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Sii te stesso a modo mio (2023) di Matteo Lancini – Recensione del libro

Sii te stesso a modo mio di Lancini rappresenta un excursus attraverso tematiche socio-psicologiche centrali per l’epoca contemporanea.

Di Marvin Rosano

Pubblicato il 21 Lug. 2023

Sii te stesso a modo mio: l’era del post-narcisismo

Il saggio Sii te stesso a modo mio di Lancini, rappresenta un excursus attraverso tematiche socio-psicologiche centrali per l’epoca contemporanea. In particolare, viene fatto riferimento all’era del post-narcisismo, la cui società adulta, estremamente fragile, iper-idealizza il sé, estendendolo narcisisticamente al vissuto dell’altro, dei figli, di ciò che è altro da sé.

I bisogni dell’altro spariscono e, si chiede ai figli di essere se stessi, seguendo il mandato paradossale: “Sii te stesso a modo mio”. Alla base vi è l’ingiunzione “costrittiva” e “competitiva” di essere sé stessi, seguendo delle aspettative e, quindi, nel caso specifico, assecondando l’adulto. Il tutto, pertanto, caratterizzato da modelli adulti e massmediatici di identificazione estremamente individualisti, competitivi e contraddittori.

Nelle famiglie narcisistiche, il sé grandioso degli adulti, si manifestava attraverso la pressione interpersonale dei genitori nei confronti dei figli, orientata ad una crescita come pienamente conformata agli ideali, alle aspettative e alle rivalse di quest’ultimi. Lemma, sintetizza il fenomeno in un’espressione: “Sono come tu mi vuoi” (Lemma, 2011, p.33). In questo tipo di società, la mente inizia ad essere dominata da “ideali dell’io”, quali sostituti del super io e dei valori. Ideali che prescrivono dei compiti evolutivi irrealizzabili e, pertanto, soggetti ad una quota enorme di esposizione al fallimento.

Post-narcisismo e vuoto identitario

Nell’era post-narcisistica, invece, ciò che emerge in maniera preoccupante, è una dimensione legata ad un “vuoto identitario”. Non un’ansia connessa alla prestazione, allo sguardo di ritorno dell’altro, o comunque non solo, piuttosto, un’ansia pervasiva e generalizzata, determinata da un non sentirsi accolti dalle istituzioni, dai genitori. Non vengono riconosciuti i bisogni del singolo soggetto che si ha di fronte. Emergono vissuti di ragazzi che non hanno avuto modo di coltivare la propria identità, perché impegnati ad essere sé stessi in modalità “preconfezionate”, “programmate” e che quindi, non sanno “chi siano”, e quali valori li guidino nell’intraprendere un’iniziativa, un progetto.

Nella società narcisistica, inizia ad esserci il passaggio dalla famiglia normativa, famiglia autoritaria e con rigidi modelli culturali, puntati all’omologazione ereditaria, alla famiglia affettiva e relazionale, in cui i genitori pur investendo nell’originalità e nell’espressività del bambino, lo fanno spinti dal bisogno di essere confermati nel proprio ruolo di genitori, salvaguardando, pertanto, la propria sopravvivenza psichica.

Nella famiglia post-narcisistica, come accennato pocanzi, vi è un’esasperazione di questo processo, un’esasperazione del sé, una difficoltà ad avvicinarsi ed incontrare gli altri, accoglierli con le particolarità, con i loro bisogni, con i loro vissuti. Questo tipo di famiglia, fatica nel prendere contatto con il reale funzionamento del proprio figlio, con le fragilità di quest’ultimo e, nondimeno, con le proprie fragilità, che vengono, semmai, negate e proiettate. L’adulto contemporaneo, invece, ostenta di sapere ciò che stia accadendo al proprio figlio/figlia, spiegandogli come sia fatto, come si senta, negandone quindi l’alterità e la possibilità, quindi, che quest’ultimo si senta sufficientemente “sicuro” nel potersi esprimere ed essere sé stesso a modo proprio, piuttosto che nel modo inteso e “preteso” dagli altri.

