Con le parole di un più recente studio, il nervo vago funge da relè critico tra i visceri addominali e il cervello per trasmettere i segnali metabolici (Décarie-Spain et al. 2023).
Neuroscienze e stress
L’evoluzione delle neuroscienze negli ultimi vent’anni hanno reso ormai opinione largamente diffusa fra gli operatori della salute, in primis psicologi e medici, la necessità di un approccio olistico al paziente, ossia, non soltanto una visione che superi l’obsoleta e anacronistica suddivisione cartesiana mente-corpo, ma l’esigenza di effettuare una diagnosi e un intervento che consideri la persona nella sua globalità e tenga conto delle molteplici interazioni tra fattori biologici, psichici, epigenetici, l’ambiente, la storia individuale e generazionale del paziente.
La psiconeuroendocrinoimmunologia (abbreviata in PNEI), disciplina che studia appunto le interazioni tra i sistemi nervoso centrale, endocrino e immunitario, nonché il loro effetto sul comportamento umano e animale, è un esempio che va in questa direzione, così come numerose ricerche scientifiche, quali quelle che studiano le reciproche interazioni fra microbiota intestinale e sistema nervoso centrale (con inevitabili riverberi anche sugli aspetti psichici e comportamentali del singolo).
In un certo senso “apripista” di tali indagini furono gli studi sullo stress che misero in luce il cosiddetto asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) già negli ultimi decenni del secolo scorso. Una connessione, questa dell’asse HPA, “organica” che riveste un ruolo fondamentale nella risposta a stimoli esterni e interni, inclusi in particolar modo gli stress psicologici (Pariante & Mondelli, 2006) e (Walker & Diforio, 1997).
In estrema sintesi, possiamo ricordare che in situazioni stressanti i centri corticali e sottocorticali modulano l’attivazione del nucleo paraventricolare dell’ipotalamo, il quale stimola una serie di reazioni neuroendocrine a catena, vitali per il mantenimento dell’omeostasi, e che provoca un aumento di glicemia e grassi nel sangue permettendo all’organismo di avere a disposizione l’energia di cui il corpo ha bisogno per fronteggiare particolari situazioni (Sheng, et al.2020).
É quindi un processo chimico-fisico, perfettamente “normale”, che ha una funzione adattativa agli stimoli ambientali. Comprendere, da parte del cliente/paziente, la “filosofia” e la funzione di tali reazioni del nostro organismo, è già una cospicua parte di intervento.
Il nervo vago
Nell’ottica di questa visione olistica e integrata può essere utile ed efficace, in sede clinica, andare a intervenire con la psicoeducazione anche su un’altra componente del nostro organismo: il nervo vago o, più esattamente, il decimo nervo cranico.
Tentiamo di fare chiarezza su questa struttura. Il termine “nervo vago” è in realtà una enorme semplificazione dal punto di vista anatomico, innanzitutto perché esso, come tutti i 12 i nervi cranici, è una coppia, uno per emi-lato del corpo, poi perché ciascun nervo vago è costituito da migliaia di fibre, è un nervo misto, con il 20% di fibre efferenti, coinvolte nel controllo della motilità e della secrezione del tratto gastrointestinale, nonché del tono parasimpatico cardiaco (Crick et al. 1994) e del CAP, Cholinergic Anti-Inflammatory Pathway (via antinfiammatoria colinergica) (Pavlov et al. 2003), e l’80% di fibre afferenti, che cioè trasmettono informazioni gustative, viscerali e somatiche (Prechtl & Powley 1990).
Come si renderà evidente più avanti, nella descrizione anatomica, il nervo vago rappresenta un componente fondamentale del sistema nervoso parasimpatico, che sovrintende a una vasta gamma di funzioni corporee cruciali, tra cui il controllo dell’umore, la risposta immunitaria, la digestione e la frequenza cardiaca. Stabilisce una delle connessioni principali tra il cervello e il tratto gastrointestinale e invia informazioni sullo stato degli organi interni al cervello tramite fibre afferenti (Breit et al. 2018).
Questo nervo, inoltre, stimolando l’attività parasimpatica in tutto il corpo, determina il rilascio di ormoni che consentono all’organismo di svolgere funzioni di sopravvivenza.
Cenni anatomici sul nervo vago
Il nervo vago esce dal tronco encefalico in corrispondenza del midollo allungato nel solco tra l’oliva e il peduncolo cerebellare inferiore, lasciando il cranio attraverso il compartimento medio del forame giugulare.
Nel collo, questo nervo fornisce l’innervazione necessaria alla maggior parte dei muscoli della faringe e della laringe, che sono responsabili della deglutizione e della vocalizzazione (Castoro et al. 2011). Nel torace procura il principale apporto parasimpatico al cuore e stimola una riduzione della frequenza cardiaca. Nell’intestino, il nervo vago regola la contrazione della muscolatura liscia e la secrezione ghiandolare. Inoltre, i neuroni pregangliari delle fibre efferenti vagali emergono dal nucleo motorio dorsale del nervo vago localizzato nel midollo (Ter et al. 1991), e innervano gli strati muscolari e mucosi dell’intestino sia nella lamina propria che nella muscolare esterna (Berthoud et al. 2000). Il ramo celiaco fornisce l’intestino dal duodeno prossimale alla parte distale del colon discendente (Mukudai et al.2007).
