Con il termine gaslighting si fa riferimento al processo di manipolazione di una persona con l’obiettivo di farla dubitare di se stessa e della sua stessa sanità mentale. Si tratta di uno specifico tipo di abuso emozionale e psicologico, messo in atto tramite un insieme di tentativi volti a minare la stabilità mentale della persona portandola a mettere in dubbio la sua percezione della realtà e i suoi pensieri (Kline, 2006).
L’espressione Gaslighting deriva dal film intitolato Gas Light (1944) tratto dall’opera teatrale Angel Street del 1938. La protagonista è vittima di gaslighting da parte del marito, che mira ad impossessarsi di alcuni gioielli di valore appartenenti alla famiglia della moglie senza che lei se ne accorga. Nel momento in cui la moglie nota l’involontario calo di intensità della luce a gas dovuto alle ricerche notturne del marito – da cui il titolo Gas Light – questi le fa credere che sia tutto frutto della sua immaginazione e inizia a manipolare piccoli aspetti della vita quotidiana per portarla ad impazzire (Spear, 2020).
Le caratteristiche del Gaslighting
Pur non basandosi su atti di violenza fisica, il gaslighting è una forma di abuso, una violenza insidiosa, che lascia profonde ferite psicologiche e che si verifica quando una persona (il gaslighter) ne manipola un’altra per farla dubitare dei suoi giudizi, pensieri, valutazioni con l’obiettivo di convincerla a considerare le proprie percezioni, credenze o ricordi come inaffidabili; questo obiettivo viene ottenuto negando la veridicità di quanto affermato dalla vittima e insinuando che il suo giudizio sia poco credibile perché è la persona stessa ad avere qualcosa che non va (Stark 2019).
Si tratta di un’interazione tra un gaslighter, che ha bisogno di avere ragione per mantenere controllo e potere, e una vittima, che permette al gaslighter di definire il suo senso di realtà perché lo idealizza e ne cerca l’approvazione. Proprio in questa ricerca di approvazione e validazione inizia a manifestarsi il pericolo (Stern, 2007).
Un tipico esempio di gaslighting all’interno di una relazione di coppia è quella in cui l’uomo, coinvolto in una relazione extraconiugale, usa gli stereotipi di genere come ad esempio la gelosia, non solo per distogliere l’attenzione da ciò che egli stesso compie, ma anche per controllare la donna portandola a dubitare delle sue percezioni (Gass and Nichols 1988).
Il risultato delle tattiche del gaslighter fa sì che la vittima sperimenti confusione, dubbi su di sé e senta il bisogno di ritirarsi, allontanandosi così da altre persone significative. La manipolazione del gaslighting prevede varie tattiche ingannevoli come il diniego di quanto la vittima afferma e sperimenta, oppure il presentare false informazioni in modo da disorientarla e confonderla. Tipicamente infatti il gaslighter modifica la verità sfidando i ricordi e la memoria della vittima in un modo talmente convincente che la vittima stessa inizia a mettere in dubbio la sua sanità mentale (Hightower, 2017).
Alcune espressioni tipiche utilizzate dal gaslighter sono le seguenti (Abramson, 2014):
- Sei pazzo/a
- Non essere così sensibile
- Non essere paranoico/a
- Stavo solo scherzando!
- Ti immagini le cose
- Stai reagendo in modo esagerato
- Non ti agitare così tanto
- Quello che dici non è mai successo
- Sono preoccupato/a: penso che tu non stia bene
Il gaslighting al di fuori delle relazioni di coppia
Il fenomeno del gaslighting non si verifica solamente all’interno di relazioni sentimentali, ma anche nel contesto familiare, amicale o lavorativo.