Bambini e adolescenti post-narcistici

I figli non vengono realmente consegnati al mondo. Il loro corpo “viene sequestrato”, nell’ottica di un ipercontrollo esasperante, che non consente loro di esplorare, di mentalizzarsi come corporeità in crescita, in cambiamento, un corpo verso il quale si è più intimoriti che sostenuti, un corpo di ragazzi che non regge allo sguardo dei coetanei, un corpo come impedimento nel realizzare ciò che è stato “immaginato” per loro, un corpo che viene annullato. Un conto è il corpo idealizzato, altro è invece il corpo evolutivo, in cambiamento, vulnerabile.

Gli adulti della società post-narcisistica, spesso agiscono mossi dall’angoscia e dal senso di impotenza nei confronti nei confronti dei sintomi, dei vissuti, dei comportamenti e delle fragilità dei ragazzi senza dare però a questi un reale significato che consenta di raggiungere “il ragazzo/la ragazza li dov’è”.

La delega di responsabilità

Spesso, invece fa breccia un meccanismo di delega di responsabilità, nell’ottica di ricercare una causa esterna da attribuire alla dipendenza da internet, alle istituzioni, e ad altri fattori. C’è un paradosso rispetto alla rete e ad internet: internet è il principale palcoscenico su cui ogni cosa accade, viene giudicata, commentata, discussa. Purtuttavia, lo si incolpa di distrarre i ragazzi, di essere il nemico che li ha catturati. Viviamo immersi nella rete, soprattutto in una dimensione in cui il mondo esterno è stato paranoicizzato, in cui la paura degli adulti, ha portato i ragazzi a trovare nuovi spazi di gioco e socializzazione online.

Inoltre, il ritiro nella rete, può rappresentare un’anestetizzzante di vissuti di delusione, tristezza e solitudine derivanti dal senso di inadeguatezza, esacerbato da un individualismo competitivo senza limiti. Internet costituisce una difesa-riparo. Il mondo virtuale, svolge una funzione simile a quella dell’amico immaginario. Rappresenta uno “spazio potenziale”, che ha lo scopo di proteggere lo sviluppo di una rappresentazione di sé accettabile, a detta di Lancini, un “custode narcisistico” (Lancini, 2022, p.100).

Il ritiro scolastico, il ritiro in rete, i tentativi di suicidio, possono rappresentare disperati tentativi di non cadere in una dimensione sintomatologica secondaria, e, quindi, modalità di autoregolazione. Lancini, afferma: “Bisogna tentare di capire che cosa i ragazzi cerchino di risolvere attraverso internet” (Lancini, 2023, p.171). E’ importante cum-prendere, nel senso di “prendere insieme”, e quindi accogliere, quali compiti evolutivi i ragazzi stiano cercando di portare a termine. È per questo, che l’autore sostiene, l’importanza che internet venga tenuto in forte considerazione dalla scuola. Uno dei moniti di Lancini, sta proprio nel prendere atto che la crescita dei ragazzi passi attraverso internet. Egli scrive di una scuola orientata non soltanto alle conoscenze ma anche alle competenze, e, quindi, di quanto, per far si che questo processo avvenga, sia importante identificarsi con gli scenari esistenziali dell’oggi e del domani. Gli insegnamenti, per esempio, possono essere estesi all’uso della rete per studio e lavoro. Ad esempio, come cercare e selezionare informazioni mirate e come, nondimeno, riconoscere le fake-news.

In una società in cui il vuoto esistenziale prende sempre più piede, diventa fondamentale che ci si interroghi sul proprio ruolo di adulto, mamma, papà, insegnante, sulle proprie responsabilità, su ciò che possiamo donare all’altro, sull’eredità che possiamo lasciare, sulla funzione di testimonianza di quanto il fallimento, gli inciampi, il dolore, siano fattori ineludibili dell’esperienza umana.

Educare alla perdita

L’esperienza della perdita, della morte, anche simbolica, intesa anche come ideali che si infrangono irreversibilmente, è in costante rapporto con la vita umana e, anzi, partecipano in modo decisivo alla nostra formazione identitaria, alla comprensione di chi siamo davvero, alla costruzione del nostro vero sé. La testimonianza genitoriale, o, comunque, da parte di figure di riferimento, è sempre importante.

