Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD) negli adulti
Articolo scritto in collaborazione con inTherapy
Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD) è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da deficit di attenzione, iperattività e impulsività che portano a una significativa compromissione del funzionamento scolastico/lavorativo, familiare e sociale (APA, 2013).
Per parecchio tempo gli specialisti non si sono occupati di ADHD in età adulta, ma circa due terzi di bambini e adolescenti con ADHD continuano a sperimentare difficoltà dovute all’ADHD anche in età adulta; la mancata diagnosi e quindi l’assenza di trattamento ha importanti costi sia per il singolo sia a livello di sanità pubblica (Zadra et al., 2020).
Molti operatori sanitari non sono adeguatamente formati su come riconoscere, diagnosticare e quindi intervenire sull’ADHD negli adulti, l’attenzione clinica a riguardo è relativamente recente. Queste lacune hanno creato difficoltà sia per i pazienti sia per i clinici: se la procrastinazione viene letta come un comportamento dovuto all’ansia o la disregolazione emotiva come una manifestazione del disturbo personalità borderline, le scelte terapeutiche si orienteranno in questa direzione, rischiando di essere poco efficaci.
Inoltre, gli adulti con ADHD spesso presentano disturbi psichiatrici che mascherano i sintomi principali dell’ADHD (es. ansia, disturbi dell’umore, disturbo da uso di sostanze), con il risultato che solo una piccola parte di queste persone viene diagnosticata e trattata nel modo appropriato (Salvi et al., 2019).
Le criticità della diagnosi di ADHD negli adulti
Per la diagnosi di ADHD si può fare riferimento al Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) o all’International Classification of Diseases (ICD). Nel DSM-5 uno dei criteri fondamentali è che i sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività siano stati presenti prima dei 12 anni. Spesso, però, in età adulta è difficile ricordare con precisione il proprio comportamento e le proprie difficoltà da bambini, pertanto è opportuno coinvolgere nel percorso diagnostico anche una persona che ha conosciuto il paziente da bambino, come un genitore.
Il DSM-5 elenca nove sintomi di disattenzione e nove sintomi di impulsività-iperattività che vengono utilizzati per valutare la possibilità di una diagnosi: questi sintomi includono dimenticanze, distrazione, difficoltà a rispettare i turni di parola, disorganizzazione, irrequietezza. In aggiunta ai sintomi tipici di disattenzione, iperattività e impulsività utilizzati come criteri diagnostici, nell’ADHD si può riscontrare anche la presenza di una serie di sintomi aggiuntivi, come disregolazione emotiva, disturbi del sonno, mindwandering, iperfocusing, noia, sensation seeking, stanchezza cronica, alimentazione sregolata. Pur non essendo presenti tra i criteri diagnostici, è utile tenere presenti questi aspetti.
Vista la carenza di informazioni e indicazioni sull’ADHD in età adulta, il Dott. David W. Goodman, assistant professor di psichiatria e scienze comportamentali alla Johns Hopkins University School of Medicine, sta lavorando con alcuni colleghi di tutto il mondo per sviluppare delle linee guida aggiornate per la diagnosi e il trattamento degli adulti con ADHD, in collaborazione con l’American Professional Society of ADHD (Caron, 2024).
La spinta a farlo è dovuta alle ricerche dell’ultimo decennio che hanno fatto luce su tematiche prima trascurate, ma anche ai costi personali e sanitari dovuti al mancato trattamento del disturbo.
Perché la diagnosi di ADHD è così importante?
Proprio perché l’ADHD ha esordio durante l’infanzia, va a condizionare lo sviluppo della persona, influenzando la definizione di sé e le proprie scelte di vita. Ricevere una diagnosi permette di sviluppare una maggiore consapevolezza del proprio funzionamento, che consente a sua volta di costruire una vita in linea con i propri bisogni, senza restare in balia delle proprie difficoltà.
Nel percorso scolastico è frequente basso rendimento, nella sfera lavorativa difficoltà a portare a termine quanto assegnato e procrastinazione, oltre a frequenti cambi di carriera per insoddisfazione o demotivazione. La sfera socio-relazione può non essere tra i primi ambiti compromessi se si pensa all’ADHD, ma basta rifletterci per capire come l’impulsività porti con sé la fatica ad inibire risposte che possono risultare fuori luogo, e la noia comporti difficoltà a mantenere relazioni sentimentali o amicali durature, preferendo la ricerca di nuove persone e nuove esperienze. Inoltre, più facilmente rispetto ai coetanei, le persone con ADHD possono mettersi in situazioni rischiose, spinte dalla ricerca di adrenalina e dalla gratificazione immediata, non facendo una accurata stima dei rischi; frequente è anche l’uso di sostanze, che vengono utilizzate anche inconsapevolmente come forma di “automedicazione” (Migliarese et al., 2024).
Quindi com’è la vita di un adulto con ADHD? Difficoltà che potevano essere tenute a bada da contesti strutturati durante l’infanzia o l’adolescenza possono emergere in modo più invalidante in età adulta, quando le responsabilità aumentano e il controllo esterno diminuisce, un adulto deve infatti occuparsi di maggiori incombenze, ricordarsi scadenze e appuntamenti (es. tasse, bollette, visite mediche) e queste sono solo alcuni esempi di situazioni che la vita adulta porta con sé (Migliarese et al., 2024).
Quando la diagnosi non è stata fatta in età infantile, la persona sarà stata esposta probabilmente a giudizi negativi con appellativi come “pigro”, “svogliato”, “inaffidabile”, “distratto”, poiché non era noto che tutta una serie di comportamenti non erano scelte, ma manifestazioni di difficoltà che avrebbero avuto bisogno, e lo hanno tuttora, di essere viste, riconosciute e validate: con la diagnosi si può dare un senso al passato e alle difficoltà attuali, trovando le strategie migliori per conviverci.