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Falsi miti sull’autolesionismo: cerchiamo di comprendere meglio questo fenomeno

L’articolo ha l’obiettivo di definire il fenomeno dell’autolesionismo e andare a scardinare le false credenze inerenti a questo argomento

Di Lucia Salatini

Pubblicato il 04 Apr. 2024

Cos’è l’autolesionismo?

L’autolesionismo non suicidario (NSSI) consiste nel compiere intenzionalmente dei comportamenti in grado di danneggiare e ferire il corpo, senza però la volontà di uccidersi. Generalmente si tende a pensare automaticamente al taglio come modalità principale per l’autolesionismo, ma in realtà ne esistono innumerevoli altre, come ad esempio bruciarsi, colpirsi, graffiarsi o mettersi intenzionalmente in situazioni potenzialmente pericolose, con lo scopo di farsi del male. Inoltre, i gesti di autolesionismo non vengono fatti solo ed unicamente sulle braccia, ma in ogni parte del corpo (Fehling, 2024).

I numerosi pregiudizi riguardo all’autolesionismo risultano essere molto dannosi, in quanto la vergogna innescata da queste false credenze può dissuadere le persone dal chiedere aiuto e rivolgersi ad uno specialista di salute mentale in grado di aiutarle. Risulta quindi di fondamentale importanza modificare le principali convinzioni errate e stigmatizzanti riguardanti questo fenomeno, elencate di seguito.

I pregiudizi sull’autolesionismo

  • L’autolesionismo è un gesto immaturo e manipolativo. L’autolesionismo viene spesso interpretato come un atto volto alla ricerca d’attenzioni. In realtà, la maggior parte delle persone che si autolesiona, cerca in tutti i modi di nascondere i segni che tali gesti lasciano sui loro corpi, proprio nel tentativo di evitare di essere stigmatizzati o giudicati (Fehling, 2024). Inoltre, è fondamentale sottolineare che gli atti di autolesionismo rappresentano una possibile strategia disfunzionale per gestire la sofferenza e la disregolazione emotiva che, in quel preciso momento, è al culmine. Infliggendo dolore al proprio corpo le persone sono in grado di sopprimere (seppur temporaneamente) un disagio emotivo troppo intenso, che fanno fatica a gestire e alleviare con modalità fisicamente non invasive (Taylor et al., 2018).  
  • Scambiare l’autolesionismo per comportamento suicidario. Come già anticipato, la definizione di autolesionismo non suicidario esclude la possibilità che i comportamenti autolesivi vengano effettuati con l’intento di morire. Anche se l’autolesionismo non suicidario può predire il comportamento suicidario e numerose persone che si autolesionano presentano anche un’ideazione suicidaria, non bisogna generalizzare né darlo per scontato (Klonsky et al., 2013). Non tutti coloro che si autolesionano hanno idee suicidarie o hanno tentato il suicidio. La maggior parte delle volte in cui l’autolesionismo non suicidario degenera in suicidio è a causa di un incidente: può infatti capitare che vengano inferti molti più danni fisici al corpo del previsto senza esserne consapevoli. 
  • L’autolesionismo è raro. Questa falsa credenza viene facilmente smentita dai risultati della letteratura. È stato appurato che su scala globale, un numero considerevole di persone commette almeno un atto di autolesionismo nel corso della vita (Xiao & Song, 2022): circa il 36% degli adolescenti commette comportamenti autolesionistici (Zetterqvist et al., 2013) e il 5% della popolazione adulta riferisce di essersi auto lesionato almeno una volta (Klonsky, 2011). Dallo studio di Batejan (Batejan et al., 2015) è stato inoltre appurato che in alcune comunità, come ad esempio quella LGBTQ+, le percentuali di autolesionismo sono significativamente più elevate, a causa della sofferenza legata allo stigma transfobico ed omofobo che queste persone devono affrontare. 
  • L’autolesionismo è unicamente un problema delle ragazze adolescenti. Come già spiegato in precedenza, non è vero che l’autolesionismo concerne solo ed unicamente gli adolescenti, ma si tratta di un fenomeno diffuso anche tra la popolazione adulta (Klonsky, 2011). Inoltre, l’autolesionismo viene spesso considerato un problema quasi esclusivamente femminile. Tuttavia, una ricerca recente ha dimostrato che la differenza tra i due sessi potrebbe essere non così tanto significativa. Infatti, anche se si continua a riscontrare che le donne cisgender mettono in atto un numero maggiore di comportamenti autolesivi rispetto agli uomini cisgender, entrambi i sessi sono a rischio di autolesionismo (Bresin & Schoenleber, 2015)
  • Se qualcuno mette in atto comportamenti autolesivi allora ha sicuramente un disturbo borderline di personalità. Il DSM5, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, indica l’autolesionismo come un sintomo del disturbo borderline di personalità (BPD). Molte persone, di conseguenza, si convincono erroneamente che l’autolesionismo sia sempre direttamente correlato al BPD (Fehling, 2024). Questa credenza risulta errata, in quanto spesso molte persone con BPD non si auto lesionano e, viceversa, molte persone che mettono in atto comportamenti autolesivi non hanno diagnosi di BPD (Turner et al., 2015). 

