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Le intelligenze artificiali possono avere una coscienza? – Psicologia digitale

Eseguire grandi elaborazioni di dati non significa esserne consapevoli: la coscienza tipicamente umana non sembra estendersi alle tecnologie

Di Chiara Cilardo

Pubblicato il 06 Ott. 2023

Aggiornato il 15 Feb. 2024 11:07

Le intelligenze artificiali

PSICOLOGIA DIGITALE – (Nr. 43) Le intelligenze artificiali possono avere una coscienza?

Le intelligenze artificiali non hanno coscienza. Eseguire grandi elaborazioni di dati non significa esserne consapevoli: esperienze, personalità, motivazioni, automonitoraggio sono caratteristiche del tutto umane.

Ilya Sutskever è uno dei fondatori e Chief Scientist di OpenAI, la società che ha sviluppato ChatGPT. Nel 2022 ha scritto su Twitter (ora chiamato X) che le intelligenze artificiali più avanzate potrebbero essere “slightly conscious”, cioè  “un po’ coscienti”. Una provocazione? Senza dubbio. Una realtà? Dipende. Chi o cosa riteniamo sia cosciente o no, dipende. Dipende da cosa intendiamo realmente per coscienza. La tendenza ad antropomorfizzare le tecnologie confonde su ciò che possono e non possono fare.

I modelli linguistici dell’intelligenza artificiale non sono umani, eppure li valutiamo come se lo fossero. Tendono a dare ottimi risultati nella produzione di testi e immagini, processano moli di dati impressionanti; sono appositamente creati per questo tipo di compiti. Ma un conto è essere in grado di elaborare una grande mole di dati, un conto è esserne consapevoli.

Le esperienze passate e apprese e gli aspetti sociali sono tutti elementi che questi sistemi non sono in grado di produrre e, qualora lo facessero, rappresenterebbero una integrazione e sintesi di dati che vengono forniti in fase di apprendimento. Un processo che è determinato da umani, non da altre macchine.

Queste ultime vengono prodotte e testate su compiti specifici come elaborazione e velocità di calcolo: test come questi vedono già la macchina superiore alle nostre prestazioni; questo dà l’illusione che abbiano capacità maggiori di quelle realmente esistenti (Shiffrin e Mitchell, 2023).

La coscienza artificiale

La “coscienza umana” è uno stato attivo di riflessione su se stessi e sull’ambiente che ci circonda, rappresenta l’esperienza esterna ed interna soggettiva. Questo stato della mente, questa consapevolezza di sé, degli altri e dell’ambiente, è una qualità specifica degli esseri umani. Non riconosciamo agli animali l’essere coscienti così come lo intendiamo, e, in una certa misura, la stessa cosa accade con le intelligenze artificiali.

Anche se un’intelligenza artificiale può completare in modo efficiente dei compiti al pari, se non meglio in alcuni casi, degli esseri umani, non è in grado di comprendere il significato dietro il processo di pensiero. Sono solo operazioni che vengono eseguite, non c’è uno scopo o un contesto. Lo scopo dell’intelligenza artificiale viene determinato dagli esseri umani che l’hanno programmata per raggiungere determinati obiettivi (Shruthi, 2023).

Allo stato attuale le intelligenze artificiali non sono in grado di replicare complessità e sfaccettature del pensiero e della produzione umani; possono produrre risultati di diverso tipo e qualità in risposta a determinati stimoli.

La nostra comprensione della coscienza umana è modellata dalla nostra esperienza in prima persona: sappiamo cosa vuol dire essere coscienti perché noi stessi lo siamo. La coscienza delle tecnologie sarebbe qualcosa di accessibile “per conto terzi”, da una prospettiva in terza persona che non si basa sulla coscienza fenomenica (Hildt, 2019).

Secondo Dehaene e colleghi (2017) esistono due dimensioni della coscienza. Un livello introspettivo, in prima persona, di automonitoraggio in cui il soggetto è in grado di osservare i propri processi cognitivi come memoria, apprendimento, attenzione, elaborazione delle informazioni, insomma la metacognizione. La seconda dimensione è chiamata disponibilità globale ed è l’insieme delle informazioni disponibili in un dato momento; le tecnologie lavorano, in modo più o meno elaborato, su questa seconda dimensione. Per cui anche se vengono progettate analogamente alla mente umana in termini di specifiche funzioni e processi, sono prive di metacognizione, incapaci di automonitoraggio e introspezione.

Coscienza artificiale ed etica

Le intelligenze artificiali imitano, e lo fanno molto bene, alcuni processi della mente umana, come capacità di calcolo, memorizzazione, elaborazione dei dati. Dato che sono progettate per svolgere specifici compiti, il fatto che abbiano o meno stati di coscienza sembra un orpello, un qualcosa di superfluo: devono eseguire dei compiti e farlo in maniera davvero efficiente.

Eppure essere coscienti e consapevoli ci guida nella capacità di apprendere e conoscere l’ambiente, gli altri, gli eventi. Approfondire se e quanto le macchine debbano essere coscienti non serve solo a migliorare le teorie di base ma soprattutto a realizzare e progettare sistemi migliori.

Una forma di coscienza artificiale potrebbe portare un contributo importante allo sviluppo di capacità delle intelligenze artificiali nel supportare le persone migliorando l’efficienza dei compiti da svolgere.

La coscienza artificiale non è solo un esercizio di tecnica; tenerne conto consente di garantire che le intelligenze artificiali vengano utilizzate in modo corretto e a vantaggio della società (Shruthi, 2023).

Il tema della coscienza artificiale ha infatti risvolti anche etici e morali. E se le intelligenze artificiali sostituissero gli umani in molte mansioni? E se uno strumento, come una macchina a guida autonoma, uccide qualcuno, di chi è la colpa? Della macchina o di chi l’ha progettata?

Questo tipo di interrogativi sta alimentando alcune preoccupazioni. Senza un discorso sulla coscienza rischiamo di trovarci impreparati a scenari che sono molto più realistici di quanto pensiamo (Dong et al., 2020); nel frattempo però ricordiamoci che l’intelligenza artificiale non è senziente: è e rimane solo un fornitore di servizi.

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