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Gaslighting: quando la manipolazione annulla la libertà

Il Gaslighting è un fenomeno in cui il manipolatore rende la vittima totalmente dipendente da sé, ostacolando tutto quello che si discosta dal suo disegno

Di Sonila Gruda

Pubblicato il 23 Giu. 2020

Aggiornato il 06 Lug. 2020 15:51

Quando la manipolazione non è uno strumento ma un fine, e il manipolatore è consapevole del processo che sta mettendo in atto per fare in modo che la sua vittima abbracci totalmente il suo punto di vista, ci troviamo di fronte al Gaslighting.

 

Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà verità. (Anonimo)

Che cos’è la fiducia? Potremmo forse figurarcela come un mantello, ampio abbastanza da poter essere portato da due o più persone contemporaneamente e tessuto in un percorso comune, che opera come un’ala protettiva, favorendo un’oasi di serenità.

Sicuramente ogni rapporto di fiducia rappresenta uno spazio di condivisione e benessere protetto tenacemente dai singoli che ne fanno parte, che spesso porta con sé una chiusura verso l’esterno, ma allo stesso tempo anche un abbassamento delle proprie difese personali. Se ben combinati questi due elementi non sono necessariamente nocivi, tuttavia, quando poniamo nelle mani di altri i nostri segreti, le nostre debolezze, e in generale tutto ciò che attiene alla nostra intimità possiamo renderci vulnerabili e in realtà, nella maggioranza dei casi, rischiamo un tipico passo falso: ci esponiamo alla possibilità di sbilanciarci troppo a favore dell’altro, restando totalmente assorbiti dalla nuova relazione.

La fiducia è necessaria ad ogni relazione e certamente ne costituisce una componente attrattiva, ma per poter riconoscere un’eventuale relazione tossica bisognerebbe far caso a una serie di aspetti, come ad esempio un cambiamento veloce delle proprie abitudini, del modo di usare il tempo, e la continua messa in discussione di sé stessi.

Quando si crede sia necessario cambiare il proprio modo di pensare in quanto inadeguato ci si illude spesso di aver raggiunto un nuovo grado di maturità e una maggiore consapevolezza di sé, ma in realtà, in alcuni casi, questo convincimento può essere la conseguenza di una lunga attività di suggestione, da cui uno dei due soggetti cerca di trarre vantaggio, mentre l’altro ne subisce gli effetti avendo spesso molta difficoltà a rendersene conto.

Chi riesce a tessere questo tipo di relazione è un abile manipolatore, ossia una persona in possesso di una grande capacità persuasiva, in grado di modificare le percezioni della vittima, soggiogandola al punto tale da farla dubitare di ogni cosa e “costringendola” ad abbracciare il punto di visita dello stesso burattinaio.

Questo processo può avvenire in vari modi e, paradossalmente, il manipolatore è anch’esso vittima della sua incapacità di vedere la realtà in modo obiettivo.

Costui o costei infatti agisce spinto dalla estrema convinzione riposta nelle proprie idee e di conseguenza attua i suoi schemi affinché molti altri li condividano; legandoli progressivamente a sé, traendo appagamento dal loro sostegno e approvazione e dunque rinnovate energie, perpetrando le sue macchinazioni, nella convinzione sempre più radicata di agire nel migliore dei modi, se non nel solo modo possibile.

Normalmente il manipolatore riesce nel suo intento e ottiene un discreto successo, dal momento che non di rado investe gran parte del suo tempo e delle sue risorse per maturare competenze utili allo scopo fin da bambino.

Nel caso invece in cui il suo disegno non arrivi a compimento, questi potrebbe persino destabilizzarsi al punto da compiere gesti estremi.

Quando la manipolazione non è uno strumento ma un fine, e il manipolatore è consapevole del processo che sta mettendo in atto per fare in modo che la sua vittima abbracci totalmente il suo punto di vista, ci troviamo di fronte a una sua forma estrema: il Gaslighting.