Una figura educativa, che comunica il messaggio: “Hai il diritto di sentirti fragile, ne hai il permesso”, legittima l’esperienza del dolore. Per esempio, un padre che testimoni al proprio figlio di aver, lui stesso, attraversato momenti di forte impotenza, di essersi sentito vulnerabile, solo, comunica al figlio quanto l’esperienza del limite sia sempre accanto a noi. Ma allo stesso tempo, raccontare la propria consapevolezza sui vissuti, dona speranza e curiosità per il futuro. Oggi, più che mai, la morte, si conferma essere la grande rimossa dalla nostra società, insieme al suicidio. Educare i ragazzi alla morte, non ha a che fare con lo sminuirla. Invece, rappresenta una grande opportunità per accoglierla come compagna di viaggio all’interno della nostra vita.

Molti ragazzi, si ritrovano a coltivare un “rapporto segreto” con la morte attraverso fantasie suicidarie e agiti, come possibilità di sfuggire alle delusioni che la vita porta con sé. E, alla base, c’è sempre un “diniego del dolore”, incentivato da un crollo di ideali grandiosi. Parlare della morte, non come malattia mentale, ma come possibilità che può abitare la mente dell’essere umano, aiuta a fare in modo che questa non si trasformi da idea a progetto e, da progetto, ad atto.

La morte, ha anche a che fare con l’accettazione di cosiddette emozioni negative, che spesso, dagli adulti contemporanei, non vengono accettate, perché non farebbero altro che disconfermare la propria adeguatezza di ruolo. Ecco, quindi che il figlio sparisce, non esiste più, viene azzerato nella mente del genitore, che non riuscendo  a “tenerlo a mente” (o rifiutandosi di farlo), a mentalizzarne il vissuto, le emozioni, i bisogni, lo spinge verso l’auto-annullamento.

L’altro, il figlio, sparisce e resta il sé. È importante, quindi, che l’adulto, consegni sguardi di fiducia attraverso cui incoraggiare movimenti di autonomia ed esplorazione. Bisognerebbe, pertanto, riconsegnare il corpo ai figli, insieme alla possibilità di esprimere sentimenti disturbanti per gli adulti, e, soprattutto, di esprimerli in base al proprio funzionamento affettivo, e, non assecondando aspettative e presunzione di genitori e insegnanti. In tutto questo, emerge quindi, quale, secondo Lancini, sia il ruolo centrale della funzione genitoriale: consegnare i figli al mondo, accogliendoli, accompagnandoli e rispettandoli come “altro da se”. È, a mio avviso, interessante, l’idea che l’autore propone nel testo, relativa all’ organizzazione di programmi di genitorialità condivisa. Ciò, consente di superare i confini del singolo nucleo familiare, di esplorare altre parti di sé, incoraggiando autonomia e senso di responsabilità.

L’importanza di riconoscere

In conclusione, i ragazzi hanno bisogno di essere visti per quello che sono e per quelle che sono le loro necessità evolutive, riconoscendo, in ognuno di loro, un bisogno speciale, e dei talenti, che ognuno di noi possiede, e che meritano di essere riconosciuti e allenati, dando, pertanto, forma alla forza del loro vero sé. D’altronde, come scrive Gramellini in un suo articolo sul “Corriere della sera”, ognuno esprime il proprio talento in un modo del tutto particolare e quotidiano, e che, pertanto, il talento in sé, si discosti dall’idea che possiamo averne, soprattutto se incasellata all’interno dell’etichetta di “successo”. Gramellini, scrive: “Sarebbe ora di togliere lucentezza al successo. Non tutta ma un po’. Considerandolo per quel che è: un participio passato” (Gramellini, marzo 2023, il caffè di Gramellini, Corriere della sera).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Lancini, M. (2023). Sii te stesso a modo mio. Raffaello Cortina Editore, Milano
  • Gramellini, M. (2023). Cosa è successo al successo. Corriere della sera, il caffè di Gramellini.
  • Lancini, M. (2022). Figli di internet. Erickson, Roma
  • Lemma, A. (2011). Sotto la pelle. Psicoanalisi delle modificazioni corporee. Raffaello Cortina Editore, Milano
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