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Pensavo fosse amore… invece era ADHD!

Spesso l'ADHD porta la persona a sperimentare relazioni sentimentali disfunzionali. Quale ruolo svolge la dopamina in questo?

Di Dayana Carbonari

Pubblicato il 22 Ott. 2024

Aggiornato il 24 Ott. 2024 11:06

La relazione tossica: disturbo attentivo o attaccamento disfunzionale?

Oggi mi ama, domani no. Oggi lo amo, domani meno. Litigi, tradimenti, No contact. Ritorni di fiamma, amore ad intermittenza, rabbia, tossicità e tutto con persone emotivamente indisponibili od immature. Un loop dipendenza o co-dipendenza da cui sembra essere impossibile uscire e che, secondo alcuni studi, riguarda non solo persone problematiche, con passati emotivi dolorosi o con modalità affettive ansiose, ma anche quelle “relazionalmente sane”, che sono affette da ADHD, diagnosticato o meno. Infatti, con l’avanzare delle ricerche legate alla personalità, alle neuroscienze, alla psicologia comportamentale, si è compreso che la dipendenza o co-dipendenza -da intendersi come un disturbo caratterizzato da un’esperienza affettiva esageratamente focalizzata sul partner, sull’evento relazione e sull’offuscamento del concetto di sé- potrebbe essere conseguenza o sintomo di uno status diagnostico maggiormente complesso, quale quello del disturbo da deficit attentivo, tanto per ragioni biologiche, quanto di gestione comportamentale (Bartholomew & Horowitz, 1991; Eakin et al., 2004).

Che cosa è l’ADHD?

Il disturbo da deficit di attenzione o iperattività, comunemente definito ADHD, è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da disattenzione, iperattività o impulsività e dalla sintomatologia molto differenziata da persona a persona, ma che impatta in maniera importante sull’adattamento nei contesti sociali. Inizialmente, l’ADHD veniva considerato soprattutto nella sua componente cognitiva (da qui il nome riferito a mancanza di attenzione o iperattività, mentale prevalentemente), ma, con l’avanzare degli studi in materia (Biederman et al., 1992) e il suo inserimento nei manuali diagnostici, si è posta attenzione anche agli aspetti invalidanti dal punto di vista motorio e, soprattutto, comportamentale. 

In tal senso, sono state individuate tre sottocategorie dell’ADHD che evidenziano come, a seconda della tipologia, ci possa essere una manifestazione più o meno forte di alcuni comportamenti piuttosto che altri.

Il tipo disattento, il tipo iperattivo-impulsivo e quello combinato sono tutti caratterizzati da sintomi comuni, da ricollegarsi alla difficoltà di spostare l’attenzione da uno stimolo all’altro, all’incapacità organizzativa, alla difficoltà di regolazione emotiva ed il tutto spesso accompagnato ad un forte senso di disadattamento sociale. Ovviamente, a seconda di quale sia la tipologia e quindi la sfera maggiormente intaccata, la sintomatologia si acuisce o affievolisce verso l’uno o l’altro verso. Nel sottotipo disattento, ad esempio, la disattenzione e la distraibilità sono estese a tutti gli ambiti di vita, portando chi ne soffre ad essere sbadato nelle attività di tutti i giorni, incapace di organizzarsi sul lavoro, nei compiti scolastici e di iniziare o portare a termine azioni, anche le più elementari. Al contrario, il tipo iperattivo presenta un’irrequietezza soprattutto fisica (si contorce, saltella, non riesce a rimanere seduto, muove le dita o i piedi) che, crescendo e con strategie di mascheramento, viene trasformata in comportamenti “socialmente accettabili” e di natura solitamente emotiva ed interna, poiché più facili da nascondere, quali impulsività, ansia, logorrea, fobia sociale, e tanti altri.

ADHD: tutta colpa della dopamina!

Nonostante gli studi in materia, ancora si fatica a definire quale sia la causa del disturbo attentivo, anche se si tratterebbe di disturbo di origine prevalentemente biologica (in cui la componente ereditaria ha un impatto fortissimo) e legato alla mutazione di uno specifico gene, il DRD4, necessario alla trasmissione sinaptica della dopamina (Cook et al., 1995) comporterebbe una minore sensibilità dei recettori per la dopamina, rendendo quindi necessario un maggior quantitativo della stessa e quindi di stimoli più forti per il suo rilascio. 

Ed è proprio qui che troviamo risposta alla nostra domanda, ovvero su come una relazione disfunzionale possa essere legata o causata da un disturbo attentivo. 

