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Quando la perdita di una persona cara è troppo dolorosa: il Disturbo da Lutto Prolungato

Il Disturbo da Lutto Prolungato è un insieme di reazioni persistenti e debilitanti in seguito alla perdita di una persona cara

Di Silvia Bettoni, Silvia Carrara, Michela Di Gesù, Martina Gori, Giulia Onida, Matteo Zambianchi

Pubblicato il 20 Mag. 2024

Aggiornato il 05 Giu. 2024 15:11

Cos’è il Disturbo da Lutto Prolungato?

Il Disturbo da Lutto Prolungato, da poco incluso nell’ICD-11 e nel DSM-5-TR, descrive un insieme di reazioni persistenti e debilitanti in seguito alla perdita di una persona cara. Una recente meta-analisi ne ha indagato i potenziali fattori di rischio.

Ogni anno muoiono più di 60 milioni di persone: se ogni decesso – in media – porta tre persone a sperimentare il lutto, è verosimile che ogni anno circa 200 milioni di individui vadano incontro a questa triste esperienza. Il lutto è una tappa naturale della vita e la maggior parte delle persone è in grado di affrontarlo con resilienza, seguendo una traiettoria caratterizzata da una diminuzione graduale delle emozioni dolorose, fino a giungere all’accettazione della perdita (Lundorff et al., 2020).

Tuttavia, approssimativamente il 5-10% degli individui sperimenta un lutto eccessivamente intenso e persistente dopo la perdita di una persona vicina, sfociando nel Disturbo da Lutto Prolungato, un’etichetta diagnostica recentemente inserita nell’ICD-11 (World Health Organization, 2019) e nel DSM-5-TR (American Psychiatric Association, 2022), i due manuali più diffusi e utilizzati nella diagnosi dei disturbi mentali. 

Il disturbo è contraddistinto da una risposta alla perdita di una persona cara che comprende intensa nostalgia per il defunto, preoccupazioni persistenti in relazione a pensieri o ricordi riguardanti il defunto e almeno tre dei seguenti sintomi: disgregazione dell’identità (sentirsi come se una parte di se stessi sia morta), senso di incredulità per la morte, evitamento dei ricordi, intenso dolore emotivo, difficoltà a reinserirsi nelle proprie relazioni e attività abituali, insensibilità emotiva, percezione di una vita priva di significato e intensa solitudine. Tale disturbo differisce da una normale risposta al lutto sia per la gravità delle reazioni che lo caratterizzano – sproporzionate rispetto alle norme sociali, culturali e religiose di riferimento, tanto da risultare debilitanti – sia per la durata (almeno 6 mesi, secondo i criteri dell’ICD-11).

I fattori di rischio del Disturbo da Lutto Prolungato: una meta-analisi

Recentemente, gli studiosi dell’Unità per la Ricerca sul Lutto della Aarhus University (in Danimarca) hanno evidenziato la necessità di disporre di una chiara panoramica dei fattori di rischio per i sintomi del lutto prolungato, così come di una stima quantitativa della forza di tali fattori (Buur et al., 2024). I fattori di rischio possono essere definiti come una serie di variabili – psicologiche, demografiche, sociali e contestuali – che sono presenti prima dell’insorgenza di un sintomo o di una condizione e che ne aumentano le probabilità di sviluppo (Offord & Kraemer, 2000). L’individuazione precoce dei fattori di rischio per outcome psicopatologici contribuisce a identificare i soggetti più sensibili che possono beneficiare di un intervento tempestivo, così da prevenire la possibilità che un disturbo si sviluppi o diventi cronico; questo, a sua volta, può favorire l’elaborazione di trattamenti più mirati ed efficaci. Più nello specifico, conoscere i fattori di rischio del Disturbo da Lutto Prolungato permetterebbe di identificare quegli individui che presentano maggiori probabilità di sviluppare tale disturbo in seguito alla perdita di una persona cara, così da fornire loro un supporto adeguato prima che i sintomi divengano invalidanti.

I ricercatori hanno dunque condotto una meta-analisi – un processo statistico che permette di riassumere e combinare i risultati di diversi studi effettuati su un determinato argomento – della letteratura scientifica sui fattori di rischio per i sintomi del lutto prolungato. Scandagliando quattro database digitali, sono stati individuati tutti gli studi con partecipanti maggiorenni che avevano perso una persona cara da almeno 6 mesi, e di cui fossero stati valutati i sintomi di lutto prolungato attraverso strumenti di misura validati, come ad esempio l’Inventory of Complicated Grief (Prigerson et al., 1995). Gli studi, inoltre, dovevano includere una valutazione quantitativa di uno o più fattori di rischio. Il processo di selezione ha portato all’inclusione nella meta-analisi di 120 studi, pubblicati tra il 1989 e il 2023, per un totale di 61.580 partecipanti complessivi.

Cosa è stato scoperto sul lutto prolungato?

I fattori che sembrano contribuire maggiormente a una traiettoria di lutto prolungato sono la presenza di sintomi depressivi precedenti al decesso e di sintomi di lutto pre-perdita: questi ultimi si riferiscono a quel fenomeno, tipico soprattutto nei casi di lunga malattia, per cui un individuo inizia a provare i sentimenti caratteristici del lutto quando l’altra persona è ancora in vita (Treml et al., 2021). Altre variabili che hanno mostrato associazioni significative con i sintomi di lutto prolungato – seppure più deboli – sono perdita di un figlio o di un partner, morte violenta o inaspettata, stile di attaccamento ansioso, appartenenza al genere femminile, essere single, bassa scolarizzazione, basso reddito e numero di perdite subite. 

Con l’obiettivo di giungere a una comprensione più completa del fenomeno, gli autori della meta-analisi hanno analizzato questi risultati in relazione a un modello teorico che ha indagato come alcune variabili possano influire sulle differenze individuali nella risposta al lutto (Stroebe et al., 2006), identificando tre macro-categorie in cui i fattori di rischio sembrano ricadere: i fattori legati alle caratteristiche della perdita in sé (ad esempio, se quest’ultima è stata violenta o inaspettata), i fattori interpersonali (ad esempio, lo stato civile) e i fattori intrapersonali, ovvero quelle caratteristiche intrinseche alla persona in lutto (ad esempio, il genere e il grado di scolarizzazione). 

È importante non interpretare questi risultati in senso assoluto: essi sono infatti emersi da uno studio sui fattori di rischio e, come tali, sono da intendere in senso probabilistico. Gli stessi autori sottolineano la necessità di futuri approfondimenti, in particolare sulle possibili interazioni tra i fattori identificati. Ad ogni modo, questa meta-analisi è stata la prima a esaminare quantitativamente i fattori di rischio per lo sviluppo di sintomi di lutto prolungato nella popolazione generale, fornendo preziose informazioni per guidare i professionisti sanitari nel loro lavoro con gli individui che stanno affrontando una perdita. 

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