Ndr: il presente contributo è il secondo di una serie di quattro articoli sull’argomento che verranno pubblicati nei prossimi giorni su State of Mind. Nel primo articolo sono state analizzate le motivazioni che spingono i più giovani ad arruolarsi.
Il reclutamento dei combattenti stranieri
I reclutatori dello Stato islamico sono veri e propri seduttori di coscienze. La loro efficacia è proporzionale alla capacità di dare senso alla vita, di sedare l’angoscia, individuare rancori e vulnerabilità, offrire risposte differenziate da veicolare verso la cornice universale della persecuzione musulmana. I reclutatori si propongono come figure carismatiche in grado di sollecitare un senso condiviso di umiliazione che genera rabbia e solidarietà. Dopo l’aumento del livello di allerta internazionale nei confronti dell’islamismo radicale, i reclutatori hanno modificato il loro modus operandi: dal proselitismo nelle comunità islamiche, in carcere o in moschea, si sono trasferiti su internet. Hanno trasformato web e social media in strumenti di diffusione d’informazioni, lotta e condizionamento in grado di aggirare le difficoltà legate alla sorveglianza e alla distanza fisica (Teti, 2015; Gates & Podder, 2015). Su Twitter compaiono i mujatweet, brevi estratti di video inviati in rete sotto forma di preview. Gli hashtag sono scelti per facilitare le comunicazioni, Telegram, Proton Mail e altre piattaforme sono utilizzate per aggirare la censura, gli account suicidi di YouTube servono per filmati a forte carica emotiva, come esecuzioni e scene di sangue, che dissipano l’ansia e suscitano reazioni di attrazione.
I processi di identificazione sono efficaci perché tutto è funzionale alla costruzione di una cultura jihadista (Heghammer, 2017) che fonde forme d’arte e pratiche sociali unendo tradizione e modernità, attingendo dalla tradizione islamica e da quella occidentale declinata in chiave radicale: le colonne sonore dei filmati di guerra, ad esempio, mescolano rap e hip-hop con i nasheed, gli inni religiosi cantati a cappella che celebrano Allah e il jihad. Video e materiali tradotti servono per allargare l’audience ma hanno forma unidirezionale: sono concepiti per non ricevere contro-argomentazioni. I reclutatori preparano la strada per chi, fino a quel momento, ha vissuto nel peccato e il desiderio di intraprendere il percorso per la purificazione: se si accetta la percezione di sé come di creature cadute, bisognose di soccorso, l’ISIS diventa una missione di salvataggio. Il meccanismo di aggancio si muove dal basso verso l’alto: non sono i gruppi organizzati che arruolano secondo un modello top-down. L’offerta dello Stato islamico, del tipo down-top, ha prodotto il cosiddetto fenomeno del terrorismo ad accesso libero (Guolo, 2015), in cui gli aspiranti jihadisti si rivolgono alla rete per cercare persone a loro affini o per trovare informazioni e contattare i reclutatori. Nelle prime fasi, la tecnica di avvicinamento ricalca il grooming, cioè il metodo utilizzato dai pedofili per entrare in contatto con le vittime. I reclutatori creano un rapporto confidenziale, consolidano la relazione, costruiscono un vincolo di esclusività funzionale al progressivo isolamento da famiglia o amici e all’identificazione di un leader a cui obbedire. Il legame è propedeutico al cambiamento di mentalità che si concretizza nella interiorizzazione di nuove convinzioni di sé e del mondo, premessa necessaria per le successive modifiche di comportamento (O’Keefe, 2004).
I profili dei combattenti stranieri
In ogni caso il profilo dei foreign fighter non è uniforme: è possibile identificare grossolanamente tre profili principali: ludici, martiropatici e rettificatori (Khosrokhavar, 2003; Guolo, 2015).
I ludici considerano la guerra un’esperienza totalizzante e l’antepongono al martirio. Il loro stile di pensiero è inflessibile, proiettivo, intriso di grandiosità: la guerra è vita, la sensazione di percepirsi come guerriero è eccitante. Le campagne di fascinazione dell’ISIS mostrano campi di addestramento e scene di combattimento che sembrano videoclip. I combattimenti utilizzano videocamere GoPro di ridotte dimensioni e peso, producono filmati di straordinaria somiglianza con i videogiochi che saranno proposti ai potenziali combattenti insieme a videogame educativi contestualizzati al jihad.
I martiropatici sono attratti dal martirio e dalla morte intesa come sacrificio. In essi prevalgono autodistruzione e depressione. A loro è offerta una visione apocalittica della grande battaglia che sfocia nella fine del mondo: il tema dell’apocalisse spinge all’azione e infonde fiducia nell’intervento divino.
I rettificatori sono mossi dal senso d’ingiustizia: aspirano alla purificazione del mondo e a riportarlo a un ordine smarrito. Per alimentare questa motivazione, ci sono filmati e immagini che rievocano il mito dell’innocenza infantile profanata: bambini morti, ridotti in schiavitù, vittime di bombardamenti da parte dell’occidente. Oppure enfatizzano slogan contro l’Occidente visto come assassino di donne, bambini e anziani.
In ogni caso il reclutamento assume presto le caratteristiche di un mondo settario (Lifton, 1961): il leader prende il controllo della comunicazione, utilizza un linguaggio carico di simboli e di cliché intellegibili solo ai membri del gruppo e questo contribuisce alla cristallizzazione del pensiero. Stabilisce con chi parlare, crea una manipolazione mistica, insiste sulla richiesta di purezza e di standard irraggiungibili. I reclutatori sfruttano le ragioni personali facendo leva sulla minaccia globale per costringere le reclute al dovere ad agire e a mobilitarsi per la difesa della collettività. Il jihadista aderisce a una fede collettiva.
Leggi tutti gli altri articoli della serie:
- Combattenti stranieri: la spinta motivazionale – pubblicato su State of Mind il 12 Giugno 2023
- Una riflessione italiana sulla radicalizzazione islamica: Silvia Romano – pubblicato su State of Mind il 19 Giugno 2023
- Una riflessione italiana sui combattenti stranieri: Sergio e Delnevo – pubblicato su State of Mind il 21 Giugno 2023