Altra importante connessione del nervo vagale è con l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), poiché lo stimola attraverso le sue fibre afferenti a rilasciare glucocorticoidi dalle ghiandole surrenali, già individuata alla metà del secolo scorso (Harris 1950). Asse fondamentalmente implicato, tra l’altro, nella gestione dello stress (tra i molti: Stephens et al. 2012).
In sintesi, il complesso vagale dorsale del tronco encefalico rappresenta un importante centro riflesso del sistema nervoso autonomo. Infatti, l’attivazione delle afferenze vagali genera diverse risposte coordinate (autonomiche, endocrine e comportamentali) attraverso vie centrali che coinvolgono il complesso vagale dorsale (Bonaz et al. 2017).
Ma il nervo vago, come vedremo, ha anche interazioni con le strutture superiori del cervello. Infatti, il cervello riceve informazioni dalle proiezioni afferenti del vago (Liu, et al. 2020). Le fibre afferenti proiettano al nucleo tractus solitarius (NTS) e al locus coeruleus (LC) nel tronco encefalico (Nomura & 1984) e poi formano proiezioni ascendenti dirette e indirette dal nucleo tractus solitarius a molte aree del cervello (per es. mesencefalo, ipotalamo, amigdala, ippocampo e corteccia prefrontale ventromediale) (Carreno & Frazer 2016), si veda anche Bonaz et al. 2017.
Quindi, per sintetizzare con le parole di un più recente studio, il nervo vago funge da relè critico tra i visceri addominali e il cervello per trasmettere i segnali metabolici (Décarie-Spain et al. 2023).
Ma non solo, recenti scoperte su modelli murini e umani rivelano l’impatto della segnalazione del nervo vago dall’intestino sul controllo dei domini neurocognitivi di ordine superiore, tra cui ansia, depressione, motivazione della ricompensa, apprendimento e memoria (ibidem).
Ad esempio, il consumo di pasti coinvolge la segnalazione afferente vagale originata dal tratto gastrointestinale che può contribuire ad alleviare l’ansia e gli stati depressivi, promuovendo anche funzioni motivazionali e di memoria.
Oltre ad essere fondamentale nel determinare i comportamenti regolatori dell’assunzione di cibo, i risultati emergenti dalla letteratura scientifica rivelano che l’asse intestino-vago-cervello modula vari processi cognitivi e comportamentali complessi. Infatti, le funzioni intestinali sono state intrinsecamente collegate a stati affettivi come ansia e depressione (Childs et al. 2019), (Bret-Dibat et al. 1995; De Witte et al. 1986), nonché a processi neurali che regolano l’apprendimento e la memoria (Ángyán 1981), (Ángyán 1975) e la motivazione (Sellaro et al. 2018).
Le connessioni tra l’intestino e i processi cognitivi sono state evidenziate nella comunità medica dai medici britannici del XIX secolo, che comunemente si riferivano allo stomaco come “il grande cervello addominale” e un forte regolatore del benessere emotivo.
Da questa breve e sommaria descrizione emerge l’importanza e le implicazioni che il nervo vago riveste in numerose manifestazioni psichiche, somatiche e comportamentali.
Nervo vago e Teoria Polivagale
È evidente quindi che la conoscenza e la consapevolezza della funzione di tale terminazione nervosa da parte dei nostri clienti/pazienti possa rappresentare un fondamentale punto di partenza per comprendere e gestire alcuni comportamenti considerati disfunzionali.
Tale psicoeducazione può/deve essere declinata secondo l’ipotesi teorica di colui che da oltre quarant’anni studia il nervo vagale, lo psichiatra e psicologo statunitense Stephen Porges, il quale, con la sua Teoria Polivagale (Porges 2007), ha rivoluzionato il nostro criterio di osservazione delle reazioni fisiologiche di sopravvivenza a fronte di situazioni percepite come pericolose.
In ambito applicativo questa teoria ha fornito, a chi lavora nel campo del coaching, counseling e della psicotraumatolgia un fondamentale modello di comprensione su ciò che accade, dal punto di vista neuro-autonomico, quando un individuo sperimenta un trauma persistente all’interno delle proprie relazioni di attaccamento.
Negli anni recenti, la Teoria Polivagale ha contribuito a costruire un solido ponte tra la ricerca e la clinica, rendendoci più consapevoli nel setting della relazione mente-corpo, valorizzando ancora di più le scoperte nell’ambito delle neuroscienze dello sviluppo emotivo, della psicobiologia dell’attaccamento sicuro/insicuro e dei correlati biologici del trauma complesso, dando nuova enfasi alle prospettive di intervento nella salute mentale (Kazanxhi 2022).
