I campi di rieducazione negli stati Uniti
Il New York Times ha pubblicato un articolo della giornalista Maia Szalavitz sui campi di rieducazione americani che dà modo di riflettere sui percorsi terapeutici distinguendo tra ciò che è realmente terapia, inteso come basato su elementi scientifici, e ciò che non lo è.
Negli Stati Uniti migliaia di giovani vengono mandati contro la loro volontà in strutture per “adolescenti problematici”, campi di rieducazione, che affermano di poter risolvere tutto ciò che il genitore ritiene un problema, come l’essere irrispettosi, stare fuori fino a tardi, fare uso di droghe, rapporti sessuali promiscui ecc: si tratta della Troubled Teen Industry, da 1,2 miliardi di dollari all’anno (NYRA). Se i genitori decidono di aderire al programma, i ragazzi restano intrappolati in questi campi altamente non regolamentati e spesso isolati, senza contatti con l’esterno, spesso neanche con i genitori stessi, che possono non essere consapevoli di ciò a cui i figli andranno incontro (NYRA).
Szalavitz ci racconta il caso di Sadie, che si è ritrovata proprio in uno di questi campi, ma ricostruiamo brevemente il suo percorso terapeutico. Sadie è stata ospedalizzata per depressione da quando aveva 13 anni, ma ha sviluppato comportamenti suicidari ed è stata ricoverata al McLean Hospital, legato alla Harvard Medical School, dove ha potuto partecipare a un programma di terapia dialettico comportamentale (DBT), una terapia scientificamente validata, soprattutto nella riduzione degli agiti autolesivi, dei comportamenti suicidari e della disregolazione emotiva.
Dopo questo periodo, però, è stata spostata in una sorta di “collegio” in Montana, un centro parte della Troubled Teen Industry, dove, secondo quanto comunicato inizialmente, avrebbe potuto proseguire il trattamento DBT. Ma così non è stato.
Sadie ha descritto il periodo trascorso lì come il peggiore della sua vita, descrive la terapia come caotica e senza struttura, basata su feedback dati ai ragazzi sul loro comportamento in modo critico e svalutante, non costruttivo; inoltre, bisognava guadagnarsi alcuni “privilegi”, come quello di poter telefonare ai propri genitori (Szalavitz, 2024).
Su cosa si basano i campi di rieducazione?
La Trouble Teens Industry si riferisce a una rete di programmi non regolamentati a livello federale per la modifica del comportamento degli adolescenti attraverso cosiddetti interventi terapeutici. Ma che tipo di interventi sono previsti? Su quali evidenze scientifiche si basano?
La vera natura e struttura di questi programmi è relativamente poco chiara. Corsello e Hayes (2024) hanno condotto uno studio analizzando sistematicamente 77 testimonianze di ex partecipanti al programma. Le analisi hanno rivelato alti tassi di controllo coercitivo all’interno di queste narrazioni: gli intervistati hanno riportato abusi psicologici, gaslighting, umiliazioni e insulti. Le narrazioni contenevano anche temi di controllo coercitivo: la mancanza di privacy, la paura di ritorsioni da parte del personale per la disobbedienza, l’isolamento sia dall’esterno sia dagli altri partecipanti.
I risultati dello studio forniscono informazioni critiche sul funzionamento di questi programmi, sulle esperienze dei giovani coinvolti in questi programmi e su come i giovani coinvolti potrebbero esserne influenzati (Corsello e Hayes, 2024).
I programmi per adolescenti in difficoltà stanno finalmente ricevendo attenzione grazie anche all’attivismo di personaggi noti come Paris Hilton, che in adolescenza è stata mandata in diverse strutture di questo tipo, e grazie al documentario Netflix “The Program” (Szalavitz, 2024).
Tutto questo incoraggia allo sviluppo di maggiori ricerche a riguardo e maggior regolamentazione: gli interventi terapeutici devono basarsi sulle evidenze scientifiche e purtroppo ciò che viene fatto in questi centri non ha nulla di scientifico.