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Imparare l’ottimismo. Come cambiare la vita cambiando il pensiero. (2015) di M. E. P. Seligman – Recensione

Il libro Imparare l’ottimismo di Seligman mostra come coltivare ottimismo, resilienza e benessere nella vita quotidiana

Di Giulia Campanale

Pubblicato il 24 Set. 2025

Martin Seligman e le origini della Psicologia Positiva: il valore dell’ottimismo

Martin E. P. Seligman è uno psicologo statunitense considerato il padre fondatore della Psicologia Positiva, una rivoluzionaria branca della psicologia che ha segnato una svolta significativa nella storia della psicologia degli ultimi 40 anni, spostando il focus dall’intervento terapeutico centrato sui deficit degli individui alla valorizzazione delle loro risorse interiori e alle strategie per farle sbocciare. 

Tra i capisaldi della Psicologia Positiva, oltre ai temi del perdono, della gratitudine, della flow experience e del flourish (felicità e benessere), un ruolo centrale è rivestito dell’ottimismo, al quale Seligman ha dedicato un intero libro intitolato Imparare l’ottimismo”, pensato per offrire ai lettori una nuova lente attraverso la quale imparare a guardare la realtà.

Nel volume Imparare l’ottimismo, l’autore sottolinea che non necessariamente si nasce ottimisti, ma lo si può diventare imparando a guardare alla vita in modo da trarre il massimo vantaggio dalle lezioni dell’esperienza, dalle proprie capacità e dalle opportunità dell’ambiente circostante.

Pessimismo, ruminazione e strategie per cambiare il pensiero

Seligman offre ai lettori nuove prospettive e modalità di approcciarsi ai problemi, sia da un punto di vista teorico che “pratico”, attraverso test ed esercizi di vario tipo.

L’autore apre il volume Imparare l’ottimismo mettendo in luce la differenza tra pessimisti e ottimisti, soffermandosi principalmente su come il pessimismo si cementifichi su due concetti cardine: l’impotenza appresa, ovvero la risposta psicologica di rinuncia derivante dalla credenza che qualsiasi cosa si faccia non abbia alcun effetto su ciò che accade; e lo stile esplicativo, ossia le costruzioni narrative attraverso le quali spieghiamo a noi stessi il motivo per cui accadono determinati eventi e che derivano direttamente dalla visione che abbiamo del nostro valore nel mondo. Quest’ultimo comincia a svilupparsi nell’infanzia e diventa la lente attraverso la quale leggiamo i nostri successi e fallimenti, rinsaldandosi nel tempo e trasformandosi in una solida abitudine di pensiero.

Successivamente Seligman si sofferma ampiamente su quello che viene da lui definito come “l’ultimo stadio del pessimismo”, la depressione, uno spiacevole stato psicologico che può seriamente danneggiare la qualità della vita di chi lo sperimenta. Alla base di questo disturbo vi è un processo di analisi ossessiva dei propri problemi che prende il nome di “ruminazione” e che combinata ad uno stile pessimistico genera la perfetta formula della depressione più grave.

A seguito di un fallimento ognuno di noi, nessuno escluso, diventa momentaneamente impotente, triste e demoralizzato. Lo stile esplicativo pessimistico, però, è ciò che può trasformare uno stato di impotenza appresa breve e contingente in uno stato di impotenza generale e duraturo, caratterizzato da una visione del fallimento pervasiva e permanente che abbraccia anche il futuro e qualsiasi altra situazione. Si tratta quindi di un modo di pensare particolarmente autolesivo che, se mantenuto nel tempo, può tramutarsi nel seme della depressione.

Questo, va detto, non dimostra che la causa della depressione sia sempre il pessimismo, ma solo che le persone depresse sono nel contempo pessimiste. 

