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Effetto Squid Game: fenomeno globale (e/o commerciale), rischio di emulazione e abituazione alla violenza in epoca pandemica

Squid Game ha ormai raggiunto un successo globale, ma quali sono le conseguenze dei contenuti violenti e di abituazione alla violenza su bambini e ragazzi?

Di Serena Valorzi

Pubblicato il 15 Nov. 2021

Squid Game non è solo una serie tv. È un fenomeno globale, rapidissimo, sorprendente, inquietante.

 

Si diffonde, ovunque, sfuggendo al parental control: gli spezzoni su YouTube non si contano più, le challenge sui social network più amati dai giovani sono virali e già iniziano episodi di emulazione anche nel nostro Paese. Naturalmente, non sono mancati la proposta commerciale di tute da travestimento per Halloween, l’aumento di vendite di Vans bianche, i primi Real Games (sembra ci sia l’assalto agli Emirati Arabi) e si trovano online anche le ricette dei dolcetti coreani utilizzati in uno dei giochi mortali proposti nella serie.

Chi aveva detto che “un, due, tre stella” fosse un gioco destinato a morire? O che si potesse morirne…

Forse non è un caso che questa serie Tv possa avere tanto successo in un’epoca in cui abbiamo sofferto di distanziamento sociale, eccesso tecnologico, timore di morte e attualmente di scontro sociale, condito da una vaga sensazione di controllo e complotto, ben lontani da solidarietà ed empatia che ci avevano accompagnati nei primi mesi del 2020, quando cantavamo e applaudivamo dai balconi.

Impauriti, stressati, deprivati per molto tempo dal calore umano che genera naturalmente ossitocina (l’ormone della calma e dell’amore), dopati di adrenalina e cortisolo (gli ormoni dello stress), non riusciamo facilmente a entrare nella dimensione mentale di profonda e saggia comprensione umana, di gentilezza reciproca, che ci farebbe tanto bene. Perché paura, stenti e frustrazione nutrono la rabbia. L’esperimento del “Buon Samaritano” di Darley e Bateson (1973) ci aveva dato la misura di quanto una sola variabile sperimentale, la fretta, potesse far crollare la tendenza all’aiuto e noi non siamo certo stati esposti alla sola fretta.

Non possiamo negare che “il gioco del Calamaro”, la cui atmosfera richiama lievemente quella dell’esperimento del carcere di Stanford (in versione horror), si possa anche reinterpretare quale rappresentazione atrocemente satirica di una società sudcoreana ipercompetitiva, strappata, le cui frange disperate soccombono sotto il peso dei debiti. In effetti, neppure “1984” di Orwel (1948) doveva essere una lettura tanto leggera, ma all’epoca della pubblicazione non c’era internet e difficilmente un bambino di 9 anni ne avrebbe retto la lettura (tanto meno lo avrebbe potuto fare senza che i genitori se ne accorgessero).

E senza dubbio posso confermare, occupandomi da vent’anni ormai di dipendenze comportamentali, che v’è una rappresentazione molto accurata degli shift emotivi drammatici e delle distorsioni cognitive tipiche di chi soffre di Disturbo da Gioco d’Azzardo in forma attiva.

Ma c’è qualcosa che sfugge a una visione frettolosa.

Anche nella serie degli Hunger Games si trattava di giochi mortali ma c’era costrizione (o autosacrificio) e nessuna possibilità di scelta e il premio era la vita. In Squid Game si sceglie di trasformare la vita in accessorio che permetta di ottenere denaro, oltre ogni valutazione morale, in una visione disperata in cui fiducia e umana comprensione sono annientati da calcolo freddo e asettico.

Ma davvero è così pericoloso? Come può la sola visione di una serie tv incitare all’emulazione?

Lo temono le associazioni di genitori che chiamano a firmare petizioni per eliminare la serie, i dirigenti scolastici, anche il ministro dell’Education National Blanquer in Francia richiama tutti noi adulti alla responsabilità… Ma, onestamente, sappiamo già che la serie non verrà eliminata: troppi vantaggi economici.

E allora apriamo lo sguardo sulle conseguenze dei contenuti violenti e sull’effetto abituazione alla violenza e diminuzione dell’empatia, ricordando che, se Squid Game, per la sua straordinaria forza evocativa di angoscia e violenza oltre il limite, ci scuote ancora, non sono da meno i videogiochi sparattutto con cui molti dei nostri ragazzi annebbiano le loro menti, i manga che leggono in silenzio, o le conversazioni al vetriolo tra leoni da tastiera cui siamo tutti esposti giornalmente, soprattutto in quest’epoca.

Scelgo due studi icona:

  • Bandura e il pupazzo Bobo (1961): un gruppo di bambini vede un adulto picchiare il pupazzo Bobo e, lasciati poi liberi nella stessa stanza dei giochi, fanno lo stesso. Gli altri bambini, esposti a un modello non violento, giocano pacificamente. E il risultato non cambia se si replica con adolescenti o adulti, indipendentemente dal temperamento (succede a tutti, almeno un po’). I contenuti violenti appena visti vengono automaticamente replicati.
  • Bushman e Anderson e Confortably Numb (2009): due gruppi di universitari giocano a un videogioco per 20 min (il primo con uno sparatutto, il secondo con un gioco neutro). Alla fine della sessione si attiva una traccia audio in cui pare che qualcuno venga picchiato fuori dalla porta dello studio sperimentale. Il primo gruppo quasi non se ne rende conto o interviene con un tempo 5 volte inferiore a quello del gruppo a gioco neutro. Il contenuto violento diminuisce reattività, empatia e disponibilità all’aiuto.

Ora, il primo è ben conosciuto e replicato, e deve farci riflettere su cosa sia il caso che noi e i nostri ragazzi e bambini vediamo sugli schermi e nella realtà.

Il secondo ci fa pensare a quanto tutti noi, esposti a contenuti e modelli violenti, tendiamo a spegnere la nostra capacità di indignazione di fronte alla violenza, di desiderio di proteggere e aiutare gli altri in difficoltà.

Sarà mica che Squid Game, glacialmente elaborato per auto-rigenerarsi di visualizzazioni in un periodo particolare com’è quello che stiamo vivendo, aumenti di fatto la nostra insensibilità (e quindi accondiscendenza) alla violenza e diminuisca la nostra capacità di desiderare ossitocina, calma, gentilezza e vivere compassione e solidarietà calorosa?

Possiamo fare un esperimento noi stessi: avete notato che nella visione del primo episodio siamo colpiti, disgustati, impauriti e tesi mentre nel secondo siamo già più comodi sul nostro divano? E se vi prendete il tempo di riguardare il primo episodio, sorpresa! Quasi completamente insensibili. Effetto abituazione alla violenza…

E per poter continuare l’esperimento fatto in casa, magari possiamo anche chiedere ai nostri congiunti, che non abbiano guardato con noi, se notino che qualcosa in noi, quasi impercettibilmente, è cambiato. Loro ci vedono da fuori; fidiamoci.

Forse non giocheremo a “un, due, tre, stella” picchiando chi si è mosso.. ma teniamo gli occhi aperti: anche solo una rispostaccia incide sulla qualità delle nostre relazioni e potremmo non rendercene conto, come i nostri ragazzi che giocano per ore ai videogiochi, leggono manga violenti o scorrono conversazioni al vetriolo. Ora è tempo di decisione, speriamo, più consapevole.

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