Infatti, secondo alcuni studi (Blum et al., 2000) il soggetto ADHD avrebbe bisogno di stimoli continui ed emotivamente sempre più coinvolgenti per far sì che la dopamina venga rilasciata. Questo meccanismo biologico, di fatto, sarebbe proprio quello che legherebbe i soggetti affetti da questo disturbo a relazioni con continui alti e bassi, intermittenze, accadimenti paradossali che, creando una sceneggiatura piena di colpi di scena, lo farebbero sentire emotivamente e mentalmente coinvolto, incrementando il rilascio di questo neurotrasmettitore. La dopamina, infatti, è legata al piacere e una persona con ADHD, che ne ha livelli anormalmente bassi, ne è totalmente dipendente, tanto da creare una vera e propria ossessione per il partner e un’iper-focalizzazione che lo rende incapace di separarsene. Non è un caso, infatti, che si parli spesso, per quel che riguarda le persone ADHD, di persone emotivamente dipendenti (Hansson Halleröd et al., 2015)

L’informazione sull’ADHD come soluzione

Per anni si è creduto che l’ADHD fosse un disturbo che riguardasse soltanto l’età infantile mentre oggi gli scienziati sono concordi nell’affermare che, almeno nel 70% dei casi, questa condizione permanga anche nei soggetti adulti che, però, intervengono con strategie di mascheramento sociale, le quali, nella maggior parte dei casi, vengono confuse (o determinano) con disturbi dell’umore, d’ansia, abuso di sostanze, disturbi di personalità o alimentari e dipendenze (Bodalski et al., 2019). Infatti, proprio tutte quelle attività immediatamente gratificanti, che permettono il rilascio di dopamina, o tutti quei disturbi caratterizzati da pensieri ripetitivi, dovuti all’incapacità di spostare attenzione, sono quelli che aiutano a tenere a bada un adulto che, al contrario, batterebbe i piedi, saltellerebbe o sarebbe incapace di prendersi cura di sé. 

Le relazioni, allora, sono solo una delle tante circostanze in cui la disinformazione causa danno e dove conoscere può essere la salvezza perché attraverso tecniche di gestione, terapia, esercizi cognitivo -comportamentali, mindfulness si può gestire un disturbo che, altrimenti, può divenire un mostro che paralizza tutto e tutti quelli che affligge e chi li circonda. 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bartholomew K, Horowitz LM. (1991). Attachment styles among young adults: a test of a four-category model. J Pers Soc Psychol. Aug;61(2):226-44. 
  • Biederman J, Faraone SV, Keenan K, Benjamin J, Krifcher B, Moore C, Sprich-Buckminster S, Ugaglia K, Jellinek MS, Steingard R, et al. (1992 ). Further evidence for family-genetic risk factors in attention deficit hyperactivity disorder. Patterns of comorbidity in probands and relatives psychiatrically and pediatrically referred samples. Arch Gen Psychiatry. Sep;49(9):728-38. 
  • Blum K, Braverman ER, Holder JM, Lubar JF, Monastra VJ, Miller D, Lubar JO, Chen TJ, Comings DE. (2000). Reward deficiency syndrome: a biogenetic model for the diagnosis and treatment of impulsive, addictive, and compulsive behaviors. J Psychoactive Drugs. Nov;32 Suppl:i-iv, 1-112.
  • Bodalski, Elizabeth A., Laura E. Knouse, and Dmitry Kovalev (March 2019). “Adult ADHD, Emotion Dysregulation, and Functional Outcomes: Examining the Role of Emotion Regulation Strategies.” Journal of Psychopathology and Behavioral Assessment 41, no. 1 : 81–92.
  • Cook EH Jr, Stein MA, Krasowski MD, Cox NJ, Olkon DM, Kieffer JE, Leventhal BL. (1995). Association of attention-deficit disorder and the dopamine transporter gene. Am J Hum Genet. Apr;56(4):993-8. 
  • Eakin L, Minde K, Hechtman L, Ochs E, Krane E, Bouffard R, Greenfield B, Looper K. (2004). The marital and family functioning of adults with ADHD and their spouses. J Atten Disord. Aug;8(1):1-10. 
  • Hansson Halleröd SL, Anckarsäter H, Råstam M, Hansson Scherman M. (2015). Experienced consequences of being diagnosed with ADHD as an adult – a qualitative study. BMC Psychiatry. Feb 26;15:31. 
  • SONUGA-BARKE E.J.S (2005). “The neuroscience of ADHD: multidisciplinary perspectives on a complex developmental disorder, Developmental Science, Mar. 
  • MILLER L.J., NIELSEN D.M., SCHOEN S.A. (2012). “Attention deficit hyperactivity disorder and sensory modulation disorder: A comparison of behavior and physiology”, Research in Development Disabilities.
  • ARNETT J. J. (2000) “Emerging adulthood: A theory of development from the late teens through the twenties”, American Psychologist. 
  • BARKLEY, R. A., MURPHY K. R., & FISCHER M.  (1992). “ADHD in Adults: What the Science Says”, Guilford      
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