Nonostante ciò, Seligman ci tiene a sottolineare una nota incoraggiante: sia la tendenza alla ruminazione ossessivo-negativa sia lo stile esplicativo pessimistico possono essere efficacemente modificati e debellati, prevenendo anche eventuali ricadute. Questa visione è tutt’altro che scontata: fino a un centinaio di anni fa alcuni tratti del carattere e del comportamento umano erano considerati stabili e immutabili, ed è stato solo negli ultimi decenni che ha iniziato a farsi strada un’ideologia più ottimistica capace di mettere in rilievo il ruolo del cambiamento, abbracciando la possibilità che il potesse essere migliorato attraverso la capacità dell’individuo di agire su sé stesso. Non si tratta di una chimera: la possibilità di automigliorarsi è concreta ed esiste davvero.

Oltre a ciò, a partire dagli anni ‘60 venne messa a punto la psicoterapia cognitivo-comportamentale, un approccio che si prefigge come obiettivo primario quello di cambiare e migliorare il modo in cui le persone pensano ai loro problemi e insuccessi. La terapia cognitivo-comportamentale prevede in primis la capacità di riconoscere i pensieri automatici che sorgono nei momenti di difficoltà e di fallimento, per poter poi sviluppare la capacità di combatterli sulla base di prove contrarie o attraverso l’individuazione di spiegazioni alternative al problema (le cosiddette riattribuzioni). È poi necessario acquisire la capacità di distrarsi dai pensieri che generano una ruminazione negativa e rendono depressi poiché, sorprendentemente, è possibile imparare a controllarne non solo il contenuto ma anche i momenti in cui essi si manifestano.

Insomma, la terapia cognitivo-compotamentale funziona perché lavora sullo stile esplicativo e perché fornisce al sé una serie di tecniche e strumenti per cambiare e sviluppare una situazione di maggiore benessere psicologico.

Ottimismo flessibile: il ruolo positivo del pessimismo

Seligman nel libro Imparare l’ottimismo si dedica poi a offrire una visione ancora più ampia e approfondita sull’argomento, sottolineando come il pessimismo possa comunque avere anche un ruolo funzionale e positivo. Esso, infatti, aiuta a correggere gli eventuali comportamenti errati che possiamo mettere in atto quando siamo ottimisti e non depressi, consentendo una più accurata e obiettiva valutazione della realtà lontana da possibili distorsioni e rischiose amplificazioni generate dall’ottimismo. Il pessimismo svolge quindi una funzione di contenimento, contribuendo a moderare e frenare eventuali impulsi imprudenti o azioni sconsiderate che possono svilupparsi durante attacchi di eccessivo ottimismo e speranza.

Il genio dell’evoluzione sta però nell’esistenza di una delicatissima tensione dinamica tra ottimismo e pessimismo, un equilibrio che li vede protagonisti di una costante collaborazione e di un gioco di correzione reciproca. L’alternarsi di questi due stati e l’esistenza di questa perpetua possibilità di fluttuazione è ciò che consente agli esseri umani di realizzare, volendo, così tante cose: se è vero che la vita riserva le stesse tragedie e avversità sia all’ottimista che al pessimista, la chiave sta allora nel saper bilanciare le azioni più audaci e quelle più rischiose, imparando a scegliere l’ottimismo nella maggior parte dei casi ma ascoltando anche il pessimismo quando è fondato. 

Si potrebbe dunque parlare di un “ottimismo flessibile”, un ottimismo “con gli occhi aperti” che sappia lasciare spazio alla possibilità di avere e usare un forte senso della realtà senza però ancorarvisi eccessivamente. Ecco allora che imparare l’ottimismo non significa agire in maniera irragionevole né erodere la propria capacità di giudizio: significa semplicemente sapere di avere a disposizione un prezioso strumento da poter sfruttare consapevolmente per utilizzare al meglio la saggezza maturata dalle lezioni dell’esperienza della vita.

Riferimenti Bibliografici
  • Seligman M. E. P. (2015). Imparare l’ottimismo. Come cambiare la vita cambiando il pensiero. Giunti Editore.
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