinica

L’elevata sensibilità è un tratto innato. E’ quindi presente sin dall’infanzia e non è un disturbo. Il modo in cui questa caratteristica viene interpretata e gestita dal contesto familiare che ruota attorno al bambino sensibile è un punto fondamentale per capire come il futuro adulto saprà utilizzarla e viverla.

E’ stato studiato, infatti, che la SPS può aumentare il rischio di psicopatologie (in particolare, disturbi d’ansia e dell’umore, disturbi somatici e psicofisiologici) negli individui SPS che hanno vissuto un’infanzia traumatica e instabile. D’altra parte, si è anche rilevato come, individui altamente sensibili che hanno vissuto un’infanzia piacevole e sono cresciuti all’interno di un ambiente positivo, dimostrano maggiori capacità sociali e migliori strategie di coping di fronte agli eventi avversi. In sintesi, beneficiano più di altri dall’aver vissuto in ambiente positivo e da uno stile di attaccamento sicuro.

Lo studio e l’approfondimento dell’elevata sensibilità sono quindi importanti sia dal punto di vista teorico per comprendere meglio la natura delle differenze individuali, sia dal punto di vista clinico per le sue implicazioni sulla salute, sulla qualità della vita e sul benessere psicofisico delle persone altamente sensibili.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Acevedo, B., Aron, A., Aron, E. (2010, August). Association of sensory processing sensitivity when perceiving positive and negative emotional states. Presented at American Psychological Association, San Diego, CA.
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  • Aron E. N. (2010). Psychotherapy and the highly sensitive person. Improving outcomes for that minority of people who are the majority of clients. New York: Routledge.
  • Aron, E., Aron, A., Jagiellowicz, J. (2012). Sensory Processing Sensitivity: A Review in the Light of the Evolution of Biological Responsivity. Personality and Social Psychology Review, 16, 262-282.
  • Greven, C. U. & al. (2019). Sensory Processing Sensitivity in the context of Enviromental Sensitivity: a critical review and development of research agenda. Neuroscience and Biobehavioral Reviews, 98, 287-305.
  • Jagiellowicz, J. et al. (2011). The trait of sensory processing sensitivity and neural responses to changes in visual scenes. Social Cognitive and Affective Neuroscience, Volume 6, Issue 1, 38-47.
  • Korte, S. M., Koohlaas, J. M., Wingfield, J. C. & McEwen, B. S. (2005). The Darwinian concept of stress: benefits and costs of allostatic load and the trade-offs in health and disease. Neuroscience and Biobehavioral Reviews, 29, 3-38.
  • Suomi, S. J. (1997). Early determinants of behaviour: evidence from primate studies. British Medical Bulletin, 53, 170-184.
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