Una realtà tipica è quella che vede protagonisti genitore e figlio (Gruda, 2020): quando il rapporto non matura alle fasi adulte e il genitore continua a relazionarsi con il/la figlio/a adoperando un fare autoritario, non permette a quest’ultimo di svilupparsi pienamente nella sua personalità. È il paradigma del genitore autoritario e iperprotettivo che tratta il figlio da incapace rendendolo soggetto passivo della sua stessa vita. In quasi tutte le forme di gasligthing è infatti presente anche l’elemento dell’iperprotezione: il gasligther è convinto di proteggere la sua vittima al punto da sentirsi autorizzato a sostituirsi a essa, anche se questo avviene spesso in modo inconsapevole. Nella sua massima espressione il gaslighting proiettato a livello familiare arriva a strutturarsi in quella che è una permanenza senza uscita dal modello educativo autoritario genitore-bambino. In questo modello l’autorità genitoriale è assoluta: non deve fornire spiegazioni di nessun tipo alla prole in merito alle proprie azioni o ai propri ordini, ed è incapace di riconoscere i figli come soggetti autonomi, che hanno desideri e capacità proprie da sviluppare. Nonostante lo scorrere del tempo, il gaslighter mantiene i figli in un limbo in cui sono costantemente deprivati delle responsabilità, a favore, invece, di un forte senso di colpa. Il risultato è che la vittima rimane come imprigionata nella condizione infantile del ‘subordinato’, e il manipolatore prolunga un modello relazionale basato più sul senso di proprietà che su affettività ed educazione.
Le fasi del gaslighting
Il gaslighting si sviluppa secondo tre fasi, a seguito di un primo periodo tendenzialmente piacevole dovuto al fatto che il manipolatore si pone inizialmente in maniera positiva e riempie la sua vittima di complimenti. Il gaslighter è infatti un calcolatore formidabile delle possibili reazioni delle sue vittime delle quali studia i punti deboli. Diviene straordinariamente capace di fornire alla sua vittima sia messaggi positivi che negativi. Il suo scopo in realtà non è deprimerla o affossarla ma renderla migliore secondo il suo disegno. In pratica la rende totalmente dipendente da lui, ostacolando tutto quello che si discosta dal suo disegno (Forlano, 2014; Gruda, 2020).
- La prima fase è caratterizzata da una distorsione della comunicazione. La vittima non riesce più a capire il persecutore. I dialoghi sono caratterizzati da silenzi ostili, alternati a piccature destabilizzanti. La vittima si trova così disorientata, confusa nella nebbia.
- La seconda fase è caratterizzata da un tentativo di difesa. La vittima cerca di convincere il suo abusante che quello che dice non corrisponde alla verità; prova ad instaurare un dialogo, ostinato, con la speranza che ciò serva a far cambiare il comportamento del gaslighter. La vittima si sente come investita da un compito basilare: le sue capacità d’ascolto e di dialogo riusciranno a far cambiare l’abusante.
- La terza fase è la discesa nella depressione. La vittima si convince che ciò che l’abusante dice nei suoi confronti corrisponde a verità, si rassegna, diventa insicura ed estremamente vulnerabile e dipendente. In questa fase la perversione relazionale raggiunge l’apice: la violenza si cronicizza e la vittima si convince della ragione e anche della bontà del manipolatore che, spesso, viene anche idealizzato.
Le caratteristiche del gaslighter
Il gaslighter è motivato da un forte desiderio di neutralizzare l’abilità della sua vittima di criticarlo in modo da assicurarsi il suo consenso e mantenere il controllo su di lei. Caratteristico è il fatto che non è sufficiente per il gaslighter avere il controllo della vittima, né che le cose vadano come vuole lui: egli vuole che la vittima sia davvero d’accordo con lui. Il fenomeno è quindi diverso dal mettere a tacere l’altra persona, dal creare un ambiente in cui tutti pensano che la vittima sbagli o dall’ottenere il consenso della vittima forzatamente (Abramson, 2014; Spear, 2020).
Il gaslighter inoltre ha difficoltà a identificare, gestire ed esprimere le emozioni e soffre di un forte senso di vulnerabilità, come molte persone che commettono abusi. Non tollera la possibilità di un disaccordo o critiche sul suo modo di vedere le cose e il suo scopo è quindi eliminare ogni possibilità che ciò si verifichi minando la concezione che la vittima ha di sé e convincendola del fatto che non deve fidarsi di se stessa in quanto troppo sensibile, dotata di una percezione della realtà difettosa, che non le permette di potersi fidare dei suoi stessi giudizi né di essere competente nel prendere decisioni (Abramson, 2014; Spear, 2020).
