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Combattenti stranieri: la spinta motivazionale

Profilo tipico dei combattenti stranieri è quello di giovani musulmani privi di educazione religiosa ma con un rapido percorso di conversione/riconversione

Di Girolamo Spina, Serena Giunta, Gioacchino Mazzola

Pubblicato il 12 Giu. 2023

Aggiornato il 21 Giu. 2023 10:34

Ndr: il presente contributo è il primo di una serie di quattro articoli sull’argomento che verranno pubblicati nei prossimi giorni su State of Mind.

L’articolo, anche alla luce degli scenari di guerra, mai del tutto sopiti, tratta specificatamente del fenomeno dei combattenti stranieri e di come questo si sia caratterizzato all’interno del terrorismo islamico.

Combattenti stranieri

 I foreign fighters popolano gli scenari bellici mondiali da oltre un secolo. Si calcola che, dal 1815, abbiano partecipato ad almeno 69 delle 313 guerre civili (Borum & Fein, 2016): rappresentano, pertanto, un fenomeno non nuovo né esclusivo dell’islamismo radicale.

Tra il 1980 e il 1992, negli anni dell’occupazione sovietica, arrivarono in Afghanistan circa 20 mila combattenti (Neumann, 2015). Il numero di combattenti che ha raggiunto il Siraq tra i 2011 e il 2015 è compreso tra 27 e 31mila (Barlett, 2014). Il tema dei foreign fighters resta al centro delle agende politiche internazionali perché lo Stato islamico mantiene una grande capacità attrattiva nell’immaginario di chi sogna un riscatto attraverso l’islamismo radicale. Molti studi hanno analizzato i processi di reclutamento, ma non è chiaro se questi siano diversi a seconda dei conflitti oppure se il meccanismo sia sempre lo stesso (Kreuger, 2007).

Il profilo dei combattenti stranieri

Il profilo tipico dei foreign fighters è quello di giovani musulmani di seconda generazione o convertiti, coinvolti in atti di criminalità comune, privi di educazione religiosa ma con un rapido e recente percorso di conversione/riconversione che li fa “rinascere”, born again, come credenti e zelanti osservatori della fede. La fede è utilizzata dai reclutatori perché è in grado di appagare desideri profondi: ricerca d’identità e appartenenza (Chassmann, 2016). Nel caso dell’ISIS, la religione rappresenta una scusa più che una motivazione di base per chi decide di affiliarsi (Mattew & Francis, 2015). I foreign fighters, infatti (Roy, 2010, 2016, 2017): 1) spesso conoscono superficialmente il Corano pur considerandosi ferventi musulmani; 2) non mettono “il corretto modo di agire” religioso al centro delle loro preoccupazioni; 3) articolano la scelta intorno a un immaginario incentrato su eroismo e violenza; 4) non sentono la causa antisciita come chi vive nelle terre del Siraq; 5) accettano con difficoltà la disciplina della fede e non si integrano con le popolazioni locali.

 Nonostante le ricerche disponibili, non è possibile definire un percorso di reclutamento universalmente valido. Le ragioni sono personali, socio-culturali, economiche o politiche, ma non esistono motivazioni singole che spingono a partire per il Medio Oriente perché la decisione è l’esito di un percorso che inizia nella dimensione cognitiva ed emotiva di ciascuno, spesso caratterizzato da una difficoltà nel costruire la propria identità segnata in parte dall’esclusione sociale. I reclutatori propongono un mondo segnato da una mancanza di ambiguità e nel quale le prescrizioni rigide che risentono di una visione del mondo manichea riducono le incertezze. In altre parole si propone come organizzatore di pensiero che dà senso all’esistenza e prevede il jihad come unica ragione di vita. Anche per questo, la radicalizzazione dei giovani musulmani occidentali ha più a che fare con la dimensione soggettiva, ideologica e psicologica che con le credenze religiose (Guolo, 2015). I dati di letteratura confermano la giovane età dei foreign fighters e il fatto che, rispetto al conflitto in Afghanistan degli anni Ottanta, l’età media si è abbassata (Briggs & Silverman, 2014; Boutin et al., 2016). L’offerta radicale approfitta dei passi falsi della transizione giovanile, soprattutto quando il passaggio si accompagna a mancanze personali o a debolezze familiari. La prima giovinezza e l’adolescenza sono delle fasi della vita in cui s’infrangono gli ideali. Anche alcune caratteristiche di personalità che possono incidere sulla radicalizzazione sono ad esempio la sensation-seeking (Bartlett, 2010), la paranoia come meccanismo di difesa (il jihadista odia l’Occidente perché è il mondo da cui si sente escluso) e il narcisismo (Silke, 2008).

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bartlett J., Birdwell J., King M. (2010). The edge of violence: a radical approach to extremism. London: Demos
  • Borum R., Fein R. (2016). Psychology of Foreign Fighters. Studies in conflicts and terrorism, 40, 3.
  • Briggs Obe R., Silverman T. (2014). Western Foreign Fighters: innovations in responding to the threat. London Institute for Strategic Dialogue.
  • Chassman A. (2016). Islamic state, identity, and the global jihadist movement: how is Islamic state successful at recruiting “ordi- nary” people? Journal for Deradicalization, Winter, 9.
  • Guolo R. (2015). L’ultima utopia. Gli jihadisti europei. Guerini & Associati.
  • Krueger A.B. (2007). What Makes aTerrorist: Economics and the Root of Terror. Princeton: Princeton University Press.
  • Neumann P. (2015). Foreign fighter total in Syria/Iraq now ex- ceeds 20,000; surpasses Afghanistan conflict in the 1980s. In- ternational Centre for the Study of Radicalisation (ICSR). Department of War Studies, King’s College London, London, WC2R 2LS.
  • Roy O. (2010). Holy Ignorance:When Religion and Culture PartWays. Oxford University Press.
  • Roy O. (2016). I nostri errori nell’autoinflitta guerra al terrorismo. In L. Caracciolo, F. Petroni (Eds.)
  • Roy O. (2017). Generazione ISIS. Milano: Feltrinelli.
  • Silke A. (2008). Holy warriors exploring the psychological processes of Jihadi radicalization. European journal of criminology, 5(1), 99-123.
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