In questa forma il manipolatore cerca di far dubitare la vittima della sua percezione fino a rendere persino il ricordo del proprio vissuto così debole, da essere relegato a mero fatto immaginato, con conseguenze gravi e profonde sull’autostima del bersaglio, che potrebbe infine ritenersi stupido e incapace, o addirittura pazzo; è insidiata ogni certezza e sicurezza della persona.

Il termine deriva dal film Gas light del 1938 e dai suoi rifacimenti successivi, tra cui vale la pena ricordare Rebecca – la prima moglie di Alfred Hitchock (1940).

In tutti questi film è descritto bene il contesto in cui avviene la violenza psicologica. Un marito occupato a frugare casa per trovare le ricchezze della moglie abbassa, come effetto collaterale delle sue ricerche, l’intensità di alcune luci a gas. La moglie se ne accorge e manifesta disappunto e disagio, ma il marito riesce a convincerla che tutto quello che sta avvenendo sia in realtà solo frutto della sua immaginazione, sostenendo che l’intensità delle luci sia rimasta la medesima di sempre, in questo modo nascondendo il suo operato.

La situazione si protrae a lungo e alla fine la moglie finisce con l’impazzire.

Così funziona il Gaslighting: la vittima viene gradualmente indebolita e resa malleabile, un disegno spietato che viene portato a compimento utilizzando una strategia subdola in cui si persegue il preciso obiettivo di deprimere totalmente il bersaglio.

Nel film ci viene mostrato come l’obiettivo sia perseguito alterando piccoli elementi dell’ambiente di vita quotidiano, tuttavia, nella realtà spesso questo si traduce in stratagemmi che, presi singolarmente, potrebbero non suggerire alcun indizio in merito a ciò che effettivamente sta avvenendo, ma la natura continuativa e costante di queste “piccole manipolazioni quotidiane”, portate avanti in modo sistematico, le rende estremamente pericolose.

Il Gaslighter infatti spesso fa uso di frasi tipiche, anche riproposte nella forma di “battutine” per rimarcare difetti e difficoltà (“vedi che non sei capace”; “vedi che non ci arrivi”; “vedi non ci si può fidare di te”; “vedi, questo è avvenuto per colpa tua!”, “ma non si può nemmeno scherzare?”, eccetera eccetera), e mostra un continuo e autentico malumore per le “incapacità” della vittima, cercando allo stesso tempo di farle intendere che lui la conosca meglio di chiunque altro, e che quindi possa davvero aiutarla a sopperire alle sue “mancanze”.

Si crea così un rapporto tossico, in cui la vittima si sente inadeguata, incapace, stupida, ma contestualmente vede nel suo aggressore una “fonte di autorità”, perché la associa a una possibilità di crescita e miglioramento personale. Probabilmente questi cambiamenti tanto desiderati non si verificheranno mai in relazioni così strutturate, in quanto a prevalere è la dipendenza emotivo-affettiva; viene a mancare il rispetto reciproco e si è quasi impossibilitati a considerare il proprio carnefice o viceversa la propria vittima se non come parte imprescindibile di queste stesse dinamiche.

Un’altra conseguenza tipica che colpisce le vittime di questo modus operandi è l’insorgere di una vera e propria dipendenza dall’opinione altrui, che si manifesta come un pesante senso di insicurezza e inadeguatezza: il bersaglio si sente spinto a cercare sempre l’approvazione di un altro che non ha alcun interesse a rendere la sua vittima più autonoma e indipendente.

Entrambi finiscono per maturare una dipendenza reciproca: il gaslighter rinfaccia al bersaglio le sue mancanze, per contro il bersaglio trova in lui un’ancora di salvezza a cui crede di potersi appoggiare per mitigare il suo senso di insicurezza: lo scopo comune a entrambi pare essere quindi una deresponsabilizzazione che vede però il manipolatore in una posizione di forza. Mentre l’aggressore ha ormai il controllo del suo bersaglio, parallelamente la vittima è sempre più inconsapevole di quello che sta accadendo e, come vedremo in seguito è portata a chiudersi in uno stato depressivo.

Nonostante sia una forma di violenza estrema, il gaslighting è tuttavia più diffuso di quel che si possa pensare.

