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Cosa rende umane le interazioni tra robot e bimbi: il contatto visivo – Psicologia Digitale

L’uso dei robot sociali con i bimbi più piccoli può facilitare l'acquisizione di competenze sociali e cognitive

Di Chiara Cilardo

Pubblicato il 25 Ott. 2024

Il contatto visivo nella prima infanzia

PSICOLOGIA DIGITALE – (Nr. 61) Cosa rende umane le interazioni tra robot e bimbi: il contatto visivo

Il periodo della prima infanzia, che va da 0 a 24 mesi, rappresenta una fase molto importante per la crescita sociale e cognitiva (Flatebø et al., 2024). In particolare, un indicatore di sviluppo è il contatto visivo: fin dalla nascita i neonati tendono a mostrare una preferenza e un’attenzione specifiche per lo sguardo umano, il quale attiva aree cerebrali associate non solo alle competenze sociali, ma anche alla regolazione delle emozioni e al controllo dell’attenzione. Il contatto visivo viene interpretato come un segnale sociale intenzionale. Già tra i 3 e i 6 mesi, i bambini reagiscono quando il loro partner distoglie lo sguardo, mostrando reazioni affettive positive quando il contatto visivo viene ripristinato. Inoltre, a questa età, i piccoli sono in grado di utilizzare la direzione dello sguardo per comprendere le intenzioni degli altri e anticipare le loro azioni (Linnunsalo et al., 2024).

Ma cosa succede se ad interagire con i bambini è un robot? I robot sociali, una categoria di robot, sono progettati per simulare comportamenti e rispondere a segnali sociali, emozioni e interazioni umane; sono utilizzati in contesti come terapia, apprendimento e supporto fisico e mentale, con diverse fasce di utenza e di età, inclusi i più piccoli (Collyer-Hoar et al., 2024). In che modo i bambini interagiscono con i robot sociali? Quali sono gli aspetti che influenzano questa interazione? 

L’importanza del contatto visivo

La prima infanzia è un periodo di rapida e progressiva crescita: i bambini acquisiscono competenze sociali e cognitive come linguaggio, memoria, capacità di attribuire stati mentali come credenze, desideri e intenzioni agli altri (teoria della mente); questi sono solo alcuni esempi della vasta gamma di abilità che proprio in questi primi mesi di vita si sviluppano in modo via via più elaborato (Flatebø etal., 2024).

Con bambini molto piccoli la ricerca adotta strategie indirette per studiare i fenomeni psichici. Una di queste è l’analisi del contatto visivo; infatti, osservare come i bambini lo gestiscono può dare molte indicazioni su queste aree di sviluppo. Sia nei bimbi che negli adulti, il contatto visivo è correlato a specifiche risposte fisiologiche: decelerazione temporanea della frequenza cardiaca, incremento delle risposte di conduttanza cutanea e aumento dell’attività muscolare del viso. Insieme, queste risposte indicano orientamento dell’attenzione e attivazione emotiva. Soprattutto i neonati mostrano un’attenzione particolare alla direzione dello sguardo dato che sviluppare la capacità di attenzione congiunta—ovvero la capacità di seguire lo sguardo di un’altra persona—può fornire informazioni importanti sull’ambiente e sulle relazioni. Per esempio, uno sguardo rivolto verso un oggetto può indicare l’approssimarsi di un’azione condivisa e, quindi, di un’interazione (Linnunsalo et al., 2024). La stessa attivazione fisiologica è presente quando il contatto visivo si verifica con un robot, il quale quindi viene quindi considerato un potenziale agente sociale (Manzi et al., 2020).

I robot come compagni di interazione

La predisposizione a focalizzarsi su tratti distintivi degli esseri umani, come lo sguardo, porta i neonati a identificare i robot sociali come potenziali partner di interazione. Questa predisposizione si manifesta nei confronti di specifiche caratteristiche fisiche e comportamentali umane, come il volto e il contatto visivo. Secondo Manzi e colleghi (2020) questo riconoscimento si può sviluppare con l’esperienza: più frequenti sono le interazioni con i robot, maggiore sarà la capacità di generalizzazione e l’attribuzione di comportamenti umani a questi dispositivi.

Un altro aspetto importante è l’azione condivisa. I bambini percepiscono i robot come agenti o partner sociali perché si relazionano a loro e partecipano ad attività condivise. Attraverso queste interazioni, possono sviluppare la capacità osservazione e imitazione, imparare le loro prime abilità conversazionali, riconoscere e rispondere in modo adeguato al contesto, capire obiettivi e intenzioni degli altri. Per esempio, attraverso l’apprendimento delle azioni referenziali, che sono azioni utilizzate intenzionalmente per catturare l’attenzione di un’altra persona, come quando un bambino indica un giocattolo per esprimere il desiderio di giocarci o per condividere un interesse con un adulto (Flatebø etal., 2024).

Le percezioni e le interazioni dei bambini sono profondamente condizionate dalla loro limitata esperienza e dalla comprensione parziale del mondo che li circonda. Quali sono le caratteristiche che rendono un robot un potenziale partner sociale?

Quali caratteristiche deve avere un robot sociale?

Secondo Collyer-Hoar et al. (2024) variabili molto importanti sono l’aspetto e il design. In generale, i robot antropomorfi o zoomorfi, che quindi somigliano ad un umano o a un animale, sono più gradevoli soprattutto per i bambini anche molto piccoli; proprio per loro, questa preferenza è netta: sono i più piccoli che tendono ad attribuire ai robot sociali antropomorfi stati mentali ed emozioni come se fossero umani. L’importanza di questo fattore diventa ancora più evidente se si considera la varietà di contesti in cui i bambini possono interagire con i robot: un setting di laboratorio è ben diverso da un reparto ospedaliero, situazione in cui è chiaramente molto rilevante che un bambino riesca a interagire con un dispositivo nella maniera più naturale possibile. Non solo: la progettazione dei robot sociali influenza il modo in cui gli utenti interagiscono. Ad esempio, se un robot ha le ali un bambino potrebbe pensare che sia capace di volare, mentre un robot con caratteristiche simili a quelle di un animale potrebbe indurre il bambino ad aspettarsi comportamenti tipici di quell’animale; questo a prescindere dalle reali capacità del robot. Questa preferenza per i robot simili agli esseri umani si ricollega a volto e sguardo: sono queste le caratteristiche essenziali che li rendono “umani” agli occhi dei bambini.

La preferenza per gli esseri umani è innata; ma col tempo e l’abitudine i bimbi di domani potrebbero interagire e relazionarsi in modo simile con robot e umani.

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