Ridurre lo stigma sull’autolesionismo

Come già anticipato, risulta di cruciale importanza fare chiarezza sull’autolesionismo e ridurre lo stigma e i pregiudizi che ricadono su questo argomento, così da poter aiutare chi ne necessita ed indirizzarlo a rivolgersi ad un professionista senza alcuna vergogna o timore. L’autolesionismo è curabile e mediante delle psicoterapie basate sull’evidenza, come la terapia dialettico comportamentale (DBT), è possibile insegnare delle strategie di coping ai diretti interessati, le quali sono volte a gestire in maniera funzionale le emozioni o gli stati mentali dolorosi (Fehling, 2024).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Taylor, P. J., Jomar, K., Dhingra, K., Forrester, R., Shahmalak, U., & Dickson, J. M. (2018). A meta-analysis of the prevalence of different functions of non-suicidal self-injury. Journal of affective disorders227, 759-769. 
  • Klonsky, E. D., May, A. M., & Glenn, C. R. (2013). The relationship between nonsuicidal self-injury and attempted suicide: converging evidence from four samples. Journal of abnormal psychology122(1), 231. 
  • Xiao, Q., & Song, X. (2022). Global prevalence and characteristics of non-suicidal self-injury between 2010 and 2021 among a non-clinical sample of adolescents: a meta-analysis. Frontiers in psychiatry13, 912441. 
  • Zetterqvist, M., Lundh, L. G., Dahlström, Ö., & Svedin, C. G. (2013). Prevalence and function of non-suicidal self-injury (NSSI) in a community sample of adolescents, using suggested DSM-5 criteria for a potential NSSI disorder. Journal of abnormal child psychology41, 759-773. 
  • Klonsky, E. D. (2011). Non-suicidal self-injury in United States adults: prevalence, sociodemographics, topography and functions. Psychological medicine41(9), 1981-1986. 
  • Batejan, K. L., Jarvi, S. M., & Swenson, L. P. (2015). Sexual orientation and non-suicidal self-injury: A meta-analytic review. Archives of Suicide Research19(2), 131-150.
  • Bresin, K., & Schoenleber, M. (2015). Gender differences in the prevalence of nonsuicidal self-injury: A meta-analysis. Clinical psychology review38, 55-64.
  • Turner, B. J., Dixon-Gordon, K. L., Austin, S. B., Rodriguez, M. A., Rosenthal, M. Z., & Chapman, A. L. (2015). Non-suicidal self-injury with and without borderline personality disorder: differences in self-injury and diagnostic comorbidity. Psychiatry Research230(1), 28-35.  
  • Fehling K. (2024). 6 Myths about self-injury. Psychology Today
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