Uno dei motivi della difficoltà a contrastarlo (se non identificarlo), è l’esperienza che il gaslighter accumula nel mettere in atto le sue strategie. I tratti tipici del manipolatore come già accennato sono presenti in alcuni soggetti già da bambini e, se non vengono contenuti con risposte affettive adeguate, diventano un tratto tipico. Il manipolatore accumula una grande esperienza che si traduce in un grande vantaggio rispetto a chi cerca di combatterlo.

In particolare, è un calcolatore formidabile delle possibili reazioni delle sue vittime di cui studia i punti deboli. Diviene straordinariamente capace di fornire alla sua vittima sia messaggi positivi che negativi. Il suo scopo non è deprimerla o affossarla ma renderla migliore secondo il suo disegno. In pratica la rende totalmente dipendente da lui, ostacolando tutto quello che si discosta dal suo disegno. Nonostante queste sue grandi capacità di pianificazione, il manipolatore, tuttavia, è spesso incapace di accettare una qualunque critica destinata alla sua persona, in pressoché qualunque ambito, in modo particolare verso quello legato al suo comportamento. Per questo motivo, se messo in discussione, quando non può argomentare il suo comportamento in modo razionale, lo giustificherà come una necessità imposta dall’esterno per difendere sé stesso (o altri) da potenziali pericoli.

Una realtà tipica è quella che vede protagonisti genitore e figlio: quando il rapporto non matura alle fasi adulte e il genitore continua a relazionarsi con il/la figlio/a adoperando un fare autoritario, non permette a quest’ultimo di svilupparsi pienamente nella sua personalità.

È il paradigma del genitore autoritario e iperprotettivo che tratta il figlio da incapace rendendolo soggetto passivo della sua stessa vita.

In quasi tutte le forme di gasligthing è infatti presente anche l’elemento dell’iperprotezione: il gasligther è convinto di proteggere la sua vittima al punto da sentirsi autorizzato a sostituirsi a essa, anche se questo avviene spesso in modo inconsapevole.

Nella sua massima espressione il gaslighting proiettato a livello familiare arriva a strutturarsi in quella che è una permanenza senza uscita dal modello educativo autoritario genitore-bambino.

In questo modello l’autorità genitoriale è assoluta: non deve fornire spiegazioni di nessun tipo alla prole in merito alle proprie azioni o ai propri ordini, ed è incapace di riconoscere i figli come soggetti autonomi, che hanno desideri e capacità proprie da sviluppare. Nonostante lo scorrere del tempo, il gaslighter mantiene i figli in un limbo in cui sono costantemente deprivati delle responsabilità, a favore, invece, di un forte senso di colpa. Il risultato è che la vittima rimane come imprigionata nella condizione infantile del “subordinato”, e il manipolatore prolunga un modello relazionale basato più sul senso di proprietà che su affettività ed educazione.

Il gaslighting può naturalmente applicarsi anche alle dinamiche che intercorrono tra partner e amici. In alcune relazioni amorose o amicali, si ripropone il medesimo schema: un rapporto impari fra superiore e subordinato che predomina rispetto sulla dimensione sentimentale ed affettiva.

La mancanza di parità e intesa genera un vuoto in cui non vi può essere sincero amore o in cui, nel migliore dei casi, questo è inevitabilmente soffocato, posto in secondo piano rispetto all’esigenza primaria di controllo del manipolatore e di sollevamento dalle responsabilità del soggetto in posizione passiva.

Il manipolatore è, in ultima analisi, una vittima delle proprie stesse azioni: costretto a destreggiarsi all’interno di una recita infinita, utile solo a mantenere viva una sorta di “auto-glorificazione di sé” e spesso incapace di autentica empatia e di sincero interesse verso l’altro, è spinto passo dopo passo verso la totale negazione dell’identità e dei bisogni altrui.