Questa prospettiva terapeutica permette di intervenire non solo sulle memorie traumatiche del paziente e sui conflitti che ne sono derivati e che vengono riattualizzati anche nella relazione terapeutica, ma, fondamentalmente, ha lo scopo di rendere consapevole il paziente di come gli stati di tensione o di freezing (le difese di mobilizzazione e di immobilizzazione) derivanti dall’attivazione di memorie traumatiche non mentalizzate e dalla disregolazione autonomica dell’arousal fisiologico, abbiano effetti di profonda insicurezza nelle rappresentazioni di sé e degli altri e intervengano nel corpo.
Inoltre, le emozioni negative che non hanno avuto la possibilità di poter essere contenute, elaborate e trasformate nel sistema di attaccamento primario e neppure nell’ambito delle relazioni interpersonali successive, e che pertanto sono divenute croniche e persistenti, ovvero disregolate, mantengono il Sistema Nervoso Autonomo (SNA) in uno stato di attivazione/difesa cronico (iper/ipoarousal) con la conseguenza di danni psicobiologici a sfavore degli organi più vulnerabili e dello stato mentale della persona.
Essenzialmente la Teoria Polivagale enfatizza il ruolo del nostro sistema nervoso autonomo nel segnalare la presenza o l’assenza di una minaccia attraverso l’attivazione di tre stati autonomici.
- La stato ventro-vagale, che ci permette di calmarci quando ci troviamo in un contesto sicuro. Il battito del cuore diminuisce per permetterci di godere del nostro stato di sicurezza, circondati da coloro che ci amano e ci proteggono.
- Lo stato simpatico, il quale al primo segnale di pericolo mette in moto la reazione di attacco o fuga. Questo ci permette di agire: fronteggiare la minaccia, se è concesso farle fronte, o fuggire, qualora affrontarla non fosse possibile.
- Lo stato Dorso Vagale, che si attiva quando non siamo in grado né di lottare né di fuggire e allora ci immobilizziamo (il freezing), gli animali si fingono morti per sfuggire all’aggressione (Kazanxhi 2022).
I tre stati si attivano in base alle condizioni dell’ambiente circostante, in modo gerarchico e prevedibile; ossia, in base al proprio funzionamento autonomico è possibile prevedere quali eventi possano innescare reazioni simpatiche, o quali segnali abbiano il potenziale di riportarci alla regolazione ventro-vagale che ci permette di “sentirci al sicuro”.
La psicoeducazione sul nervo vago
Parte fondamentale dell’approccio polivagale alla terapia riguarda la capacità del paziente di valorizzare in termini cognitivi ciò che il proprio corpo gli comunica: ogni variazione, ogni spostamento di stato autonomico, ogni reazione corporea apparentemente avversa o “disturbante” viene attivata esclusivamente in risposta, funzionale secondo gli schemi corporei ereditati dai nostri avi, alla situazione ambientale e, in ultima analisi, in funzione della nostra sopravvivenza. Non esiste una risposta cattiva o sbagliata, ci sono solo risposte adattive. Il punto fondamentale è che il nostro sistema nervoso sta cercando di fare la cosa giusta e noi abbiamo il compito di comprendere, accettare e semmai modificare il senso di questo comportamento al fine di “normalizzarlo” e riportarci, ove necessario, al “posto sicuro”.
Ecco, dunque, la possibilità/necessità di attuare una psicoeducazione con il cliente/paziente.
L’essere umano, come tutti gli esseri viventi, è “programmato” per sopravvivere. La “sopravvivenza del più adatto” è guidata dal costante adattamento di una specie a un ambiente in evoluzione e richiede l’integrazione di informazioni esterne e segnali enterocettivi per orientare verso comportamenti vantaggiosi, in particolare verso l’alimentazione e altri comportamenti che promuovono l’acquisizione e il consumo di energia.
Ad esempio, le fluttuazioni degli ormoni metabolici possono orientare verso, o lontano, da determinati alimenti e da comportamenti ingestivi (Min et al. 2011a) e le interazioni sociali possono essere fortemente guidate dallo stato riproduttivo (Min et al. 2011b). Così la paura, l’immobilizzazione, la sudorazione, etc.
Attraverso un processo finalizzato ad aumentare l’insight dello scenario mente-corpo-relazione, il cliente/paziente impara non soltanto a comprendere le motivazioni delle proprie reazioni fisiologiche, ma a sostenere gli sforzi che il proprio sistema mette costantemente in atto allo scopo di proteggerlo da ciò che ritiene essere fonte di minaccia e di pericolo.
Ecco che allora le reazioni autonomiche potranno essere quindi mentalizzate e risimbolizzate sotto una nuova luce: il corpo, la consapevolezza degli stati corporei disregolati, le reazioni funzionali, diventano un campo di maturazione personale e interpersonale.
Naturalmente, come più volte ripetuto, la psicoeducazione è soltanto una prima possibile parte dell’intervento, alla quale potranno succedersi educazione/intervento sulla respirazione, sulla neurocezione personale, mindfulness e così via, tutte attività/esercizi che ineriscono e stimolano anche il nervo vago.
La stimolazione diretta del nervo vago con l’ausilio di strumentazione ad hoc, invece, sarà oggetto di un prossimo articolo.