La vittima di gaslighting
La vittima di gaslighting si trova davanti ad un dilemma: di chi fidarsi? Chi ha la visione più credibile tra lei e il gaslighter? Un aspetto da tenere presente è come ci sia un legame tra i due e la vittima abbia investito emotivamente nel gaslighter e nella loro relazione: proprio perché il gaslighter è una persona fidata, la vittima è maggiormente portata a credergli (Spear, 2020).
La vittima si trova a lottare con la sensazione che la sua mente sia stata manipolata, i suoi pensieri influenzati e la validità delle sue percezioni minata, sperimentando forte confusione. Nel frattempo il gaslighter porta avanti queste distorsioni dipingendosi lui stesso come la vittima della situazione che rimane a fianco dell’altra persona nonostante le sue presunte difficoltà. La vittima diventa sempre più incerta e confusa riguardo alle sue valutazioni, alle percezioni interne o esterne e alle sue capacità di percepire la realtà (Calef & Weinsbe, 1981) e arriva a vedere persino il ricordo del proprio vissuto così debole, da essere relegato a mero fatto immaginato, con conseguenze gravi e profonde sull’autostima, fino addirittura a ritenersi stupida e incapace, pazza; è insidiata ogni certezza e sicurezza della persona. Si crea così un rapporto tossico in cui la vittima si sente inadeguata, incapace, stupida, ma contestualmente vede nel suo aggressore una ‘fonte di autorità’, perché lo associa a una possibilità di crescita e miglioramento personale (Gruda, 2020).
Per chi vive una relazione di questo tipo ė difficile accorgersene e forse, ancor di più, ammettere di essere manipolato/a, anche se, a uno sguardo più attento, è possibile individuare veri e propri campanelli d’allarme. Tra questi, il fatto d’essere sempre d’accordo con il genitore, con il partner o con l’amico/a, la scelta di rinunciare sempre a esprimere la propria opinione anche in presenza di dubbi legittimi, frutto della scarsa considerazione e della sensazione di inadeguatezza da questo generata. Chi vive una situazione di tale disagio ha bisogno di un aiuto concreto per uscirne. È necessario un lungo percorso in cui la vittima riesca a vedersi come autonoma e capace e ritrovi occasioni per dimostrare, soprattutto a sé stessa, quanto valga (Gruda, 2020).
A cura di Maria Gazzotti
Bibliografia:
- Abramson K (2014) Turning up the lights on gaslighting. Philos Per- spect 28(1):1–30
- Calef, V., & Weinshel, E. M. (1981). Some clinical consequences of introjection: Gaslighting. The Psychoanalytic Quarterly, 50(1), 44-66.
- Davis, A. M., & Ernst, R. (2017). Racial gaslighting. Politics, Groups, and Identities, 7(4), 761-774. Available here.
- Forlano, T. (2014). Gaslighting, una forma di violenza psicologica – Rapporti interpersonali. State of Mind.
- Gass, Gertrude Z., and William C. Nichols. (1988). Gaslighting: A Marital Syndrome. Contemporary Family Therapy 10 (1): 3–16.
- Gruda, S. (2020). Gaslighting: quando la manipolazione annulla la libertà. State of Mind.
- Hightower, E. (2017). An exploratory study of personality factors related to psychological abuse and gaslighting (Doctoral dissertation, William James College).
- Kline, N. A. (2006). Revisiting once upon a time. American Journal of Psychiatry, 163(7), 1147-1148.
- Stark, C. A. (2019). Gaslighting, misogyny, and psychological oppression. The Monist, 102(2), 221-235. Available here.
- Spear, A. D. (2020). Gaslighting, confabulation, and epistemic innocence. Topoi, 39(1), 229-241.
- Stern, R (2007). The gaslight effect. Random House. New York