Queste “maschere” servono paradossalmente al manipolatore come una “protezione”, una sorta di “nuovo guscio” in cui sentirsi coccolato e auto-gestirsi, in perenne attesa di una rinascita che non arriverà mai; verso una ipotetica “nuova vita” in cui possa finalmente sentirsi emancipato dalle delusioni, dall’impressione di abbandono e dalle frustrazioni interiori accumulate nell’infanzia ma anche nell’età adulta.

Chi è nella posizione del subordinato, invece, può acconsentire all’essere completamente gestito e manipolato, così offrendo a chi ha il possesso “dell’autorità” la possibilità di “rigirare la frittata” a suo piacimento, negando qualsiasi responsabilità e scaricando sempre le colpe sull’altro elemento della relazione.

Non è raro che in relazioni conflittuali tra coniugi vengano perpetrati comportamenti simili, allo scopo di allontanare o punire il coniuge quando si presentano insoddisfazioni personali. Quando questo accade però, il coniuge abusato torna spesso sui suoi passi permettendo al meccanismo di autocompiacimento del coniuge abusante di ripartire.

Può talvolta accadere che una frustrazione verso la quale non si sappia reagire adeguatamente metta in crisi la sicurezza e la fiducia che il manipolatore ripone in sé, e a quel punto tutto può crollare: l’amore e i suoi simulacri sono sostituiti dall’aggressività più spietata e gratuita, se non da vere e proprie molestie; le emozioni e la razionalità percettiva vengono annullate, quasi come se la vittima venisse svuotata delle proprie energie, e si trovasse in uno stato di “sonno indotto” che la allontana sempre di più dalla realtà.

Gli effetti di questo lento processo possono essere anche molto gravi per la vittima, che diviene progressivamente incapace di percepirsi come soggetto autonomo. La sua salute psicologica può restare per molto tempo destabilizzata e ne potrà uscire solo mediante un lungo percorso.

Per chi vive una relazione di questo tipo ė difficile accorgersene e forse, ancor di più, ammettere di essere manipolato/a, anche se, a uno sguardo più attento, è possibile individuare veri e propri campanelli d’allarme.

Tra questi, il fatto d’essere sempre d’accordo con il genitore, con il partner o con l’amico/a, la scelta di rinunciare sempre a esprimere la propria opinione anche in presenza di dubbi legittimi, frutto della scarsa considerazione e della sensazione di inadeguatezza da questo generata, il fatto che si arrivi ad esprimere un approccio eccessivamente giustificatorio nei confronti dell’agire altrui, anche quando non lo si vorrebbe, e a vivere secondo soggiacenza passiva a volontà terze verso cui non vi è un reale e sentito accordo.

Chi vive una situazione di tale disagio ha bisogno di un aiuto concreto per uscirne. È necessario un lungo percorso in cui la vittima riesca a vedersi come autonoma portatrice di capacità e ritrovi occasioni per dimostrare, soprattutto a sé stessa, quanto valga.

Purtroppo oggi, in Italia, troppo spesso queste problematiche vengono sottovalutate, e anche il contesto sociale, che potrebbe essere motivante a fine terapeutico, si abitua invece al contatto con queste dinamiche patologiche, non riuscendo più a concepire strutture differenti, tendendo anzi alla loro giustificazione.

Esempio di questo possono essere fenomeni di tolleranza e sminuimento verso i casi di violenza sulle le donne, in cui spesso è proprio la vittima a essere biasimata per il fatto accaduto. Ci sono molti casi anche nel bullismo in cui il contesto sociale nel suo insieme giustifica il bullo invece che essere unito nel contrastare il fenomeno

In conclusione, vale ancora la pena sottolineare come, per le possibili gravi conseguenze psicologiche che il gaslighting può portare alle sue vittime e per il probabile protrarsi nel tempo di tale violenza, sia sempre indispensabile rivolgersi allo psicologo o allo psicoterapeuta.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Fuchsman, Ken, Gaslighting, (2019) The Journal of Psychohistory, Summer 2019, Vol.47(1), pp.74-78
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  • Kelly Fordon, (2019). Gaslighting,WSQ: Women’s Studies Quarterly 47: 3 & 4, Fall/Winter 2019
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