Cos’è il clickbait?
Il termine clickbait fa riferimento a contenuti web progettati per attirare il maggior numero di clic possibili grazie a titoli accattivanti, allo scopo di generare rendite pubblicitarie online: questa tecnica, infatti, mira ad aumentare le visualizzazioni di una pagina web, in modo da innalzare il valore dello spazio pubblicitario in essa contenuto. Sebbene tutti i link siano concepiti per essere cliccati, l’unico obiettivo dei link clickbait è quello di ottenere clic, senza preoccuparsi dell’interazione successiva degli utenti con il contenuto a cui portano: per questo motivo, essi tendono a indirizzare le persone ad articoli online di scarsa qualità che non rispondono alle promesse fatte nei titoli, risultando quindi fuorvianti o deludenti (Scott, 2021).
I titoli clickbait tentano di stimolare la curiosità dei possibili lettori, e per farlo solitamente si avvalgono di particolari strategie lessicali e comunicative (Molina et al., 2021; Scott, 2021), tra cui l’utilizzo di elenchi, domande, pronomi dimostrativi (in particolare “questo”) e personali (in particolare, la seconda persona singolare), così come superlativi e intensificatori (“il migliore”, “il più incredibile”). Per quanto riguarda i contenuti di tali articoli, essi tendono a focalizzarsi su argomenti leggeri, di gossip o divulgativi, ad esempio “Qualcuno ha calcolato quanto era ricco Harry Potter e la risposta è sorprendente” (Chakraborty et al., 2016).
I contenuti clickbait hanno una reputazione piuttosto negativa, poiché la loro scarsa qualità fa sentire ai lettori di avere sprecato del tempo prezioso, e questo diventa ancora più problematico se tali contenuti vengono letti durante l’orario di lavoro (Samson, 2024). Per questo motivo, la maggior parte della ricerca sul clickbait è stata effettuata con l’obiettivo di sviluppare software e meccanismi di rilevamento automatico di tali contenuti, così da poterli evitare (Chakraborty et al., 2016; Potthast et al., 2018). Ma come funzionano da un punto di vista psicologico? Perché è così difficile resistere alla tentazione di leggerli?
Quali teorie psicologiche spiegano il funzionamento del clickbait?
Il funzionamento psicologico del clickbait può essere compreso attraverso la Teoria della Rilevanza (Sperber & Wilson, 1995), un framework teorico della cognizione e della comunicazione basato su due principi fondamentali: il principio cognitivo della rilevanza e il principio comunicativo della rilevanza. Secondo il primo, gli esseri umani – in quanto tali – sono predisposti alla massimizzazione della rilevanza: essi sono cioè orientati a cercare input potenzialmente rilevanti nell’ambiente, ovvero input che, legandosi alle informazioni di cui un soggetto dispone già, generano output cognitivamente interessanti. Esempi di output cognitivamente interessanti sono la risposta a un dubbio o a una domanda che il soggetto ha, così come l’aumento delle sue conoscenze rispetto a un determinato tema. Si considerano dunque rilevanti input che portino il soggetto a fortificare un concetto già esistente, oppure a contraddirlo ed eliminarlo, oppure ancora a combinarlo insieme all’input per creare un nuovo assunto, ovvero una nuova rappresentazione del mondo del soggetto. La rilevanza dell’input è determinata anche dallo sforzo richiesto per processarlo: maggiore lo sforzo, minore la rilevanza. Il principio comunicativo sfrutta questa predisposizione umana alla massimizzazione della rilevanza per catturare l’attenzione di possibili destinatari (nel nostro caso, possibili lettori): in altre parole, chi comunica mira a catturare l’attenzione dei possibili lettori lasciando loro intendere di possedere input con un’alta rilevanza.
L’efficacia dei titoli clickbait si basa proprio su questi meccanismi. Più nello specifico, essi stimolano la curiosità degli utenti creando un information gap, un “vuoto informativo”: essi comunicano ai potenziali lettori che esiste un’informazione altamente rilevante senza però fornirla, promettendo che tale informazione si trova a portata di clic, e che accedervi sarà cognitivamente soddisfacente (Scott, 2021).
Secondo George Loewenstein (1994) – esperto in economia comportamentale e neuroeconomia – la curiosità è guidata proprio dal sentimento di privazione che scaturisce dalla consapevolezza di una lacuna nella propria conoscenza, e si caratterizza per un’intensa motivazione e una tendenza all’impulsività volte a colmare tale lacuna: creando un vuoto informativo, i titoli clickbait fanno leva su questa sensazione di “privazione cognitiva”, invogliando gli utenti a cliccare sul link.
Clickbait e digital nudging
Il “nudge” è un concetto introdotto dagli economisti comportamentali Thaler & Sunstein (2009). Si riferisce a piccole modifiche nel modo in cui le opzioni vengono presentate alle persone per incoraggiarle a fare scelte migliori, senza obbligarle. L’obiettivo è sfruttare il modo naturale in cui prendiamo decisioni per guidarci verso comportamenti più salutari o vantaggiosi.
I nudges sono efficaci perché il nostro cervello spesso prende decisioni rapide basate su ciò che è più facile o gratificante a breve termine. I nudges non impediscono di fare scelte diverse, ma rendono quelle positive più immediate e semplici. Ad esempio, porre i cibi più salutari all’altezza degli occhi nei supermercati incoraggia scelte alimentari “migliori” senza vietare quelle meno sane (Thaler & Sunstein, 2009).
Nel contesto digitale, il “digital nudging” applica questi principi agli ambienti online, usando elementi di design e interazione per guidare il comportamento degli utenti senza limitare la loro libertà di scelta (Meske & Potthoff, 2017). Un esempio è l’estensione del browser FeedReflect, che oscura le fonti di notizie non principali su Twitter, incoraggiando gli utenti a interagire con le fonti principali. Questo aiuta gli utenti a valutare meglio la credibilità delle notizie (Bhuiyan et al., 2018).
Mentre sia il nudge che il clickbait modificano il contesto per incoraggiare un’azione, il nudge mira a incentivare il benessere delle persone, mentre il clickbait spesso cerca solo di aumentare i guadagni attirando click. Nonostante ciò, non ci sono ancora studi che esplorano l’uso positivo del digital nudging da parte delle fonti di notizie sui social media (Meske & Potthoff, 2017; Thaler & Sunstein, 2009).
Un uso positivo del nudging digitale potrebbe aiutare i giornalisti a migliorare la visibilità delle notizie affidabili e ridurre la diffusione di informazioni false. Questo potrebbe includere strategie come usare parole brevi nei titoli per aumentare l’interazione con notizie importanti che altrimenti riceverebbero poca attenzione. L’obiettivo è informare meglio gli utenti, mantenendo la loro libertà di scelta e agendo in buona fede.